Non bastano gli incendi e gli uragani a convincere gli scettici che ci sia una crisi ambientale. Anzi, se la realtà è questa, tanto vale immaginarne un’altra, fatta di teorie e cospirazioni
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Ora che il Covid è un po’ meno pericoloso, si parla meno di vaccini e anche i complottisti americani hanno trovato un nuovo bersaglio: la geoingegneria. È una disciplina innovativa e per questo si presta bene a vederci “qualcosa dietro”, qualcosa che “non ce lo dicono!?!”, come fanno appunto con i vaccini, con il 5g e con altri misteri da decriptare e da tradurre in un grande progetto che, per i cospirazionisti, serve ovviamente a danneggiare Donald Trump e favorire Kamala Harris.
La grande cospirazione
Il vero obiettivo della geoingegneria sarebbe in realtà di salvarci dalla crisi climatica in modo davvero innovativo: riducendo ad esempio l’anidride carbonica nell’atmosfera o riducendo le radiazioni solari. Come tutte le innovazioni scientifiche, non mancano le critiche e gli aspetti controversi, ma negli Stati Uniti si è andati oltre, fino a imputare alla disciplina obiettivi nascosti, molto simili a quelli di chi diffonde scie chimiche nel cielo.
È un tema tanto sentito che nel Tennessee repubblicano, dove la vittoria di Trump non è in dubbio, si è deciso di vietare la geoingegneria e ogni altro tentativo di modificare l’atmosfera. Secondo i cospirazionisti, non è infatti il cambiamento climatico a causare i disastri ambientali che proprio negli Stati Uniti si stanno sperimentando con un’intensità senza precedenti, fra incendi e uragani.
Sarebbe un grande progetto ordito da variabili “poteri forti”. Soltanto una resistenza dal basso potrà salvarci da questo complotto, delegando semmai il comando ad altri uomini forti, ma “dalla parte giusta”: insomma, votando per Trump.
Negazionismo
Tutte queste teorie sono state ovviamente smentite dalla comunità scientifica, ma altrettanto ovviamente è un fatto che importa poco ai cospirazionisti, anzi è semmai una dimostrazione della validità delle loro teorie. E così questa campagna elettorale americana ha in un certo senso visto il ritorno del negazionismo climatico, ma in un contesto profondamente cambiato rispetto a otto anni fa, quando Trump era diventato presidente.
Da un lato c’è Twitter, ora chiamato X, che sotto l’egida di Elon Musk è diventato il luogo perfetto anche per la disinformazione climatica. Alcune fra le più importanti associazioni ambientaliste hanno dato un voto ai colossi della tecnologia proprio su questo tema: senza troppe sorprese, X ha preso quello peggiore.
Allo stesso tempo, alcuni effetti del cambiamento climatico sono ormai evidentissimi e si misurano proprio negli Stati Uniti, dove ad esempio gli incendi estremi nelle foreste di conifere sono aumentati di oltre dieci volte negli ultimi vent’anni.
E poi ovviamente ci sono gli uragani, con Milton che ha colpito la Florida ad un mese dal voto. Ovvero, un altro stato repubblicano, dove secondo i sondaggi Trump è in vantaggio di quasi sei punti percentuali.
E dove il governatore Ron DeSantis si è vantato di aver eliminato ogni riferimento al cambiamento climatico dalle leggi dello stato.
Creare gli uragani
Insomma, se la realtà è tanto evidente, tanto vale immaginare che ci sia un’altra realtà superiore e nascosta, che dia una spiegazione alternativa a quello che succede. Ed è il contesto migliore per alimentare le cospirazioni: la colpa è della geoingegneria o di altri progetti di ricerca scientifica, come il sempreverde programma Haarp (High-Frequency Active Auroral Research Program).
È un’iniziativa dell’Università dell’Alaska per studiare la ionosfera, ma, secondo i cospirazionisti, è il centro dove variabilmente si confezionano gli uragani, si programmano i terremoti o si controllano le menti con le onde radio.
La Reuters ha raccolto e smentito alcune delle più diffuse teorie alternative sulla formazione degli uragani. Alcune sono state ricondivise anche da esponenti politici di rilievo: come Marjorie Taylor Greene rappresentante repubblicana di estrema destra, già sostenitrice della teoria QAnon. «Sì, possono controllare il meteo. È ridicolo che qualcuno menta dicendo che non si possa fare».
La ricerca
In realtà se si guarda la situazione a livello nazionale, sembra che queste posizioni siano ancora minoritarie. Anzi, secondo una ricerca promossa dall’Associated Press e realizzata dall’Università di Chicago, sembra che nel 2024 abbia ripreso forza l’idea che ci sia un cambiamento climatico causato proprio dall’uomo, dopo qualche anno in cui i negazionisti erano invece in aumento.
Se poi però si entra più nello specifico, si scopre che il cambio di rotta è soprattutto merito dei giovani democratici: solo nell’ultimo anno è aumentato del 7 per cento la quota di chi fra loro si è convinto che il cambiamento climatico sia causato dagli uomini, fino ad arrivare a una percentuale totale del 67 per cento.
È interessante però notare che anche i giovani repubblicani si stanno convincendo non solo che il cambiamento climatico esista, ma che sia colpa dell’uomo: la quota è oggi del 40 per cento, rispetto al solo 26 per cento del 2017. Fra i repubblicani più anziani la percentuale è invece rimasta invariata: sono loro i peggiori negazionisti. E sono sempre loro i maggiori sostenitori dell’utilizzo di combustibili fossili rispetto alle fonti rinnovabili.
Senza troppe sorprese, la ricerca certifica anche che chi ha sperimentato sulla propria pelle eventi climatici estremi (come uragani, siccità, inondazioni, temperature insolite e incendi boschivi) è più propenso a cambiare opinione e a battersi contro il cambiamento climatico.
Il pensiero di Trump
Il problema è semmai che la quota di repubblicani anziani è proprio quella che più sostiene la corsa di Trump, in una sincera condivisione di intenti che supera probabilmente anche il più cinico dei calcoli elettorali. Come i suoi sostenitori, Trump ritiene che l’uomo non sia il fattore principale del cambiamento climatico e ha più volte definito il riscaldamento globale come una bufala.
La colpa degli incendi boschivi – ha sostenuto Trump nel 2019, smentendo ogni teoria scientifica – sarebbe di una cattiva gestione delle foreste.
E queste convinzioni sono tutte coerenti con l’atteggiamento adottato da presidente, quando ha ostacolato o revocato più di 125 norme che erano pensate per proteggere l’ambiente e ridurre le emissioni nell’atmosfera. Senza contare la decisione più simbolica: quella di far uscire gli Stati Uniti dall’accordo di Parigi, il trattato internazionale che impegna gli stati a ridurre le emissioni in atmosfera.
Una realtà alternativa
Quattro anni fa la vittoria di Biden su Trump era stata celebrata come la vittoria della scienza sulla superstizione: nella lotta della pandemia innanzitutto, ma anche in quella al cambiamento climatico. Ovviamente c’è chi crede che in questi ultimi quattro anni si potesse fare di più, ma è indubbio che dal punto di vista simbolico è stato questo.
Ora il ritorno di Trump, con Jd Vance candidato alla vicepresidenza, sembra andare nella direzione opposta: è il ritorno del negazionismo contro la scienza. Ma ciò che è più significativo è il contesto in cui tutto questo avviene.
Sembra quasi che su un certo tipo di elettorato – perlopiù repubblicano e perlopiù anziano – non bastino neppure gli effetti visibili dei disastri climatici per credere alla scienza. La sensazione è che ci possa essere sempre qualcosa di più, qualcosa di diverso, qualcosa di nascosto che possa raccontare una realtà alternativa.
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