- «Venezia si candida a ospitare una centrale nucleare a fusione di nuova generazione pensata da Eni grazie al suo nuovissimo brevetto sui campi magnetici», ha detto il 21 marzo il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro.
- Alcuni ricercatori del Mit hanno deciso di lavorare sugli alti campi magnetici. Ma il progetto, senza intoppi, li impegnerà per decenni.
- Il sindaco dovrebbe piuttosto concentrarsi sui problemi ben noti di Venezia dove presto si riproporrà il problema dell’acqua alta rispetto alla quale il Mose non potrà più niente.
«Venezia si candida a ospitare una centrale nucleare a fusione di nuova generazione pensata da Eni grazie al suo nuovissimo brevetto sui campi magnetici». Questo ha detto il 21 marzo Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia e leader di Coraggio Italia, durante l’incontro Italia Domani-Dialoghi sul Pnrr.
Cito letteralmente: «Nuovissime tecnologie che nei prossimi decenni potranno garantire energia a basso costo, pulita e sicura ai cittadini e alle imprese. Dobbiamo dimenticare l’idea del rifiuto degli impianti sul nostro territorio quando si parla di tecnologie avanzatissime come il nucleare a fusione di ultimissima generazione (la prima generazione non è ancora nata, ndr).
Il giorno dopo il quotidiano francese Le Monde ha riportato il contenuto di una lettera firmata da Bernard Doroszczuk, direttore dell’Autorità per la sicurezza nucleare francese (Asn), al direttore di Iter, Bernard Bigot, nella quale si richiede lo stop immediato del progetto internazionale del reattore a fusione sperimentale Iter con motivazioni che si riferiscono alla sicurezza nucleare.
La lettera francese
Perché è interessante commentare queste due notizie contemporaneamente? Per gli aggettivi usati dal sindaco di Venezia nella sua dichiarazione: «Energia a basso costo, pulita e sicura».
La lettera dell’Asn specifica che l’arresto del progetto è dovuto a difetti di costruzione, tolleranze non rispettate che potrebbero pregiudicarne la sicurezza. Iter è un colossale esperimento da più di 20 miliardi di euro che richiede la cooperazione di gran parte del mondo industrializzato per verificare la possibilità di utilizzo commerciale della fusione nucleare. Si pensa che possa dare risposte utili nel 2040.
I dubbi dell’Autorità francese sono legati alla possibilità che il contenitore in fase di costruzione non sia ermetico e lasci sfuggire del trizio, il combustibile della fusione, un gas radioattivo e volatile, la cui pericolosità origina dall’affinità di questo isotopo dell’idrogeno con l’acqua e, quindi, con tutto ciò che è organico.
Un reattore a fusione è la sorgente più potente di neutroni energetici mai immaginata, renderà radioattive, se mai entrerà in funzione, apparecchiature pesanti decine di migliaia di tonnellate e, alla fine della sua vita, rimarrà per secoli pesantemente contaminato.
È interessante che un organismo molto competente l’abbia ricordato a tutti con i dettagli e l’enfasi necessari. L’Asn ha ribadito che la sicurezza dell’installazione dipende da saldature corrette, dalla tenuta di componenti ben costruiti e non è garantita a priori da leggi di natura.
La sicurezza delle città
Non a caso Iter (un esperimento di bassa intensità, non un reattore che produce energia) è stato programmato in un’area lontana da ogni città, nel sud della Francia, a Cadarache, dove Charles de Gaulle inaugurò il più grande centro di ricerca nucleare francese alla fine degli anni Cinquanta.
Il sindaco Brugnaro parla della fusione nucleare come di un progetto che vale la pena realizzare a Marghera, a due passi da Venezia. Una cittadina nata come realtà produttiva legata al petrolchimico un secolo fa, che la fragilità dell’ambiente lagunare ha imposto di trasformare in un polo commerciale e del terziario. Di produttivo è rimasta solo una grande centrale elettrica da un gigawatt a carbone che tutti si augurano venga dismessa al più presto.
Il sindaco si è lanciato anche nella scelta di un particolare tipo di fusione, il reattore Tokamak ad alto campo magnetico che una nuova startup americana, la Commonwealth Fusion Systems, propone di realizzare in qualche decennio e che ha l’Eni come suo maggior investitore.
Per molti osservatori i tempi d’esecuzione dichiarati sono troppo ottimistici, giustificati solo dalla necessità dei privati di promettere ritorni commerciali in tempi brevi. Questo spin-off del Mit ha deciso di andare a fondo di un’idea proposta negli anni '60 da un ricercatore italiano di Boston, Bruno Coppi, con una serie di esperimenti contraddistinti dall’acronimo Alcator (che sta per ALto CAmpo TORo ndr).
L’idea di spingere l’intensità del campo magnetico al massimo per la fusione a confinamento magnetico non dovrebbe sorprendere nessuno, potenzierebbe il reattore, ma sostenere la fusione nel volume più piccolo possibile non può essere l’unico obiettivo. Un reattore a fusione deve essere affidabile per produrre energia per decenni e ammortizzare il suo costo.
Gli alti campi magenitici
Un motore di Formula 1 può essere il più compatto e leggero ma difficilmente lo si può immaginare sotto il cofano di un autobus. Gli alti campi magnetici sono stati il cavallo di battaglia del Plasma Science and Fusion Center del Mit per alcuni decenni.
A seguito dei deludenti risultati ottenuti nel periodo d’oro della ricerca sulla fusione nucleare, gli anni ‘70 e ‘80, i finanziamenti a questo campo di ricerca da parte del dipartimento dell’Energia, un ente finanziatore della ricerca pubblica negli Stati Uniti, sono crollati e iniziative private prendono ora piede per proseguire sulla strada interrotta.
È naturale che da alcuni ricercatori del Mit venga l’iniziativa di continuare sulla linea della loro esperienza precedente, gli alti campi magnetici, progettando un esperimento preliminare, alla Iter per intenderci, prima di passare a un prototipo di reattore. Propongono quindi un nuovo programma che, senza intoppi, li impegnerà per decenni.
La superficialità della proposta veneziana è surreale non solo per il rischio ambientale, ovviamente poco opportuno alle porte di una delle più famose città d’arte del mondo, ma anche per i tempi lunghi di un progetto di cui nessuno è sicuro, neppure sulla carta.
L’acqua alta
Il sindaco s’è distratto, la sua concentrazione e perizia tecnologica non sono focalizzate sui problemi ben noti di Venezia. Sulla scala temporale della fattibilità della fusione, e in base a dati affidabili raccolti in molti decenni, a Venezia si riproporrà il problema dell’acqua alta. Non un malaugurato tsunami, come quello che ha annientato Fukushima, ma un’acqua alta periodica e insistente rispetto alla quale il Mose non potrà più niente. Questo è un problema che necessita una soluzione di lungo periodo e ben pensata.
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