Nella notte tra il 24 e il 25 luglio a Milano si è scatenato un nubifragio di una violenza estrema. Raffiche di vento a centodieci chilometri orari, lampi e fulmini a illuminare il cielo a giorno, palle da tennis di ghiaccio piombavano dappertutto.

A svegliarmi è stato l’ululato del vento - assieme al fracasso della cassapanca in plastica dei miei vicini, issata da una folata e fatta vorticare fino al cortile interno del palazzo –, erano le quattro e quarantacinque e io dormivo un sonno assai beato.

Mi sono alzato dal letto, mi sono affacciato alla finestra della cucina e lì, fermo, sono rimasto imbambolato per dei lunghissimi istanti: di fronte a me, ho pensato, infuriava l’Apocalisse.

Due apocalissi

Non avevo mai visto niente del genere – il cielo era violaceo, le gocce di pioggia saettavano in orizzontale, ché il vento le faceva schizzare impazzite, gli alberi, alti e imponenti, oltre gli edifici, ondeggiavano, navi in balìa delle onde: quella cui stavo assistendo era la fine del mondo, sì.

Il giorno dopo Milano era un cimitero di alberi – ne sono stati contati oltre quattrocento -, che giacevano riversi sulle strade, ancora del tutto allagate, come i cadaveri di soldati morti in battaglia.

Nell’aria c’era una sorta di incredulità. Le persone, traversando le vie, facevano video e foto con i propri cellulari e, qui e lì, si levavano sospiri, gemiti, imprecazioni.

Poche ore dopo, ho sentito i miei genitori al telefono. Dapprima, hanno chiesto se avessi notato qualcosa quella notte – e urca, se l’ho notato –, poi mi hanno raccontato la situazione in Sicilia – sono di Catania, e loro vivono lì – descrivendomi una terra martoriata, e stretta in una morsa folle.

La temperatura era di 48 gradi – «esci da casa, e ti pare di trovarti faccia a faccia con un incendio, tant’è forte il caldo» mi ha detto mia madre –, mancava la corrente elettrica in diverse zone della città, ché il calore aveva squagliato i cavi sotterranei, e gli incendi, specie nella zona del palermitano, stavano massacrando ettari di terreno senza dar tregua, lasciar scampo; campagne, abitazioni, parchi archeologici, strade; persino l’aeroporto di Palermo è stato lambito dal fuoco.

Qui e adesso

APN

Tutto ciò capita dopo l’alluvione in Emilia-Romagna, del maggio scorso – che qui ricordo perché è tra gli eventi climatici estremi più recenti, ma ce ne sono stati moltissimi altri: tra il 2022 e i primi cinque mesi del 2023, difatti, in Italia se ne sono registrati 432 con un aumento del 135 per cento rispetto all’anno precedente; e questi sono dati incontrovertibili. Ecco: che la situazione sia inquietante ai miei occhi è chiaro.

L’Italia, così come il resto del mondo, è stata investita, in piena faccia, dal cambiamento climatico – ma lo sapevamo, che sarebbe successo: solo, non abbiamo voluto dare retta a chi ce lo strepitava addosso.

Troppo presi a gestire le nostre esistenze, troppo impegnati a girarci dall’altra parte, abbiamo deciso, e senza neanche stare troppo a pensarci, che ignorare il problema l’avrebbe di certo fatto sparire o, peggio, che il problema, in effetti, non esistesse proprio. E così, tra un menefreghismo bieco e un negazionismo violento, ci siamo tutti, o quasi, limitati a perseguire l’autodistruzione, scannandoci sui dati, litigando sugli scenari, imbarcandoci per l’Apocalisse - che è arrivata, signori miei: qui e adesso, Lei è qui adesso.

La nostra benda

LaPresse

Le generazioni più giovani, questo dev’essere sottolineato, sono senza dubbio quelle che più hanno cercato, e seguitano a farlo, di svegliare i politici, il cittadino comune, la collettività. Ve la ricordate, la vernice sui monumenti? Ve li ricordate, i blocchi stradali? Ve li ricordate, i FridaysforFuture?

Ecco sì, certo che ve li ricordate. Ditemi, dunque: vi paiono più gravi quelli, o gli ettari siciliani bruciati, forse perduti per sempre? Quelli, o l’ecatombe di alberi che, in una sola notte, sono venuti giù come fuscelli? Quelli, o i centinaia di sfollati che, sia a Catania sia a Palermo – e prima in Emilia-Romagna –, non sapevano se casa propria sarebbe stata ridotta a un cumulo di cenere?

Se dovete ancora realizzare quale sia la risposta dovete prima togliervi dagli occhi la benda che voi stessi avete deciso d’indossare: questi eventi sono tutto fuorché normali, ma causati dalla crisi climatica che noi abbiamo messo in moto e, negli anni, curato con una costanza assassina.

Verso l’estinzione

A cosa ci porterà, tutto questo? Alla morte del pianeta con i suoi tanti, troppi abitanti nel giro di pochi anni – a meno non si faccia qualcosa di pratico, ma se finora non siamo stati capaci che di sospirare al bar, dicendoci che così il tempo sembra proprio pazzo, arrendevoli come se la crisi si fosse innescata da sola, per i fatti suoi, dubito onestamente che riusciremo, nei tempi prescritti dalla natura, a correre ai ripari.

Insomma, mi dispiace, lo dico davvero, metter ansia a chicchessia però la verità è che ci stiamo estinguendo. E con noi stanno morendo i nostri sogni, quelli di tutti, intendo, ma soprattutto, concedetemelo, quelli delle generazioni più giovani - ché di tempo ne abbiamo avuto poco.

Il lutto

Il giorno dopo il nubifragio a Milano, scrollando le storie su Instagram ne ho vista una di un’amica che, postando certi video della catastrofe di quella notte, ha scritto una cosa che mi ha molto colpito.

Da oggi, sono in lutto per i figli che non avrò mai.

Sono rimasto a fissare quelle parole per diversi secondi, e ho realizzato che aveva ragione lei.

Una cosa assai simile, nel pomeriggio, me l’ha detta un altro mio amico: «più ci penso e più mi dico che avere figli non ha alcun senso».

Un sogno infranto

Ikon Images via AP

Abbiamo poco meno di trent’anni – io 28, la mia amica 27, il mio amico 29 –, e la percezione vivida che il mondo stia morendo, finendo. Che senso ha, dunque, dare la vita ad altri esseri umani?

In cosa l’infileremmo e per quale ragione – per dar loro quale esistenza? Se la situazione è destinata, e lo è, a peggiorare, quale futuro è possibile per i nostri figli?

Sogno di mettere su famiglia da quando riesca a ricordare, l’idea mi è sbocciata in testa vivendo la mia, di famiglia – genitori e fratello –, e non mi sono mai disamorato di quel quadretto meraviglioso che ho dipinto negli anni: dei bei figli, una bella casa.

Oggi però mi dico che mettere al mondo un bambino non avrebbe alcun senso, e sono costretto a ucciderlo, e soffocarlo, il mio sogno – vuol dire che adotterò un cane e gli darò un nome di persona: Riccardo e Sofia sono in pole position.

La denatalità

Dunque, sì: anch’io, da oggi, sono in lutto per i figli che non avrò mai.

Lo dico con il cuore che pesa orrendamente, con un’ansia – e anzi, con un’eco-ansia – che mi dilania, con una tristezza che mi pervade e ottunde, non con il sorriso sul volto, non con un tono allegro, non con leggerezza. Lo dico, giuro, con gli occhi che pesano di lacrime. O meglio: lo diciamo, noialtri della mia generazione e quelle poco precedenti, con gli occhi che pesano di lacrime.

Ma intanto, nella siffatta situazione, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ci sgrida, mettendoci in guardia sui rischi della denatalità, e la ministra per la famiglia e le pari opportunità, Eugenia Roccella, rimarca, dicendoci che «in Italia non si fanno figli per un problema culturale. In uno dei tanti incontri che ho fatto c’era anche il giornalista Francesco Verderami, disse: “Sì, infatti oggi l’alternativa è tra lo spritz e il figlio”. Con questo intendeva dire che oggi hai delle opportunità che un tempo non c’erano, che fare i figli può essere un ostacolo a vivere queste opportunità. Io ho detto che bisogna eliminare questi ostacoli, e fare sì che lo spritz sia il figlio, dando un ambiente amichevole nei confronti della genitorialità».

Un’idiozia

A colpirmi, oggi, non è tanto l’associazione tra lo spritz e il figlio, che comunque ha dell’incredibile e questo dobbiamo dirlo, quanto la superficialità con cui si parla di un tema, che di per sé è già difficile, di cui, evidentemente, chi ci governa non sa proprio niente.

Care generazioni precedenti, non avete capito nulla.

Alcuni di noi – non tutti, ovvio; certi di figli non ne vogliono: mettetevi l’animo in pace, andate avanti con le vostre vite – li desidererebbero pure, dei pargoli, ma, semplicemente, ci pare che farne sarebbe un’idiozia.

Aldilà delle difficoltà – economiche e politiche e lavorative – in cui la mia generazione sta venendo su, mi sembra chiaro difatti che far entrare nuova gente in un edificio in fiamme, che sta per crollare, altro non sia che procurare del dolore a chi se lo sarebbe potuto risparmiare – non nascendo, appunto.

Presidente Meloni, ministra Roccella: dico davvero, non sto mentendo né niente del genere, alcuni di noi – alcuni, ribadisco – li vorrebbero sul serio, dei figli, ma fintantoché non faremo niente per spegnere l’incendio che, lento, sta devastando il palazzo della nostra esistenza, il mondo tutto, continueremo a credere che farlo non avrebbe alcun senso; e quindi, sì, certo: all’occasione, ci faremo uno spritz o due.

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