Tra le domande con cui parte la Cop29, ce n’è una su un gas serra in particolare: il metano.

Riusciranno i paesi che si riuniscono a Baku a trovare soluzioni per abbassare i livelli di questo gas, che impatta sull’atmosfera molto più della CO2, ma per un tempo molto più breve?

Trovare una soluzione alle emissioni di metano vorrebbe dire avere un impatto già nei prossimi vent’anni, mentre la riduzione della CO2 potrebbe avere effetti solo su scale più lunghe. È il pezzo di azione per il clima che può mostrare la reale volontà di paesi e governi di agire per il clima senza procrastinare.

Impegni disattesi

Il problema è che tutti gli impegni sulla riduzione delle emissioni di metano presi negli ultimi anni, a partire dal Global Methane Pledge firmato alla Cop26 di Glasgow, sono stati drammaticamente disattesi. Tagliare le emissioni di metano è l’unica strada per avere una mitigazione efficace anche nel breve termine, ma questa, finora, è la storia di un’occasione persa.

Anzi, i livelli di metano non hanno fatto che aumentare negli ultimi vent’anni. Le curve di emissioni della CO2 salgono vertiginosamente già dal secondo dopoguerra, mentre il disastro atmosferico causato dal metano è una storia più recente: la sua concentrazione in atmosfera è stata stabile fino al 2007, quando si è registrata un’impennata improvvisa, di circa cinque parti per miliardo ogni anno. Dal 2020 il tasso è addirittura raddoppiato.

Non una buona notizia per un gas che intrappola calore in atmosfera 80 volte più della CO2. L’accordo sul metano che era stato voluto dal governo britannico alla Cop26 prevedeva un taglio delle emissioni del 30 per cento entro il 2030 ed era stato firmato da quasi 160 paesi. Da allora non ci sono stati progressi. Anzi.

L’International Methane Emissions Observatory (Imeo) ha segnalato da allora 1.100 incidenti con perdite di metano alle aziende del settore oil&gas e, come riporta Bloomberg, le volte in cui queste sono intervenute per tappare le perdite delle loro estrazioni «si contano sulle dita di una sola mano», a sentire le parole di Manfredi Caltagirone, capo di Imeo.

Il problema dei dati

Uno dei grandi problemi delle perdite di metano da estrazione di gas o petrolio è che ci troviamo di fronte a numeri molto diversi, che si tratti di quelli dichiarati dalle compagnie petrolifere e quelli degli osservatori scientifici indipendenti (compresi quelli più istituzionali come la Iea).

Il metano ha un enorme problema di trasparenza dei dati. Il gruppo di 12 major della Oil and Gas Climate Initiative (tra cui Saudi Aramco ed Exxon) sostiene di aver dimezzato le emissioni dal 2017, ma quelle rilevate in atmosfera non fanno altro che salire. Secondo la Iea, sono cresciute al tasso più alto di sempre negli ultimi quattro anni.

Una delle più grandi svolte nell’analisi del metano è stato la possibilità di rilevarne le perdite attraverso l’osservazione satellitare, anche con dispositivi lanciati dalla società civile (come MethaneSat). È a partire da quel momento che ci siamo resi conto che la situazione era peggiore di quanto pensassimo.

Il problema del metano si è trascinato stancamente da Glasgow, dove almeno fu fatto un tentativo – alle successive COP di Sharm el Sheikh e Dubai, dove quel tentativo si era arenato – e difficilmente vedremo dei progressi a Baku, perché l’Azerbaigian è uno dei grandi produttori mondiali di gas (e fornitore di Italia e Unione europea), e quindi difficilmente andrà a toccare il suo principale business, anche se quest’anno (solo quest’anno) ha annunciato di essere entrato nel Global Methane Pledge.

Tra gli obiettivi della presidenza azera c’è un impegno internazionale sul metano prodotto dalle discariche, la fonte di metano politicamente meno problematica, visto che le altre due sono idrocarburi e allevamenti.

Secondo una ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences, le zone umide del mondo stanno collassando a causa dell’aumento delle temperature, e questo potrebbe essere un altro dei fattori che hanno contribuito a far crescere così velocemente le emissioni, con hotspot delle perdite concentrati soprattutto nel bacino amazzonico e in quello del Congo. Un altro tassello di un quadro che è sempre più complesso, e che avrebbe bisogno di risposte politiche e veloci.

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