INCHIESTA FINANZIATA DAI LETTORI – Edison, erede delle società che hanno inquinato l’area di Bussi in Abruzzo, deve pagare la messa in sicurezza. Lo sanno tutti da anni e lo dicono le sentenze, ma anche il ministero dell’Ambiente ha rallentato i lavori
- Nel 1901 la Società Franco-Svizzera di Elettricità ha creato il sito industriale in provincia di Pescara che ha fatto di Bussi «la discarica di veleni più grande d’Europa», come fu definita nel 2007 quando gli agenti del Corpo Forestale individuarono oltre 185 mila metri cubi di inquinanti.
- Il caso abruzzese è esemplare del problema nel problema: scoperto l'inquinamento, non si riesce a pulire: a Bussi aspettano da 13 anni che parta la bonifica.
- Da aprile 2020, il Consiglio di Stato ha risolto il contenzioso tra Edison Spa e provincia di Pescara, comune di Bussi, regione Abruzzo e ministero dell’Ambiente, ordinando alla società elettrica di farsi carico della bonifica.
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Bussi sul Tirino, 2.700 anime in provincia di Pescara, è incastonato in un paesaggio straordinario, alla confluenza del Tirino e del Pescara. Nel 1901 la Società Franco-Svizzera di Elettricità ha visto l’abbondanza di acqua ed è nato il sito industriale che ha fatto di Bussi «la discarica di veleni più grande d’Europa», come fu definita nel 2007 quando gli agenti del Corpo Forestale individuarono oltre 185 mila metri cubi di inquinanti come cloroformio, tetracloruro di carbonio, metalli pesanti.
Questa eredità di veleno lasciata dalla chimica è il filo rosso che unisce posti lontani come Spinetta Marengo in Piemonte e Trissino in Veneto fino all’Abruzzo. Il caso abruzzese è esemplare del problema nel problema: scoperto l'inquinamento, non si riesce a pulire: a Bussi aspettano da 13 anni che parta la bonifica.
Da aprile 2020 per Bussi c’è un responsabile. Il Consiglio di Stato ha risolto il contenzioso tra Edison Spa e provincia di Pescara, comune di Bussi, regione Abruzzo e ministero dell’Ambiente, ordinando alla società elettrica (erede legittima di un inquinamento prodotto dalla chimica della Montedison) di farsi carico della bonifica delle discariche cosiddette 2A e 2B a monte dello stabilimento. «La sentenza di aprile è fondamentale, riconosce la responsabilità del disastro ambientale e applica il principio guida dell'Europa in tema di ambiente: “chi inquina paga”». A parlare è Cristina Gerardis, avvocato dello Stato che ha rappresentato il governo e la regione nel processo. «Tuttavia», spiega, «il cuore giuridico del caso Bussi sta nella sentenza della Cassazione del 2018 che ha concluso il processo per disastro ambientale e avvelenamento a carico di 19 manager attivi in anni diversi nello stabilimento. Gli imputati sono stati prescritti, ma per sei di loro la sentenza sancisce che i fatti di avvelenamento e disastro ambientale sono effettivamente avvenuti».
Tra gli imputati di Bussi c’è anche l’ex site manager Luigi Guarracino, già attivo anche a Spinetta Marengo e tra gli ex manager Miteni di Trissino per cui il pubblico ministero Barbara De Munari ha chiesto il rinvio a giudizio nel processo di Vicenza. Dopo la sentenza della Cassazione l’avvocatura dello Stato - su richiesta del ministero dell’Ambiente - ha chiesto alla Edison un miliardo e mezzo di risarcimenti per il danno ambientale. Per ragioni inspiegabili la causa è ferma da quasi un anno al tribunale civile dell'Aquila.
L’anno zero per la bonifica
Nel frattempo continua a inquinarsi la grande falda a valle dell'azienda da cui pesca l’acquedotto di Colle Sant’Angelo che serve 500 mila cittadini. «Siamo all’anno zero per la bonifica. La mia giunta è qui da sette anni e già allora ci trovammo di fronte a una situazione incredibile: nonostante ci fosse uno stanziamento di 50 milioni di euro per la bonifica, non si andava avanti, perché mancava il piano di caratterizzazione, che è fondamentale, perché è la fotografia del territorio da bonificare. E’ diventata la nostra priorità e siamo riusciti a farlo approvare al ministero a febbraio 2015».
Il sindaco di Bussi Salvatore Lagatta è stato in questi anni una delle voci più critiche rispetto ai ritardi di un processo che – a fronte di tutte le certezze del diritto – non parte. «Nel 2018 riusciamo a terminare l’iter burocratico ma il proprietario dei terreni – all’epoca la Solvay – impedisce l’accesso per la bonifica. A quel punto dal ministero hanno fatto sapere alla regione Abruzzo che se i terreni non passavano a loro non si poteva partire e le aziende che avevano vinto gli appalti per la bonifica avrebbero chiesto anche i danni. Il mio comune si è offerto di acquistare, contando anche sul denaro che lo Stato avrebbe recuperato dagli inquinatori. Sapevano tutti chi era, Edison, ma all’epoca non era ancora ufficiale».
A maggio 2018 tutto era pronto – come racconta il sindaco – gara fatta, affidamento definitivo dei lavori che potevano partire. A quel punto la doccia fredda: il ministero blocca il percorso. Anche dopo che la provincia ha individuato il responsabile dell’inquinamento, l’Edison appunto, che dovrà pagare tutto dopo aver perso anche il ricorso al Consiglio di Stato, al ministero, invece di velocizzare le opere di bonifica, cincischiano e a giugno 2020 annullano la gara con motivazioni che Lagatta giudica assurde: «Intanto Edison si limita a mettere dei teli sulla discarica, senza alcuna reale messa in sicurezza. Non mi arrendo e continuerò a denunciare, perché trovo assurdo che il ministero dell’Ambiente, nella sostanza, avalli questo sistema. Noi vogliamo riportare la vita in questo territorio bellissimo e siamo stanchi di aspettare».
Dieci anni di attesa non bastano
Augusto De Sanctis, esponente del Forum H2O che ha riunito nella battaglia per la bonifica del polo chimico di Bussi le realtà della società civile, dà voce alla loro insofferenza: «Le bonifiche non sono partite e non c’è altro da dire: il ministero dell'Ambiente, cioè lo stato, ha fallito. Dieci anni per individuare i responsabili che tutti conoscevano e adesso non partono le bonifiche. Lo dice una sentenza del Tar che sembra quasi che il ministero non sia interessato a risolvere la questione. Noi non lo abbiamo mai sentito dalla nostra parte, nemmeno come arbitro imparziale, anzi ci siamo sentiti ostacolati. Chiederemo al ministro Sergio Costa un’inchiesta interna per accertare le responsabilità. Siamo sconcertati dalla sua indifferenza. Si occupa di Bussi solo a parole».
De Sanctis teme che di questo passo ci vorranno altri venti o trenta anni per bonificare. «La Ruhr, in Germania, è stata bonificata in pochi anni. Bussi è stato uno degli ultimi siti nazionali di bonifica perimetrati, ed è rimasto escluso dal progetto Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Ma l’ultimo dossier rivela un eccesso di patologie anche mortali nel territorio, per questo chiediamo un’indagine epidemiologica».
A Bussi l'esposizione non è stata solo ambientale ma anche attraverso l’acqua potabile: fino al 2007 la bevevano 700 mila persone e lo hanno fatto per più di venti anni. E' un caso unico in Europa per dimensioni e durata.
La regione Abruzzo a inizio 2017 ha avviato una indagine epidemiologica in collaborazione con l’Iss che non è stata completata.
Maurizio Dionisio, direttore generale dell'Arta (Agenzia regionale per la tutela dell’ambiente) è molto perplesso: «Abbiamo destinato una squadra che monitora 24 ore su 24 la situazione a Bussi, anche con il carotaggio degli arbusti per vedere nei tronchi le sostanze che le radici captano dalle falde. Per noi la revoca del finanziamento da 50 milioni di euro per la bonifica decisa dal sottosegretario all’Ambiente Roberto Morassut è stata un colpo: avrebbe permesso la rimozione dei rifiuti interrati una volta per tutte. Le spiegazioni fornite dal ministero non ci hanno affatto convinto. Deve essere la Edison a pagare, certo, ma il ministero avrebbe potuto proseguire nella bonifica già appaltata. I miei tecnici intanto mi riferiscono che la Edison ha messo solo dei teli di plastica su queste colline di rifiuti, con canaline per la raccolta di percolato, ma la rimozione, che è costosa, non ha neanche iniziato a farla. Abbiamo perso mesi di lavoro su una bonifica complessa, ora vedremo che accadrà, sperando che il ministero non ricorra al Consiglio di Stato, sarebbe molto grave».
Le repliche di Edison e ministero
Edison, attraverso una nota dell'ufficio stampa, ha dichiarato a Domani che «conferma i lavori in corso sulla realizzazione della copertura superficiale a completamento della messa in sicurezza e che è stato anche riattivato l’impianto di emungimento delle falda. La fine delle attività di copertura al momento è prevista per marzo 2021».
Il ministro dell’Ambiente Sergio Costa ha risposto alle nostre domande con una nota in cui sottolinea che «l’obiettivo di tutti, a prescindere da vicende giudiziarie che riguardano semmai situazioni del passato da definire, è di arrivare prima possibile alla bonifica».
La nota prosegue poi elencando quanto fatto da Edison negli ultimi mesi. La sentenza del Tar del 3 dicembre – quella che rimette in gioco per la bonifica l'associazione di imprese Dec-Deme – secondo il ministro non ha alcun impatto sui lavori che Edison sta svolgendo nel sito e che consisterebbero, da maggio a oggi, nel ripristino della copertura danneggiata.
Il primo ottobre, al tavolo tecnico sulla bonifica, Edison ha presentato un cronoprogramma in tre fasi per adempiere alla sentenza del Consiglio di stato: le prime due (messa in sicurezza e progetto di bonifica) richiederanno sei mesi. Infine il ministro comunica che, da ottobre al primo dicembre, la compagnia ha comunicato di aver rimosso i rifiuti superficiali, iniziata la mappatura dei pozzi di controllo presenti nel sito, avviato le analisi sui rifiuti e il monitoraggio sulle acque di falda nella parte a monte dello stabilimento.
Una serie di azioni preliminari che però non garantiscono ancora la bonifica vera e propria. Infatti il governo non prende alcun impegno nei confronti degli abruzzesi che aspettano da 13 anni.
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