«Si tratta di un cambiamento epocale nel modo di cercare questi oggetti. Tra quelli rilevati ve ne sono circa 100 considerati “asteroidi vicini alla Terra”, rocce spaziali che passano all’interno dell’orbita della Terra».
Alcuni anni or sono, un gruppo di ricercatori impegnato a scoprire asteroidi pericolosi per la Terra ha escogitato un trucco geniale per portarli alla luce. Invece di scansionare i cieli con i telescopi alla ricerca di quegli oggetti, gli scienziati hanno sviluppato un algoritmo che vaglia vecchie immagini del cielo notturno, scoprendo circa 100 asteroidi che erano stati trascurati da indagini precedenti. Incoraggiati dai risultati, i ricercatori hanno proseguito nella loro indagine e, insieme all’Asteroid Institute e all’università di Washington, sono giunti a una scoperta ancora più grande: 27.500 corpi del sistema solare identificati e che fino a ora erano sconosciuti.
Uno strumento prezioso
Si tratta di più di quanto scoperto da tutti i telescopi del mondo l’anno scorso, “semplicemente” facendo la ricerca a tavolino. Spiega Ed Lu, direttore esecutivo dell’istituto, che fa parte della Fondazione B612, un gruppo no profit che ha contribuito a fondare: «Si tratta di un cambiamento epocale nel modo di cercare questi oggetti. Tra quelli rilevati ve ne sono circa 100 considerati “asteroidi vicini alla Terra”, rocce spaziali che passano all’interno dell’orbita della Terra».
Per fortuna anche questi oggetti non sembrano essere in rotta di collisione con il nostro pianeta nel prossimo futuro. A questo punto è evidente quanto sia prezioso l’algoritmo, il quale potrebbe rivelarsi uno strumento chiave per individuare asteroidi potenzialmente pericolosi, ed è chiaro che presto aiuterà le ricerche nel campo della “difesa planetaria” intraprese dalla Nasa e da altre organizzazioni in tutto il mondo. La maggior parte degli asteroidi identificati dall’istituto si trovano nella fascia principale degli asteroidi, tra le orbite di Marte e Giove. Altri, conosciuti come Troiani, sono intrappolati nell’orbita di Giove. La ricerca ha anche trovato alcuni piccoli mondi molto più lontani conosciuti come oggetti della fascia di Kuiper, che orbitano oltre l’orbita di Nettuno. Sottolinea Lu: «C’è un sacco di grande scienza qui, al punto che in futuro la chiave per alcune ricerche astronomiche, simile a quella degli asteroidi, potrebbe essere più prolifera se condotta con computer molto potenti che non con nuove osservazioni ai telescopi». Storicamente, gli astronomi individuavano nuovi pianeti, asteroidi, comete e oggetti della fascia di Kuiper fotografando la stessa area di cielo più volte durante una notte. Lo schema delle stelle e delle galassie lontane rimane invariato. Ma gli oggetti molto più vicini, all’interno del sistema solare, si muovono notevolmente nel giro di poche ore. Osservazioni multiple di un oggetto in movimento, chiamate “tracklet”, ne delineano il percorso, fornendo informazioni sufficienti per dare agli astronomi una buona idea dove guardare un’altra notte e definirne l’orbita. Molte osservazioni astronomiche includono anche gli asteroidi, ma difficilmente è possibile realizzare una tracklet per ciascuno di loro. Per capire la difficoltà basti pensare che, ad esempio, le 412.000 immagini negli archivi digitali del Laboratorio nazionale di ricerca sull’astronomia ottica e dell’infrarosso (NOIRLab) contengono circa 1,7 miliardi di punti di luce che appaiono in una sola immagine. Si capisce che risulta estremamente difficile individuare gli asteroidi e seguire la loro orbita.
Più asteroidi individuati
Ma ecco in aiuto l’algoritmo utilizzato nella ricerca di Lu. C’è un algoritmo noto come “Tracklet-less Heliocentric Orbit Recovery”, o Thor, il quale è in grado di collegare un punto di luce visto in un’immagine con un punto di luce diverso in un’immagine differente scattata in una notte diversa, a volte tramite un telescopio diverso, e scoprire così che due punti sono in realtà lo stesso oggetto, di solito un asteroide, che ha cambiato posizione mentre orbita attorno al Sole. L’identificazione da parte di Thor degli asteroidi candidati attraverso immagini disparate è un compito computazionale arduo, che sarebbe stato impossibile non molto tempo fa. Ma Google Cloud, è stato in grado di eseguire i calcoli in circa cinque settimane. «Questo è un esempio di ciò che è possibile», ha affermato Massimo Mascaro, direttore tecnico dell’ufficio del chief technology officer di Google Cloud. Lu ha affermato che i software migliorati nel corso degli anni hanno reso più semplice sfruttare la potenza di calcolo. Quando gli scienziati non avranno più bisogno di un gigantesco gruppo di ingegneri del software per ricercare le loro informazioni, «allora potranno accadere cose davvero interessanti». L’algoritmo Thor potrebbe anche trasformare le operazioni del nuovo Osservatorio Vera Rubin in Cile, che dovrebbe entrare in funzione l’anno prossimo. Il telescopio da 8,4 metri, finanziato dalla National Science Foundation e dal dipartimento dell’Energia, analizzerà ripetutamente la maggior parte del cielo notturno per tenere traccia dei cambiamenti di ciò che avviene sulla volta celeste nel corso del tempo. Attualmente, il telescopio Rubin deve scansionare la stessa parte del cielo due volte durante la notte, una cadenza progettata per individuare gli asteroidi. Con Thor, il telescopio potrebbe non aver bisogno del secondo passaggio, il che gli consentirebbe di coprire il doppio dell’area. L’algoritmo potrebbe aumentare il numero di asteroidi che Rubin può trovare, forse abbastanza da soddisfare il mandato approvato dal Congresso nel 2005 di localizzare il 90 per cento degli asteroidi vicini alla Terra con un diametro di 130 metri o più. «Le nostre ultime stime dicono che con il metodo tradizionale si arriverebbe a non più dell’80 per cento», ha detto il dottor Ivezic. «Con Thor, forse possiamo spingerci realmente al 90 per cento».
L’impatto climatico degli aerei
Per la prima volta in assoluto, un gruppo di ricercatori ha sfruttato la potenza dei big data per calcolare le emissioni di gas serra causate dal trasporto aereo per 197 paesi che hanno sottoscritto il trattato internazionale sui cambiamenti climatici. Ricordiamo innanzi tutto, che i big data sono dati che arrivano da un gran numero di canali di informazione, che solo potenti programmi per computer sono in grado di elaborare velocemente. Questi enormi volumi di dati possono essere utilizzati per affrontare problemi che altrimenti non si riuscirebbe ad affrontare in tempi estremamente ristretti.
Quando i paesi firmarono il trattato della Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici del 1992, i paesi ad alto reddito furono tenuti a segnalare le proprie emissioni legate al trasporto aereo. Ma 151 paesi a reddito medio e basso, tra cui Cina e India, non erano tenuti a segnalare queste emissioni, sebbene potessero farlo volontariamente. Ciò è importante perché la «Convenzione quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici si basa su tali rapporti nazionali sulle emissioni durante i negoziati sui tagli alle emissioni specifici per paese», spiega Jan Klenner, primo autore del nuovo articolo, recentemente pubblicato su Environmental Research Letters.
I nuovi elementi in possesso dei ricercatori mostrano che la Cina, ad esempio, che non ha segnalato le emissioni legate al trasporto aereo nel 2019, è seconda solo agli Stati Uniti per quanto riguarda le emissioni totali legate al trasporto aereo. Helene Muri, ricercatrice presso l’Istituto di Ecologia industriale dell’università norvegese di scienza e tecnologia: «Ora abbiamo un quadro molto più chiaro delle emissioni del trasporto aereo per ciascun paese, comprese le emissioni precedentemente non dichiarate». Come ci si potrebbe aspettare, gli Stati Uniti sono in cima alla lista dei paesi emettitori per quanto riguarda la somma totale delle emissioni del trasporto aereo sia per i voli internazionali che per quelli nazionali. «Quando abbiamo osservato come vengono distribuite le emissioni pro capite, abbiamo avuto delle sorprese in quanto il benessere economico porta a una maggiore attività aeronautica», ha affermato Klenner.
L’analisi ha mostrato che la ricca Norvegia, con appena 5,5 milioni di abitanti, se si calcolano le emissioni pro capite è al terzo posto in assoluto, subito dietro agli Stati Uniti e all’Australia. «Si potrebbe pensare che la geografia della Norvegia, un paese lungo e stretto con molte montagne e un’area settentrionale scarsamente popolata, sia la causa di questi numeri. Ma l’analisi», spiega Muri, «ha mostrato che il 50 per cento dei voli nazionali norvegesi avviene tra le principali città del paese, Oslo, Trondheim, Stavanger, Bergen e Tromsø. Le emissioni pro capite in Norvegia sono incredibilmente elevate e dunque c’è molto da lavorare in tal senso». Anders Hammer Strømman, professore al Programma di ecologia industriale della Ntnu e co-supervisore di Klenner, ha affermato che un aspetto importante dello studio è che mostra come i big data possono essere utilizzati per aiutare a regolare le emissioni. «Penso che ciò illustri molto bene il potenziale di questo tipo di lavoro», spiega, «rispetto ai precedenti che si affidavano a uffici statistici e cicli di reporting che possono richiedere un anno o più per ottenere questo tipo di informazioni. Questo modello ci consente di creare modelli istantanei delle emissioni: possiamo calcolarle a livello globale in tempo reale».
Il modello, chiamato AviTeam, è il primo a fornire informazioni ai 45 paesi meno sviluppati che non hanno mai inventariato le proprie emissioni di gas serra derivanti dal trasporto aereo. Strømman afferma che il modello fornisce a questi paesi informazioni che altrimenti sarebbe difficile se non impossibile raccogliere e sostiene: «Nella transizione in cui si parla dell’introduzione di nuove tecnologie, questo tipo di big data ci consente di identificare corridoi o operazioni in cui ha senso testare per prima tali strategie». In tutto questo l’Italia si posiziona al ventesimo posto per emissioni totali.
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