- Il bilancio europeo deve avere fondi propri e bisogna iniziare a costruirlo nella direzione in cui è impegnato il Green Deal. I sussidi ai combustibili fossili, per esempio, non hanno ragione di esistere in economie che prospettano la conversione a zero-emissioni al 2050.
- Ammontano in Ue a più di 35,5 miliardi di euro (Ocse 2019), a fronte di 13 miliardi di carbon tax (i sussidi ai fossili nel mondo superano 420 miliardi di euro).
- Mettere in un fondo europeo i risparmi dei governi in questi sussidi offre un punto di partenza modesto, ma nella direzione giusta
La recente intervista del Commissario Paolo Gentiloni al direttore di Repubblica Maurizio Molinari offre spunti importanti di analisi politica ed economica.
Il primo riguarda la strategia economica europea che caratterizza la programmazione che a preceduto e accompagna la tragedia del Covid-19.
Il Green Deal, che ha unito nel voto i paesi membri lo scorso dicembre, riprende molti valori di fondo del Libro Bianco di Jacques Delors. Attua una svolta per tornare a focalizzarsi sulla crescita attraverso investimenti di lungo periodo in un partenariato pubblico-privato, per i quali sostenibilità ambientale e sociale sono oggi il filtro nuovo.
E’ necessario proteggere i cittadini europei dai disastri climatici e dalle diseguaglianze.
Il piano richiama il valore di una progettualità comune europea, nelle reti energetiche e digitali, negli standard comuni per i servizi della mobilità elettrica, come nella sanità e in molti altri ambiti.
Al contempo indica la responsabilità dei governi nelle politiche di coesione. Entrambi i poli vengono valorizzati negli indirizzi del Recovery and Resilience Plan, per il quale bond europei sono stati già previsti.
L’emissione di titoli europei è un passo avanti impensabile fino a un anno fa, ma non sarà sufficiente per il programma di sostegno ai paesi membri, di investimenti in infrastrutture, di progetti europei.
Il bilancio europeo deve avere fondi propri e bisogna iniziare a costruirlo nella direzione in cui è impegnato il Green Deal: la transizione energetica offre un importante supporto.
I sussidi ai combustibili fossili, per esempio, non hanno ragione di esistere in economie che prospettano la conversione a zero-emissioni al 2050.
Ammontano in Ue a più di 35,5 miliardi di euro (Ocse 2019), a fronte di 13 miliardi di carbon tax (i sussidi ai fossili nel mondo superano 420 miliardi di euro).
Mettere in un fondo europeo i risparmi dei governi in questi sussidi offre un punto di partenza modesto, ma nella direzione giusta, per una cassa comune destinata alla decarbonizzazione, che si somma alla raccolta della vendita dei permessi di emissione (Ets).
A questa si potrà aggiungere gradualmente il ricavato dal prezzo del carbonio, ottenuto da una carbon border adjustment tax che è già presente nel piano della presidente della Commissione Ursula Van der Layen.
L’Ue potrà ben sostenere la sua posizione per un prezzo globale del carbonio al G20 e alla COP 26, poiché nel mondo emissioni, costo del carbonio e sussidi mostrano un bilancio nel quale l’Ue è il soggetto virtuoso.
Questo passo contribuirebbe a far assumere all’Europa la leadership della nuova era di crescita sostenibile, questa volta forte di una evoluzione interna già avviata e reale, ben lontana dalle utopie del Protocollo di Kyoto.
Ai governi dei paesi membri è poi attribuita la responsabilità di attuare questi indirizzi, che non intaccano la competitività nazionale.
La vocazione industriale dell’Italia
E così arrivo al secondo punto dell’intervista di Paolo Gentiloni che vorrei raccogliere. Investe le potenzialità per l’Italia che si attivano nell’utilizzo dei fondi del Next Generation Eu.
Riguarda la scelta della vocazione industriale del Paese, che dovrà essere sistemica e partecipativa.
Superato il trade-off tra crescita e ambiente negli indirizzi europei, con la trasformazione energetica e la rivoluzione digitale insieme si definisce il perimetro di una nuova fase del capitalismo, dopo quella industriale e quella finanziaria.
Poiché le fonti rinnovabili impongono una diversa organizzazione del lavoro e diversi consumi. Anche le catene globali del valore sono modificate.
La filiera delle rinnovabili si allontana dal piccolo nucleo di paesi produttori di petrolio, cui si sono aggiunti di recente gli Stati Uniti: parte dalla Cina (per le terre rare e la frontiera tecnologica di pannelli solari e pale eoliche), attraversa l’Africa (per cobalto e minerali pesanti), riattraversa l’Asia per le diverse componenti e arriva ai consumatori in Europa e negli Stati Uniti. Non è poco se si considera che le componenti di una bicicletta Bianchi (italiana) provengono da 10 paesi -sellino, pedali, freni, ruote e struttura metallica provengono rispettivamente da Cina, Giappone, Singapore, Malesia, Vietnam, Italia, Spagna, Francia e quelle di una Pedego elettrica (vietnamita) da 8 paesi (Germania, Indonesia, Giappone, Italia, Repubblica Ceca, Cina, Taiwan, UK). Richiedono infrastrutture nuove e porti efficienti, dai quali passa oggi l’80 per cento del volume e il 70 per cento del valore aggiunto degli scambi mondiali (World Bank 2020).
La ricostruzione economica in Italia deve confrontarsi con questo nuovo tessuto industriale; dovrà saper cogliere le opportunità che la trasformazione energetica offre per l’occupazione, l’innovazione, la ricerca nel nuovo profilo industriale di lungo periodo, in un’ottica sistemica del Paese proiettata verso l’Ue.
I nuovi progetti europei della filiera energetica sono volti a internalizzare le catene del valore, come la Alleanza europea per le batterie o la Alleanza per l’idrogeno, che apre una nuova filiera industriale. Ad essi l’Italia è chiamata a partecipare.
La trasformazione energetica investe tutti i campi – dalle piattaforme della comunicazione, alla mobilità elettrica, alla domotica, alla trasformazione abitativa, alla produzione di nuovi materiali -l’idrogeno in primo luogo- per decarbonizzare l’industria pesante dove le rinnovabili non possono arrivare, la navigazione (dove Fincantieri già sperimenta una nave a idrogeno) o infine il trasporto aereo.
Politiche attive del lavoro possono trasferire conoscenza e competenze necessarie al nuovo tessuto industriale e ai servizi ad esso connessi.
L’indotto delle grandi imprese
Intorno alle grandi imprese del settore energetico (Enel e Eni in primo luogo) si profilano un indotto territoriale e spunti di democrazia locale di pari rilievo.
Nelle comunità energetiche locali, dove si connettono in modo diretto la produzione e il consumo di energia in impianti rinnovabili, sono richiamate le linee dell’esperienza nella quale l’Italia fu un’eccellenza ai tempi di Giolitti grazie al tessuto comunale costruito nei secoli; la responsabilità e il senso civico dei cittadini si può indirizzare e consolidare nelle loro scelte energetiche, dopo la prova di solidarietà mostrata durante la pandemia.
In questo quadro ancora tre aspetti coinvolgono la crescita del paese: il primo riguarda il Mediterraneo e l’uso del gas nella transizione energetica; l’Italia può e deve rafforzare il suo ruolo centrale nel Mediterraneo, dopo essere stata promotrice della connessione dell’Ue con Paesi della sponda sud dotati di grandi riserve di gas nel mare antistante, facendo superare i contrasti politici tra Israele, Gordania, Egitto, Palestina, Cipro nel GasMed Forum, nell’interesse energetico comune che lega questi paesi all’Europa.
L’Italia ha l’infrastruttura necessaria (Snam) per portare il gas del Mediterraneo in Europa. Le regioni del Sud del Paese da questo e dall’impegno in impianti rinnovabili possono trarre indotto, crescita e occupazione, funzionali al progetto di sviluppo del Paese.
La posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo e la sperimentazione avanzata della nostra industria nel campo delle rinnovabili consentono l’investimento in impianti di generazione elettrica che sfruttino il sole della sponda africana.
Questi investimenti promettono due importanti ritorni positivi - all’inizio, lo scambio con il gas di quei Paesi e nel medio periodo, quando la filiera dell’idrogeno sarà perfezionata, il trasporto diretto in Ue dell’energia prodotta dal sole africano attraverso i nostri gasdotti.
Da ultimo, vale ricordare la rilevanza della sinergia che si crea tra ricerca di base e centri industriali nei settori toccati dalla trasformazione energetica, con la diffusione sul territorio nazionale di Energy Center, incubatori localmente organizzati per il trasferimento della ricerca accademica all’industria, che vanno diffondendosi sul territorio nazionale (da Torino a Ostia, a Napoli).
La sfida è quella di fare sistema intorno agli indirizzi individuati dall’Ue, per trovare nella trasformazione energetica una via di crescita partecipata dai cittadini, dalle realtà locali e dalle diverse aree del Paese, senza disperdere in rivoli meno fruttuosi per il futuro la ricca opportunità che l’Europa ci offre, il cui perimetro e i rischi sono stati ricordati molto opportunamente dal Commissario Gentiloni.
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