- Per anni considerati un problema locale i Pfas si trovano ormai in quasi tutto il nord Italia e forse anche altro. Secondo Giuseppe Ungherese «basta cercarli per trovarli».
- Ci sono prove che l’acqua potabile non solo del Veneto, ma pure della Lombardia e del Piemonte sia stata in parte contaminata da queste sostanze tossiche.
- Il problema non è più regionale, ma deve essere affrontato su scala nazionale. Per questo lo scorso mercoledì è stato presentato un manifesto firmato da più di 122 gruppi associativi a livello europeo per l'urgente messa al bando dei Pfas in tutto il continente.
Pfas, questa parola sconosciuta. Salita a onor di cronaca, quando concentrazioni allarmanti di queste sostanze chimiche furono scoperte nell’acqua potabile che bevevano a migliaia tra le provincie di Verona, Treviso e Padova. E nel loro sangue. Composti indistruttibili i Pfas, in pratica eterni, interferenti endocrini che vanno ad alterare la salute delle persone e la loro fertilità. Considerato per anni un problema locale, si è scoperto come non lo fosse, anzi «basta cercarli per trovarli» dice Giuseppe Ungherese di Greenpeace. Tra gli autori di un’indagine – resa pubblica la scorsa settimana – che ha mostrato la presenza di Pfas anche nelle acque lombarde destinate al consumo umano.
I casi di Lombardia e Piemonte
Stando ai dati di Greenpeace dei circa 4mila campioni lombardi analizzati dagli enti preposti tra il 2018 e il 2022, circa il 19 per cento del totale (pari a 738 campioni) è risultato positivo alla presenza di Pfas. Un inquinamento che rischia però di essere molto sottostimato, se si considera che le analisi condotte finora sono parziali e non capillari. Esiste un’emergenza ambientale e sanitaria fuori controllo che le autorità locali e nazionali continuano a sottostimare, nonostante sia chiaro che la contaminazione da Pfas coinvolga migliaia di persone, spesso esposte al rischio in modo inconsapevole. Basti pensare alla replica dei gestori idrici lombardi: «Bevete serenamente l’acqua del rubinetto». Poco importa se l’acqua di molti comuni lombardi si può dire a fatica potabile.
Stesso discorso – anche se in misura diversa – vale per il Piemonte dove i campionamenti ordinati da Asl ed eseguiti da Arpa Alessandria evidenziano un inquinamento costante lungo l’asse del torrente Scrivia. Ma anche in prossimità del Tanaro. Secondo i risultati dei campionamenti 2020-2022, ci sono Pfas nei comuni di Alzano, Castelnuovo Scrivia, Isola Sant’Antonio, Guazzora, Molino dei Torti, Piovera, Tortona, Montecastello, insomma in quasi tutto il Piemonte nord orientali. E i campioni sono della Asl di Alessandria, che da anni è consapevole della situazione. Come testimonia la stessa ricerca epidemiologica realizzata proprio sui dati raccolti dall'azienda ospedaliera locale, e che ha dimostrato come intorno e vicino al polo chimico piemontese ci si ammali e si muoia di più che nel resto della regione. Tuttavia non è ancora chiara l’entità della contaminazione, anche se alcuni elementi fanno pensare che la situazione non sia migliore. Solo a febbraio Arpa Piemonte ha reso noto come durante una campagna di monitoraggio, abbia trovato concentrazioni sull’ordine delle centinaia microgrammi/litro di Pfas alle porte di Torino.
Il manifesto
Al momento però in Italia ogni discussione sulla messa al bando o limitazione di questi Pfas è al palo. Se da un parte, infatti, è stata considerata una questione di responsabilità regionale e non nazionale – motivo per cui il ministero dell’Ambiente non ha ritenuto di imporre limiti validi per tutta la penisola, nonostante la commissione di inchiesta Ecomafie solo l’anno scorso abbia evidenziato la presenza di Pfas anche in Emilia, Toscana e Lazio –, dall’altra ogni proposta parlamentare sviluppata negli ultimi anni si è dovuta scontrare contro un muro di gomma.
Per questo motivo questo mercoledì lo stesso Ungherese, insieme ad altri rappresentanti delle associazioni venete come Mammenopfas, Pfas.land e Isde, ha presentato alla Camera il “Manifesto per l’urgente messa al bando dei Pfas”. Un testo firmato da più di 122 gruppi associativi a livello europeo.
«Bisogna mappare, identificare e isolare tutti i casi di contaminazione. Lo hanno fatto molto bene i giornalisti di Le Monde, quando alcune settimane fa hanno pubblicato una mappa dei siti europei contaminati, ma si tratta di giornalismo investigativo», ha detto la professoressa Claudia Marcolungo dell’Università di Padova, «mentre sono le istituzioni che devono risolvere questo problema, non si possono caricare le associazioni non governative di un ruolo che è prima di tutto istituzionale, perché altrimenti le istituzioni non adempiono al loro ruolo. E quindi tradiscono la loro stessa funzione». Tra i presenti all’incontro anche Rachele Scarpa, deputata del Pd, che ha ricordato le due proposte di legge per la messa al bando della produzione di Pfas: quella a firma Chiara Braga alla Camera e quella a firma di Andrea Martella al Senato.
Una situazione complessa
In ogni caso il problema delle acque è vario e sfaccettato perché c’è quella potabile, ma anche quella destinata all’irrigazione. Acqua che, se contaminata, riporta anche nel ciclo alimentare tutta una serie di inquinanti che non vengono correttamente smaltiti. Sempre che si possa parlare di smaltimento per i Pfas, visto che l’unico modo per smaltirli è bruciarli, ma così facendo si disperdono in aria. In Piemonte, a Spinetta Marengo, la regione ha trovato concentrazioni rilevanti di Pfas nelle uova degli uccelli, nel mais e nel riso dei campi in prossimità dello stabilimento chimico che li produce, così come nel latte degli animali da allevamento e nel sangue delle persone che vivono in paese.
«L’acqua non ha colore politico» ha dichiarato alla Camera Michela Piccoli, delle MammeNoPfas, di fronte ai parlamentari venuti ad assistere alla presentazione del manifesto. «Io oggi sono qui perché voglio risposte, e voglio guardarvi in faccia perché voi siete il prolungamento dei cittadini, perché vi abbiamo votati. E per questo motivo voi avete il dovere morale di portare avanti il bene per i nostri e i vostri figli. Sono anni che sentiamo promesse, ma non abbiamo visto niente».
Sono almeno vent’anni che le maggiori aziende chimiche che producono Pfas sanno della loro tossicità, lo ha confermato l’avvocato americano Robert Billot, che ha vinto una causa storica contro Dupont proprio per l’inquinamento provocato dai Pfas. Billot ha ricostruito i rapporti tra la multinazionale americana della chimica e l’azienda Miteni mostrando come, per anni, le due aziende si siano scambiate dati e pareri sulla tossicità di quello che stavano producendo. E in questo senso c’è da chiedersi, come fa Piccoli: «Dov’è lo stato? Dov’è la tutela della nostra vita?»
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