- Tutte le guerre oltre ai danni umani e ambientali diretti provocato dall’uso delle armi portano danni devastanti all’ambiente e alla salute di chi vive nelle aree colpite, ma l’entità degli accadimenti e delle conseguenze motivano molti interrogativi: su quali aree, che tipo di danni e per quanto tempo si protrarranno?
- Pensando ai rischi ambientali e sanitari, sebbene il primo pensiero vada, non certo a torto, alle centrali nucleari, sono da considerare anche altri tipi di danno, diretti e indiretti, a partire da quello chimico.
- Tutte le matrici ambientali sono colpite dalle attività belliche, dalla movimentazione di polveri radioattive, ai fumi degli incendi di infrastrutture del petrolio e gas, al rilascio di metalli pesanti e polveri tossiche da esplosioni.
Tra i mille motivi per arrivare al più presto alla fine del conflitto in Ucraina il disastro ambientale occupa un posto di tutto rispetto. Tutte le guerre oltre ai danni umani e ambientali diretti provocati dall’uso delle armi portano danni devastanti all’ambiente e alla salute di chi vive nelle aree colpite, ma l’entità degli accadimenti e delle conseguenze motivano molti interrogativi: su quali aree, che tipo di danni e per quanto tempo si protrarranno?
Centrali nucleari e industrie
La guerra portata dall’esercito russo in Ucraina è foriera di gravi conseguenze ambientali, particolarmente disastrose per intensità e per estensione nello spazio e nel tempo. Anche perché l’Ucraina ha molte città di medie e grandi dimensioni (circa due terzi dei 44 milioni di ucraini vivono nelle città) ed è fortemente industrializzata, in particolare nella parte orientale. Quanto al tipo di rischi, sebbene il primo pensiero vada, non certo a torto, alle centrali nucleari, sono da considerare anche altri tipi di danno, diretti e indiretti, a partire da quello chimico.
Gli impianti nucleari sono stati da sùbito al centro della preoccupazione, dopo che l’esercito russo ha occupato e combattuto nell’area delle centrali di Chernobyl e di Zaporizhzhia (la più grande d’Europa e la nona al mondo), e ci accompagnano tutti i giorni con l’arrivo di notizie inquietanti.
Oltre ai rischi per interruzioni di energia, che potrebbero ostacolare il raffreddamento delle 20mila barre di combustibile esaurito ancora immagazzinate a Chernobyl, ci sono rischi concreti di movimentazione di polvere radioattiva da parte delle operazioni militari. Se la bara d’acciaio costruita per confinare i resti del reattore n. 4 di Chernobyl venisse danneggiata, potrebbe spargere polvere radioattiva in tutta la regione; un incidente a Zaporizhzhia, equivalente a 20 Chernobyl, potrebbe essere ancora più disastroso dell’incidente del 1986, anche perché con guerra in corso sarebbe quasi impossibile organizzare una risposta efficace di contenimento (furono reclutati 500mila “liquidatori” in tutta l’Urss).
In Ucraina, ci sono numerosi impianti industriali, soprattutto minerari, siderurgici e chimici, e molti siti di smaltimento di rifiuti pericolosi, alcuni dei quali già distrutti, come nell’area industriale di Mariupol, il più importante porto del mar d’Azov e sito minerario-siderurgico di grandi dimensioni (30mila addetti). Per molti altri impianti, localizzati in aree di conflitto, le informazioni su danni o rischi realistici sono assenti o incerte. Molti dei siti industriali esistenti sono impianti pericolosi, passibili di diventare bombe ecologiche sotto i bombardamenti.
Sostanze tossiche
Un interessante articolo apparso su Time del 18 marzo scorso riportava le preoccupazioni di ingegneri di due impianti chimici nell’area mineraria di Torec’k (60 km a nord di Donetsk), per i possibili impatti dei combattimenti vicino agli impianti, specie a danno dei muri di contenimento di una enorme discarica contenente centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi chimici. Se tracimassero inonderebbero un vicino lago artificiale e poi il fiume Zelizna.
Grande apprensione c’è anche a proposito di dighe idroelettriche che in caso di cedimento potrebbero inondare città e villaggi. C’è poi da considerare il diffuso inquinamento di vasti territori a causa dei fumi degli incendi di infrastrutture del petrolio e gas, del rilascio di metalli pesanti e polveri tossiche da esplosioni e armamenti dismessi, dagli sversamenti di carburante, a carico di tutte le matrici ambientali, aria, suolo, acque superficiali e di falda, colture. L’esposizione umana per respiro, contatto, ingestione delle sostanze tossiche potrà protrarsi nel tempo e avere conseguenze negative sulla salute anche molto dopo la fine della guerra.
La guerra all’ambiente
Inoltre non è da trascurare l’impatto delle difficoltà di gestione dei rifiuti in aree con combattimenti, che potrebbe essere anche molto pesante in caso di blocco del ciclo di trattamento dei rifiuti pericolosi.
Anche sulle malattie infettive le previsioni non possono che essere negative: in tempi di guerra la gestione della pandemia di Covid-19 si è complicata e in alcune zone è saltata completamente. La perdita di elettricità e acqua nelle aree urbane e rurali può facilitare contaminazioni batteriche e malattie infettive.
Avere un quadro preciso dell’entità dei danni ambientali e sanitari durante il conflitto bellico è illusorio, sebbene il ministero dell’Ambiente dell’Ucraina e alcune ong stiano facendo tentativi di catalogare e mappare i danni ambientali. Questa lodevole attività – sebbene incompleta - sarà di grande utilità in fase post bellica, così come avere un quadro epidemiologico e sui danni subiti dai presidi sanitari per poter prendere in carico adeguatamente la salute della popolazione sul breve e lungo termine.
Non c’è dubbio che la guerra in corso sia anche un disastro ambientale su vasta scala con impatti sulla salute sul breve, medio e lungo periodo, e con gravi ripercussioni sulla crisi climatica sia per effetti diretti sia per gli immancabili ritardi nella realizzazione delle politiche di contenimento dei gas serra, in Ucraina e in tutti i paesi coinvolti.
Nel capitolo 12 sulla sicurezza umana del VI rapporto dell’International Panel on Climate Change (Ipcc), è evidenziato anche come i fattori di rischio dei conflitti violenti all’interno degli stati siano sensibili ai cambiamenti climatici, e le persone esposte siano particolarmente vulnerabili.
I legami tra i disastri umani e ambientali delle guerre con i cambiamenti climatici non consentono di far passare in secondo piano l’attuazione delle politiche di contrasto delle cause, ma anzi indicano la necessità di velocizzare la transizione ecologica.
Se la necessità di diminuire la dipendenza dal gas russo giustifica una radicale accelerazione sulle fonti rinnovabili, la lotta ai cambiamenti climatici non giustifica il perdurante ricorso a gas, petrolio e tanto meno al carbone, a meno di sacrificare gli interventi efficaci contro la crisi climatica ed ecosistemica. Questa è la sfida che ci aspetta, particolarmente difficile perché le scorciatoie giocano contro e il tempo a disposizione è stabilito da fenomeni più grandi delle capacità antropiche che li hanno creati.
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