- Pellet e legna da ardere stanno subendo rincari come mai si era visto negli anni precedenti.
- Manca la materia prima, i magazzini sono vuoti, mentre i prezzi all’ingrosso continuano ad aumentare fin dal pre-stagionale, ovvero il periodo in cui la materia prima subisce un calo fisiologico del prezzo sul mercato.
- Una «tempesta perfetta», come la definiscono gli operatori, che si sta sviluppando a causa di differenti fattori in gioco, primo tra tutti la guerra in Ucraina.
Pellet e legna da ardere stanno subendo rincari come mai si era visto negli anni precedenti. Manca la materia prima, i magazzini sono vuoti, mentre i prezzi all’ingrosso continuano ad aumentare fin dal pre-stagionale, ovvero il periodo in cui la materia prima subisce un calo fisiologico del prezzo sul mercato.
«Sarà un inverno difficile», commenta Annalisa Paniz, direttrice generale di Aiel, l’associazione italiana per le energia forestali. Il trend infatti è in crescita in tutto il paese e ha già raggiunto un aumento del 100 per cento (in certi casi si registra anche più del doppio) per quanto riguarda il pellet e almeno del 60 per cento per la legna da ardere, per i prezzi all'ingrosso. Una «tempesta perfetta», come la definiscono gli operatori, che si sta sviluppando a causa di differenti fattori in gioco, primo tra tutti la guerra in Ucraina.
La guerra e gli embarghi
Tra gli aspetti che più stanno colpendo l’intero settore, con ricadute evidenti soprattutto per i consumatori, quelli legati all’embargo dei prodotti e dei sottoprodotti legnosi provenienti da Russia e Bielorussia che hanno gli effetti maggiori, senza contare il venir meno dei flussi dall’Ucraina.
«Stimiamo una contrazione del mercato dell’ordine del 10 per cento», conferma Paniz. Ma a giocare un ruolo fondamentale è il fatto che, come molte altre materie prime energetiche, il nostro paese è fortemente dipendente dalle importazioni: su un consumo stimato di circa 3 milioni di tonnellate annue di pellet, riusciamo a produrne solamente 600mila tonnellate, costringendo gli operatori a importarne il 70/80 per cento.
La contrazione del mercato ha investito tutta Europa e i maggiori produttori come il Regno Unito e i paesi baltici hanno già ridotto, se non interrotto del tutto le esportazioni per tutelare il mercato interno.
Lo scorso 13 luglio, Gergely Gulyas, capo di gabinetto del premier ungherese Viktor Orbán, dichiarava lo stato di emergenza a causa della crisi energetica, imponendo uno stop a tutti i «vettori energetici», legna da ardere compresa.
Lo stesso sta accadendo in Bosnia ed Erzegovina, tra i maggiori fornitori per il mercato italiano, che ha imposto un embargo alle esportazioni già il 23 giugno scorso, per una durata di 90 giorni ma con la possibilità di prolungamento. «Le frontiere sono chiuse, quel poco che arriva proviene dalla Croazia», spiega Silvio Florian tra i soci di un’azienda del nord est che vende all’ingrosso e che possiede una sede nel paese balcanico.
«In un anno siamo passati da 180 euro al bancale a circa 300», per quanto riguarda la legna da ardere. Ma l’effetto delle sanzioni e dell’instabilità del momento ha colpito l’intera filiera. Secondo una recente indagine dell’associazione proPellets Austria riportata dalla rivista di settore “Energia dal legno”, «i costi di produzione del pellet sono già aumentati di oltre il 40 per cento rispetto all’anno precedente a causa degli aumenti nel costo dell’energia, della materia prima legnosa, degli elementi meccanici della produzione, degli imballaggi e dell’inflazione».
Infine, e non meno importante, le grandi centrali alimentate a biomassa del nord Europa si stanno accaparrando le scorte presenti sul mercato, perché in grado di poterle pagare di più, di fatto sottraendo la risorsa ai consumatori domestici.
La crisi energetica infatti sta spingendo i paesi del nord ad aumentare la produzione energetica da biomassa, distorcendo in questo modo il mercato. Ciò sta accadendo anche in Germania, fortemente dipendente dal gas russo, che sta spingendo sulla sostituzione del combustibile fossile con quello legnoso,
La mancanza di una filiera italiana
Ma a incidere sulla congiuntura attuale sono anche fattori interni. Primo tra tutti è che il prezzo della legna da ardere era fermo almeno da cinque anni, tanto che nel 2021 gli operatori forestali faticavano sia nella produzione che nella vendita: i costi erano troppi elevati rispetto ai ricavi.
Il secondo punto, e forse quello più importante, è che «il sistema bosco non c’è più», come spiega Marco Cortina, operatore forestale certificato che opera nel torinese. A confermarlo sono i numeri: la superficie forestale italiana è in costante crescita da anni, tanto che oltre il 36 per cento del territorio è coperto da boschi e foreste, con una crescita di 37 milioni di metri cubi l’anno.
Di questi ultimi, però, ne preleviamo 14 milioni, di cui 12 sono per legna da ardere, in gran parte utilizzati nel settore residenziale. «Stiamo risparmiando 20 milioni di metri cubi che vanno ad aumentare lo stock disponibile», ha spiegato il professore Davide Pettenella dell’università di Padova a “Progetto fuoco” in occasione degli Stati generali del settore forestale.
Altro segnale che mostra come sia in corso un abbandono dei boschi, è che la quantità annuale di legname prelevato è compresa tra il 18 per cento e il 34 per cento dell’accrescimento annuale, a fronte di una media europea che si attesta intorno al 62 per cento. Secondo Pettenella «una maggiore capacità di prelievo ridurrebbe i rischi di eventi estremi» che abbiamo registrato negli ultimi anni, come gli effetti delle tempeste o i numerosi incendi che si stanno verificando in queste settimane.
Per questo motivo, e per ricreare una filiera del legno andata ormai perduta, lo scorso febbraio, è stata pubblicata la prima Strategia forestale italiana, con l’obiettivo di arrivare a una gestione forestale sostenibile, che riconosca il valore del sistema foresta-legno e dei territori e sia capace allo stesso tempo di proteggere gli habitat più sensibili e a rischio.
Secondo lo studio “Le foreste e il sistema foresta-legno in Italia”, il nostro paese è il secondo importatore netto di prodotti legnosi in Europa (dopo il Regno Unito), per un valore complessivo di 3 miliardi di euro, con oltre l’80 per cento del fabbisogno importato dall’estero. Mentre, se si analizzano i volumi delle importazioni, l’insieme dei paesi fornitori e il grado di illegalità che li caratterizza, si ipotizza che l’Italia sia il primo importatore europeo di legname di origine illegale.
Quel che è certo è che non basteranno i mesi invernali per far ripartire il settore forestale italiano, ma sarà fondamentale lavorare nei prossimi anni, concentrando tutti gli sforzi per trovare un equilibrio tra il prelievo attivo e la protezione delle foreste.
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