«Net zero è stato forse il singolo concetto più importante nella storia della scienza del clima», spiega Giacomo Grassi, uno dei massimi esperti al mondo del rapporto tra foreste e clima e membro senior dell’Ipcc, il gruppo intergovernativo fondato dall’Onu nel 1988 per sistematizzare la scienza della crisi e metterla a disposizione della politica.

L’idea di fondo dietro il successo del concetto di net zero è che non tutte le emissioni potranno essere azzerate, ma se raggiungeremo in tempo utile un equilibrio tra una massiccia riduzione delle emissioni di carbonio e gli assorbimenti da parte di foreste, oceani e suoli, potremo ugualmente stabilizzare il clima e contenere l’aumento delle temperature.

Tutto l’accordo di Parigi si basa su questa idea, secondo cui correggere la traiettoria climatica è una questione algebrica di sottrazioni e addizioni, tra riduzione delle emissioni e assorbimenti naturali. La riduzione delle emissioni è una scienza piuttosto esatta, poiché si fonda sul misurare gli effetti di tecnologie umane.

Grassi, però, ha da tempo segnalato una discrepanza nei conteggi sui quali ci affidiamo per calcolare l’altra parte del calcolo, gli assorbimenti, che sono invece più complessi perché dipendono dalle dinamiche degli ecosistemi naturali. Se questa discrepanza non verrà corretta in tempo, rischia di far deragliare i nostri sforzi di decarbonizzazione.

La «questione Grassi»

La questione è stata sollevata durante la Cop29 in un evento molto seguito organizzato dall’Ipcc, introdotto dal capo dell’organismo scientifico Onu Jim Skea, segno dell’attenzione che la comunità scientifica sta prestando a questo tema.

Skea l’ha definita la «Grassi issue» («questione Grassi»), dal nome dello scienziato che per primo l’ha segnalata. Il punto di partenza è che esistono diversi modi per calcolare gli assorbimenti di carbonio da parte degli ecosistemi naturali. I nostri obiettivi climatici sono stati fissati in base ai calcoli dei modelli computerizzati su vasta scala, che considerano la Terra nella sua interezza, mentre i progressi climatici verso quell’obiettivo vengono misurati paese per paese, secondo i metodi dei singoli inventari forestali nazionali, compilati tramite osservazioni sul campo, con una grande variabilità di metodologie locali.

I due sistemi, quello con cui ci siamo dati gli obiettivi climatici e quello con cui li misuriamo, danno risultati diversi. Spesso, molto diversi. Tra i due conteggi ci sono differenze che vanno dai 5 ai 7 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, circa il 10 per cento del totale delle emissioni che dobbiamo azzerare.

Come spiega Grassi, «In questo caso non si tratta di incertezza scientifica, non c’è un metodo giusto e uno sbagliato per fare queste misurazioni, è semplicemente come calcolare la distanza dalla destinazione in chilometri o in miglia. Sono entrambe misure corrette, dovremmo solo metterci d’accordo su quale delle due seguire».

Il problema è che la destinazione finale di questo percorso, l’unica cosa che conta, è la stabilizzazione del clima, e aver seguito nello stesso tempo due metodi diversi, confrontando scale di misurazione differenti, ci ha portato a una serie di discrepanze di calcolo che rischiano di compromettere il raggiungimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi.

Andare oltre

Lunedì sarà pubblicata su Nature una ricerca che parte proprio da queste premesse, e che chiederà di ripensare dalle basi il concetto di net zero. La cosa interessante è che la ricerca è stata firmata da alcuni degli stessi scienziati che vent’anni fa hanno ideato il concetto di net zero. Secondo questa armonizzazione dei calcoli, potremmo scoprire di avere un budget di carbonio – cioè una quota di CO2 che possiamo ancora emettere – inferiore a quella che pensavamo di avere.

Cosa fare, a questo punto? «La strada è andare oltre l’idea di net zero, che potrebbe non bastare per stabilizzare il clima, e puntare ad arrivare a emissioni negative».

Le implicazioni di queste ricerche sono enormi, dal momento che da un lato già facciamo fatica a ridurre le emissioni per arrivare a net zero entro metà secolo, dall’altro scopriamo che nemmeno il net zero potrebbe bastare per stabilizzare il clima.

Al momento questa correzione non è ancora entrata nella conoscenza ufficiale del clima da sottoporre ai decisori politici, ma l’Ipcc farà queste valutazioni in vista del suo settimo rapporto, che è previsto però solo nel 2029. Entro quell’anno si tenterà di implementare metodologie che uniscano i modelli e gli inventari, per arrivare a una sola misura.

© Riproduzione riservata