- La Russia, uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e gas, dovrà affrontare lavori dal costo di miliardi di euro lungo gli oleodotti dell’Artico a causa del disgelo del permafrost che li destabilizza.
- È possibile che si cambi il modo con cui verranno trasportati petrolio e gas. Invece di costruire più oleodotti, il paese potrebbe utilizzare petroliere e metaniere. Ma queste producono fuliggine che scurisce la neve e ne accelera lo scioglimento.
- Fino a quindici anni fa si credeva che il nostro sistema solare fosse simile a molti altri che dovevano ancora essere osservati. E invece il nostro ha un’anomalia piuttosto rara, dovuta alla presenza di due giganti come Giove e Saturno.
Secondo una nuova ricerca, la Russia, uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio e gas, dovrà affrontare lavori dal costo di miliardi di euro lungo gli oleodotti dell’Artico a causa del disgelo del permafrost che li destabilizza.
La Russia produce l’80 per cento del suo gas naturale nell'Artico, dove l’aumento delle temperature sta scongelando un terreno che è stato congelato per decine di migliaia e persino centinaia di migliaia di anni. «I gasdotti sono particolarmente vulnerabili a tutto ciò», ha detto Meredydd Evans ,del Pacific Northwest National Laboratory, perché l’estrazione del gas naturale avviene un po’ più a nord e quindi maggiormente nel territorio del permafrost, rispetto all’estrazione del petrolio.
Quando il permafrost si fonde, il livello del suolo sprofonda, da alcuni centimetri fino a più di una dozzina di centimetri all’anno. La maggior parte degli oleodotti russi corre al di sotto della superficie, il che li rende ancor più vulnerabili ai movimenti del suolo.
Le variazioni del livello di quest’ultimo deviano e deformano le tubazioni in modo non uniforme e l’acqua che si accumula attorno ai tubi li corrode. Stando alle proiezioni realizzate da Evans sul permafrost della regione, è possibile che nei prossimi 20 anni in alcuni punti il terreno, là dove corrono i gasdotti, potrebbero abbassarsi fino a mezzo metro.
Ma un abbassamento del suolo anche di soli 10 centimetri può essere sufficiente per causare gravi danni alle condutture. E così se la situazione dovesse rimanere quella odierna i costi dei guasti che subiranno le condutture non saranno inferiori ai 100 miliardi di euro da qui al 2040.
Saranno così gravi che le riparazioni ai gasdotti potrebbero competere con le entrate del gas naturale. Se la situazione futura dovesse essere quella prevista da Evans è possibile che si cambi il modo con cui verranno trasportati petrolio e gas. Invece di costruire più oleodotti, il paese potrebbe utilizzare petroliere e metaniere. Ma queste producono fuliggine, o carbonio nero, che scurisce la neve e accelera lo scioglimento.
Una stravaganza cosmica?
Se si cercassero sui libri di scienza scolastici le caratteristiche e la storia del nostro sistema solare leggeremmo più o meno questo: al suo interno vi sono quattro piccoli pianeti rocciosi chiamati Mercurio, Venere, Terra e Marte.
Poi vi sono anche quattro grandi pianeti gassosi: Giove, Saturno, Urano e Nettuno. I quattro piccoli pianeti ruotano vicino al Sole perché lì faceva molto caldo all’inizio dei tempi e dunque il materiale più leggero era stato spazzato via, lasciando solo rocce per creare i piccoli pianeti.
Ma più lontano faceva più freddo e c’era molto ghiaccio e grandi quantità di gas, quindi in quella zona di spazio i pianeti divennero grandi giganti gassosi. Questa storia l’avrebbero raccontata così anche gli astronomi fino a pochi anni or sono.
Ma negli ultimi dieci anni tale ricostruzione ha iniziato a traballare.
Il motivo è semplice: in questo decennio abbiamo trovato un gran numero di sistemi solari altrove nella nostra galassia, ma nessuno assomiglia al nostro. Ci sono pianeti giganti gassosi vicini alle loro stelle madri, un gran numero di pianeti rocciosi più grandi della Terra, sistemi compatti con mondi rocciosi incastrati tra giganti gassosi: tutto è permesso.
Di fronte alle prime scoperte si era ipotizzato di liquidare questi sistemi solari come stravaganti, ma dopo migliaia di sistemi solari così diversi dal nostro, ora c’è che ipotizza che sia il nostro un sistema solare eccentrico.
Agli inizi degli anni Novanta sono stati scoperti i primi esopianeti in orbita attorno a stelle con caratteristiche simili a Giove, i quali ruotano attorno alle stelle così vicino a loro che un anno dura solo pochi giorni.
Per questo motivo tali pianeti sono stati chiamati “Giove-caldo”. Sembravano mondi sbagliati in posti sbagliati. I pianeti si formano da un disco di gas polveroso attorno a una giovane stella.
Per creare un gigante gassoso è necessario un nucleo solido di materiale con una massa di molto superiore alla massa della Terra, che sia centro di gravità attorno al quale il gas può accumularsi.
Ma il torrente di radiazioni che soffia da una giovane stella rende impossibile che ciò si possa verificare vicino ad essa. «Tutto il gas evaporerà, perché fa molto caldo in quella regione di spazio», ha spiegato Hannah Wakeford dell’Università di Bristol sulla rivista NewScientist.
«Nessun astronomo, e intendo proprio nessuno, direbbe che questi “Giove ultra-caldi” possono essersi formati vicino alle loro stelle», aggiunge Stephen Mojzsis del Collaborative for Research in Origins con sede a Boulder, Colorado.
E dunque? Ciò lascia solo un’opzione: i Giove-caldi devono essersi formati altrove ed essersi avvicinati alla stella solo dopo la loro formazione. Ma ecco la domanda successiva: “Come si sposta un pianeta all’interno di un sistema solare?”
I teorici hanno presto trovato una risposta. Quando un pianeta accumula massa, la sua gravità può creare differenze di densità all’interno del disco di gas in cui si forma, alterando a sua volta il “momento angolare” (grandezza fisica che dipende dalla rotazione e dalla massa di un oggetto) del pianeta e ciò provoca una traiettoria a spirale che lo porta verso l’interno o verso l’esterno del sistema solare.
La storia dei sistemi solari è ben diversa da quella raccontata all’inizio. È stato così che alcuni astronomi hanno iniziato a rivolgere le ricerche su noi stessi. La migrazione planetaria ha fornito una soluzione intelligente sotto forma del Modello di Nizza, dal nome della città francese in cui è stato formulato il modello nel 2005.
Per spiegare la disposizione dei nostri pianeti è necessario ipotizzare che i quattro pianeti giganti esterni fossero originariamente in una configurazione più compatta, i quali potessero interagire gravitazionalmente, muovendosi dalle loro orbite verso l’interno del sistema solare.
Ciò avrebbe fatto sì che i due più grandi pianeti sottraessero materiale ad Urano e Nettuno impedendo loro di accrescersi ancor di più. Inoltre, l’instabilità gravitazionale causata dai giganti in movimento avrebbe causato la pioggia di asteroidi verso il Sole, spiegando la superficie craterizzata della Luna che si verificò circa 3,9 miliardi di anni fa.
Oltre ad altre spiegazioni la migrazione dei pianeti potrebbe anche chiarire la mancanza più sconcertante del nostro sistema solare: la presenza di pianeti con dimensioni intermedie tra la Terra e Giove.
«Il fatto che siano praticamente ovunque suggerisce che si possono formare facilmente», afferma Wakeford. L’assenza nel nostro sistema solare potrebbe essere spiegata se si ipotizza che Giove si sia formato ad una distanza maggiore rispetto ad oggi per poi migrare verso l’interno del sistema solare, infilandosi nello spazio dove si sarebbe potuto formare una super-Terra.
Se Giove fosse stato lasciato andare senza alcun controllo avrebbe spinto i pianeti interni, inclusa la Terra, a una fine infuocata nel cuore del Sole, diventando poi esso stesso un Giove-caldo. Non l’ha fatto, perché il nostro sistema solare non ha un solo gigante, ma due… e Saturno ha salvato la situazione.
«È grande circa l’80 per cento di Giove e ciò significava che Giove aveva un guinzaglio», afferma Wakeford. In questo modello, anche Saturno stava migrando verso l’interno, ma più velocemente di Giove. Man mano che si avvicinavano, sono rimasti bloccati in interazioni gravitazionali che hanno rallentato e poi invertito la loro migrazione, uno scenario noto come “grande virata”. Ciò li portò là dove oggi li vediamo.
È anche questa una storia che verrà surclassata da un’altra ancora? Forse. Ma intanto c’è una piccola prova a suo favore. All’inizio del 2021, Fridolin Spitzer dell’Università di Münster in Germania e i suoi colleghi hanno dimostrato che il meteorite Nedagolla, precipitato in India nel 1870 contiene un mix di ingredienti del sistema solare interno ed esterno, suggerendo che qualcosa è successo per fondere queste composizioni.
Negli anni Novanta gli astronomi erano sicuri che dopo 15 anni avremmo trovato sistemi solari gemelli al nostro, soprattutto con pianeti delle dimensioni di Giove dove si trova il nostro Giove.
Un quarto di secolo dopo sono noti quasi 5.000 esopianeti scoperti, suddivisi tra circa 3.600 sistemi planetari, di cui circa 800 con più pianeti. Super-Terre, mini-Nettuno e Giove-caldi sembrano comuni, ma sono stati trovati pochi preziosi “Giove-Giove”. Forse una spiegazione sta nel modo con cui cerchiamo e troviamo gli esopianeti. Ogni metodo di rilevamento ha una sensibilità intrinseca verso il rilevamento di determinati tipi di mondi. Questo rende difficile definire quale sia un sistema solare “normale”, non è detto infatti, che sistemi solari come il nostro potrebbero essere relativamente comuni, ma non li abbiamo ancora visti. Forse sono là fuori, con esseri come noi, che aspettano di essere scoperti.
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