- A Glasgow è il momento delle manifestazioni di piazza. Prima i Fridays for Future, poi il Global Day of Action for Climate Justice.
- Contestano i risultati della Cop26: è solo greenwashing, non gli importa niente del futuro, ha detto Greta Thunberg.
- La pressione della società civile è necessaria per il successo della Cop26: l’accordo di Parigi è stato un fallimento anche perché non c’erano i movimenti per il clima a vigilare.
A Glasgow è arrivato il momento delle manifestazioni. Oggi ci sarà il Global Day of Action for Climate Justice, ieri invece i primi a prendere la parola e la piazza sono stati i Fridays for Future. È stato il venerdì più importante di sempre nella storia del movimento inventato da Greta Thunberg nel 2018: dopo 166 scioperi nell'arco di quattro anni i Fridays sono arrivati a protestare a pochi passi dai negoziati sul clima.
Decine di migliaia di persone hanno sfilato pacificamente partendo da Kelvingrove Park, a un chilometro dalla sede della Cop26, c’erano attivisti arrivati da tutta Europa, quasi sempre dopo giorni di viaggio in treno, partiti dall'Italia, dalla Svezia, dalla Polonia.
Si sono alleati con i lavoratori scozzesi, con famiglie di simpatizzanti locali, con i rappresentanti delle comunità indigene che hanno sfilato in testa al corteo.
In questi giorni hanno seguito i lavori della Cop26, in alcuni casi hanno partecipato come osservatori, hanno letto gli impegni, hanno preso atto degli annunci e sono ancora più scontenti di prima.
Greenwashing occidentale
«Questo è il festival del greenwashing occidentale», ha detto Greta Thunberg alla fine della manifestazione, «Fanno solo finta che gli interessi il nostro futuro». È un giudizio severo e ingeneroso sul vertice di Glasgow?
Nella prima settimana di negoziati sono stati raggiunti impegni importanti sul metano, sulla deforestazione, sul carbone, sono stati aggregati un consenso e un impegno che sarebbero stati impensabili alle Cop precedenti, i fallimenti di Madrid e Katowice. Ma è grazie a quella severità, a quella durezza, che questa è la Cop più partecipata di sempre (quasi 40mila delegati), che un fiasco dei negoziati sarebbe un disastro politico, che molti leader mondiali ci stanno mettendo la faccia e che il clima è diventato uno dei grandi temi della geopolitica.
La scienza aveva impacchettato il messaggio, ma prima di Greta Thunberg non aveva idea di come recapitarlo.
Secondo i dati del think tank Energy Transition Commission, gli impegni presi finora alla Cop26 (se rispettati) abbatterebbero le emissioni di 9 gigaton sui 22 necessari per contenere l'aumento delle temperature a un ragionevole 1.5°C.
Vuol dire che a Glasgow sono stati raggiunti risultati che fino a un paio di anni fa sembravano impensabili, ma sono ancora non lontanamente sufficienti per l'obiettivo di un futuro sostenibile.
È stato fatto tanto, serve molto di più. L’ingratitudine è una risorsa politica inestimabile quando si parla di una sfida come il clima.
Speranza e asticelle
Il momento in cui si inizia a sentire l'odore della speranza è anche quello in cui è necessario alzare l'asticella delle richieste. Il successo di una macchina negoziale grande e complessa come conferenza sul clima è direttamente proporzionale alla pressione della società civile.
I manifestanti contro il G8 di Genova (o qualunque vertice di quel tipo) non avevano nessuna possibilità di invertire il corso delle decisioni prese dentro la zona rossa.
La dinamica della Cop26 è diversa, il sistema è costruito per essere influenzato da tutto quello che succede intorno, nell'opinione pubblica, nelle piazze, nelle organizzazioni, sui media.
Ne abbiamo visto un piccolo assaggio con la decisione dell'Italia di entrare a far parte della coalizione di paesi che smetteranno di finanziare con soldi pubblici trivelle e oleodotti all'estero. Fino alla mattina dell'accordo l'Italia era fuori, in un altro tipo di contesto sarebbe rimasta fuori, ha deciso di entrare nel club dei virtuosi all’ultimo secondo non solo per evitare l'incidente diplomatico col Regno Unito, ma anche perché la pressione pubblica di organizzazioni e attivisti ha reso più conveniente fare la cosa giusta che non farla.
Dopo la decisione, che è indubbiamente una delle grandi vittorie dell'ambientalismo italiano, le principali organizzazioni hanno subito chiesto che i sussidi ambientalmente dannosi venissero eliminati anche in Italia. È un pressing necessario.
Dopo il successo della firma dell'accordo di Parigi, a vigilare non c'erano movimenti per il clima forti come quelli di oggi, quindi non c'era sufficiente attenzione nei media e nell'opinione pubblica, e così in quel caso è stato più conveniente evadere dagli impegni che rispettarli. È sull'onda di quella delusione che nascono i Fridays for Future, che si sono dati il compito politico di essere sempre scontenti.
La denuncia del Bla bla bla può essere frustrante per un leader politico, ma è necessaria per tenere alta l'attenzione delle persone e per non lasciare spazio di evasione ai governi. Ieri, dentro il palazzo, era la giornata di Cop26 dedicata all'istruzione, il ministro Cingolani ha presentato la proposta italiana di istituzionalizzare l'evento Youth4Climate e ha ribadito la sua posizione che i giovani devono passare «dalla protesta alla proposta».
Ha sicuramente una parte di ragione, ma i movimenti devono soprattutto protestare ancora di più, a prescindere dai risultati con i quali ci ritroveremo venerdì prossimo.
Qualunque sia risultato finale della Cop26, il futuro si reggerà su una serie di impegni volontari la cui unica garanzia di funzionamento sarà la pressione pubblica.
Mancano 476 venerdì alla fine del decennio, nove anni di manifestazioni: per il bene del clima dobbiamo augurarci che siano sempre partecipate e pieni di persone scontente, perché la loro insoddisfazione è la principale vigilanza civica che abbiamo.
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