A Baku rimangono circa ventiquattro ore, forse meno, per salvare non solo la Cop29 ma un decennio di lotta ai cambiamenti climatici. La presidenza azera ha presentato la sua bozza alle parti per un nuovo accordo sulla finanza per il clima, una proposta che, se accettata, vincolerebbe i paesi fino al 2035. Sono stati finalmente esplicitati i numeri, quindi dopo due settimane di tatticismi si gioca a carte scoperte: il problema è che il nuovo obiettivo per i flussi di aiuti climatici è basso. La bozza di testo finale sul nuovo obiettivo di finanza climatica prevede 250 miliardi di dollari all'anno da raggiungere entro dieci anni, forniti o mobilitati dai paesi sviluppati, attingendo a un'ampia varietà di fonti pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, da destinare a mitigazione e adattamento (non quindi per i danni e perdite).

C'è anche la cifra più ampia, quella di 1300 miliardi all'anno, tanto invocata da essere diventata un totem simbolico, anche se è stata proposta dagli economisti più esperti di clima al mondo (Amar Bhattacharya, Vera Songwe e Nicholas Stern). La bozza invita ad arrivarci sempre al 2035, ma senza nessun obbligo, in un mix generico di finanza pubblica e privata, fornita da «tutti gli attori», una formula mai usata dall'Onu, che nessuno sa di preciso cosa voglia dire (banche? aziende fossili? miliardari?).

La vera proposta dei paesi ricchi a quelli poveri è dunque di 250 miliardi, e solo di questa ha senso parlare, mentre i 1300 miliardi vengono solo menzionati in modo puramente aspirazionale, simbolico, come un auspicio più che come un impegno.

250 miliardi? Troppo pochi

Il testo è stato bocciato anche da Bhattacharya, Songwe e Stern, che avevano indirizzato il negoziato con il loro studio presentato all'inizio di Cop29.

«La cifra di 250 miliardi è troppo bassa e non è coerente con il rispetto dell'accordo di Parigi, per il quale servirebbero almeno 300 miliardi all'anno entro il 2030 e 390 miliardi entro il 2035». Sono discrepanze numeriche ancora enormi, infatti i paesi in via di sviluppo hanno definito la proposta «noccioline».

Uno dei volti più simbolici di questa Cop29, l'agguerrito diplomatico di Panama Juan Carlos Monterrey Gómez, ha reagito così: «L'assenza di una cifra per noi era uno schiaffo in faccia. Ora proponete le briciole, ed è proprio come sputarci in faccia. A questo punto, ogni opzione è sul tavolo, compresa quella nucleare», metafora sgraziata (di questi tempi) per suggerire come la posizione dei gruppi dei paesi più poveri ora sia: «Meglio nessun accordo che un cattivo accordo». Anche il capo delegazione di Greenpeace Jasper Inventor ha commentato: «Questo numero è completamente dissociato dalla realtà degli impatti climatici, è praticamente un oltraggio».
Nell'esagerazione dei toni c'è sicuramente una componente di gioco delle parti, ma al momento le prospettive non sembrano buone, frutto di un paese ospitante in difficoltà con la complessità del mondo e degli Stati Uniti esautorati dalla vittoria di Donald Trump. Era da giorni che il negoziato si trascinava esausto, poi nella notte tra giovedì e venerdì c'è un lungo incontro informale tra Cina, Unione Europea e il gruppo AOSIS (i paesi insulari di Caraibi e Pacifico), nel quale si è provato a tracciare una linea comune, mentre l'alleanza climatica tra Africa e Cina sembra ancora impossibile da scalfire.

Un testo amaro

Questo sforzo ha permesso di tenere l'aereo in aria ed evitare lo schianto, non di farlo atterrare in sicurezza nei tempi previsti (in teoria si chiudeva ieri). Un esperto osservatore di questo tipo di dinamiche degli ultimi giorni di Cop ha detto che questa bozza è stata lanciata alle parti per vedere l'effetto che avrebbe fatto: è stato pessimo, ma è almeno un testo su cui si può negoziare a oltranza, come sempre nelle ore convulse che chiudono una conferenza sul clima.

«Non esiste un accordo con cui uscire da Baku che non lascerà l'amaro in bocca a tutti, ma siamo in vista di una zona di atterraggio per la prima volta», ha detto Avinash Persaud, uno dei diplomatici di clima più esperti di tutto il mondo Cop. Per arrivare a un risultato accettabile servirà probabilmente alzare leggermente la cifra dei 250 miliardi, prevedere dotazioni specifiche per due gruppi di paesi particolarmente vulnerabili (le isole e i least developed country, i più poveri di tutti).

Dal testo è sparito anche il fondo danni e perdite, che continua a esistere ma anche a rimanere sotto-finanziato, una colletta volontaria con le briciole tra le briciole. Nel frattempo, il testo è morbidissimo (per usare un eufemismo) sulla riduzione delle emissioni e i combustibili fossili: mentre un altro anno di crisi climatica è passato (il 2024 passerà alla storia come il più caldo di sempre e il primo sopra 1.5°C), gli impegni di mitigazione saranno tutti rinviati alla Cop30 del Brasile.

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