- Ci sono state delle settimane, tra i mesi di luglio e di agosto della scorsa estate, in cui gran parte dell’emisfero boreale sembrava andare a fuoco.
- Parte di quegli incendi ora si sono spenti ed è già possibile fare un bilancio delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, in attesa che purtroppo cominci l’analoga stagione degli incendi nell’emisfero australe.
- Gli incendi del mese di luglio hanno emesso nell’atmosfera 1,3 gigatonnellate di CO2, un record, immediatamente superato da quello del mese successivo: ad agosto le emissioni causate dagli incendi nell’emisfero boreale sono arrivate a 1,4 gigatonnellate di CO2.
Ci sono state delle settimane, tra i mesi di luglio e di agosto della scorsa estate, in cui gran parte dell’emisfero boreale sembrava andare a fuoco. Visto dall’alto di una mappa sembrava un anello rosso che circondava la terre emerse dal Canada e gli Stati Uniti occidentali al bacino del Mediterraneo, dove ci sono stati incendi record nei boschi della Spagna, del Portogallo, della Grecia, dell’Italia, dell’Algeria, di Cipro, della Turchia, fino ad arrivare alle regioni più remote della Siberia russa: Chukotka, Irkutsk e soprattutto Sakha.
Parte di quegli incendi ora si sono spenti – anche se in California siamo ancora lontani dalla fine della stagione del fuoco, che di solito dura fino a fine ottobre, con le foreste di sequoie giganti sotto minaccia – ed è già possibile fare un bilancio delle emissioni di gas serra nell’atmosfera, in attesa che purtroppo cominci l’analoga stagione degli incendi nell’emisfero australe.
Ci ha pensato Copernicus Atmosphere Monitoring Service (Cams), il servizio di osservazione satellitare dell’Unione europea. Gli incendi del mese di luglio hanno emesso nell’atmosfera 1,3 gigatonnellate di CO2, un record, immediatamente superato da quello del mese successivo: ad agosto le emissioni causate dagli incendi nell’emisfero boreale sono arrivate a 1,4 gigatonnellate di CO2. Il grosso è stato causato dai due focolai più imponenti: quello localizzato tra gli Stati Uniti e Canada occidentali, che hanno abbassato la qualità dell’aria fino alla costa atlantica e alle isole britanniche, e quello siberiano, che solo all’inizio di settembre ha iniziato a placarsi, dopo aver fatto arrivare le tracce del fumo fino al Polo Nord. Per dare una prospettiva, è come se in soli due mesi dell’estate 2020 gli incendi avessero aggiunto all’atmosfera l’equivalente delle emissioni annuali di un’economia grande come quella dell’India.
Questa è la perfetta rappresentazione di come funziona il ciclo di alcuni eventi climatici estremi come gli incendi: vengono incoraggiati, potenziati e in alcuni casi direttamente causati da condizioni create dall'aumento delle temperature, come la siccità, lo stress idrico nelle foreste e il calore estremo per periodi prolungati di tempo. Dopo la scintilla, si scatenano causando danni ecologici e sociali enormi, e infine contribuiscono a loro volta, con le emissioni di carbonio, ad esasperare le condizioni climatiche che porteranno ad altri incendi, in un loop che si autoalimenta anno dopo anno.
Tra le foreste che sono andate in fiamme, soprattutto negli Stati Uniti e nel Canada, ce ne anche state alcune che erano finite nei programmi di carbon offsetting, che quindi erano state protette allo scopo di migliorare i conti delle emissioni nette, in base al principio che gli alberi assorbono carbonio dall’atmosfera.
L’impatto degli incendi però mostra ancora una volta la debolezza di questo modello di mitigazione climatica, soprattutto quando viene applicato su larga scala. Una tonnellata di CO2 risparmiata rinunciato alle fonti fossili è una tonnellata risparmiata per sempre, una tonnellata di CO2 risparmiata calcolando l’assorbimento di carbonio di una foresta «salvata» sarà sempre soggetta alle azioni di disturbo naturali, come vento e incendi, che rischiano di sottrarre quell’assorbimento dall’atmosfera, esattamente come è successo la scorsa estate.
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