Per la prima volta uno studio pubblicato dalla rivista One Earth: Time to pay the piper e condotto dal professor Marco Grasso dell’università degli studi di Milano-Bicocca e dal cofondatore e direttore del Climate Accountability Institute Richard Heede, ha tramutato in cifre i danni provocati dalle compagnie petrolifere nei confronti dell’ambiente. Ogni anno Saudi Aramco, ExxonMobil, Shell, BP, Chevron e altri sarebbero responsabili di un danno morale che ammonta ad almeno 209 miliardi di dollari. Stima che si prevede simile fino al 2050.

Calcolare le responsabilità

Lo studio si inserisce in un dibattito che sta pian piano prendendo piede all’interno della comunità e della letteratura scientifica del settore, così come tra i movimenti per il clima e in politica (perlopiù estera). Per calcolare la responsabilità e quindi il risarcimento morale in capo ai produttori di petrolio, gas e carbone, i due autori si sono affidati al Carbon Majors Database, considerando i dati relativi alle emissioni di carbonio che hanno causato condizioni meteorologiche estreme e altri danni ambientali registrati tra il 1988 e il 2022.

Il 1988 è infatti l’anno in cui è stato istituito il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che a sua volta contiene l’organizzazione meteorologica mondiale e il programma delle Nazioni unite per l’ambiente che ha dato il via ai primi studi sul riscaldamento globale. Come ricordato dal Climate Accountability Institute infatti, gli impatti dei cambiamenti climatici che sperimenteremo nei prossimi decenni hanno avuto origine a seguito delle emissioni prodotte dalla fine degli anni Ottanta in poi.

Secondo il professor Grasso, «il quadro proposto per quantificare e attribuire i risarcimenti ai principali produttori di emissioni di carbonio si basa sulla teoria morale e fornisce un punto di partenza per la discussione delle responsabilità economiche che l’industria dei combustibili fossili ha nei confronti delle vittime del clima», e si augura che i risultati riscontrati siano da monito per indirizzare gli sforzi futuri in questo senso. Le prime undici compagnie petrolifere considerate dallo studio, quelle più responsabili in termini di danni climatici, sono perlopiù statunitensi, inglesi e saudite.

Secondo lo studio Saudi Aramco, compagnia nazionale saudita di idrocarburi, è in testa alle emissioni prodotte da fonti direttamente e indirettamente collegate alle proprie attività (circa il 4,8 per cento di quelle registrate a livello globale) e dovrebbe risarcire ogni anno più di 40 miliardi di dollari. Per ExxonMobil, una delle principali compagnie petrolifere statunitensi che ha registrato profitti per 56 miliardi di dollari nel 2022, sono stati stimati danni morali per 18 miliardi. Le inglesi Shell e BP si attestano tra i 14 e i 16 miliardi.

Unica europea è la francese TotalEnergies, trascinata in tribunale nel 2020 da una coalizione di sei organizzazioni non governative e sedici città francesi per “inazione climatica” e per non essersi allineata agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Gli attivisti sperano in un caso equivalente a quello che ha coinvolto Shell in Olanda, quando un giudice ha condannato il gigante inglese a tagliare le proprie emissioni di gas serra del 45 per cento. La decisione finale è attesa per il 2024, o al più tardi nel 2025.

La punta dell’iceberg

Nello studio si sottolineano anche altri due aspetti. Secondo le stime calcolate, l’industria globale dei combustibili fossili e l’impatto dei cambiamenti climatici da essa provocati tra il 2025 e il 2050 causerà una perdita economica annuale di quasi 900 miliardi di dollari l’anno.

Per il direttore del Cilmate Accountability Institute Heede, lo studio pubblicato «è solo la punta dell’iceberg dei danni climatici a lungo termine» poiché oltre ai sostanziali danni economici che saranno registrati da ora a trent’anni, non considera la perdita di ecosistemi, di vite umane e di mezzi di sussistenza che definiscono la nostra vita sul pianeta e non sono economicamente quantificabili.

La responsabilità morale, e il pagamento dei danni ad essa collegati, potrebbe essere uno strumento volto ad includere le compagnie petrolifere nel discorso pubblico sul cambiamento climatico e definire il modo in cui possono o meno operare sul mercato attraverso l’adozione di pratiche commerciali sostenibili.

Secondo i due ricercatori, per accelerare un’inversione di rotta tempestiva sarebbe quindi importante ridefinire il ruolo che l’industria dei combustibili fossili ha avuto finora, da spettatrice che massimizza il suo profitto ai danni dell’ambiente a responsabile di ciò che la comunità scientifica del settore da tempo indica come una delle principali cause del cambiamento climatico.

 

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