- L’American Petroleum Institute ha dietro le grandi aziende delle energie fossili. Per decenni ha guidato campagne di disinformazione sul clima: spende e impegna lobbisti per opporsi al taglio delle emissioni.
- L’API è stata una delle prime associazioni commerciali a orchestrare campagne di disinformazione e negazionismo sul clima. Eppure era consapevole del problema, che negava, già dal 1980.
- Ha speso oltre 98 milioni di dollari in attività di lobbying dal 1998. Si oppone, da decenni e spesso con successo, a politiche sulla riduzione delle emissioni.
L’American Petroleum Institute (Api), la più grande associazione commerciale americana per l’industria del petrolio e del gas, rappresenta oltre 600 aziende tra cui alcune delle maggiori, come ExxonMobil e Shell. Nel 1998 quello che è stato presentato dall’istituto come un innocuo «piano d’azione», cioè lo Api Global Climate Science Communications Team Action Plan, dichiara che la vittoria dei negazionisti climatici sarà raggiunta solo nel momento in cui «coloro che promuovono il Trattato di Kyoto sulla base della scienza esistente sembrano aver perso di vista la realtà». Sono i tempi dell’amministrazione Clinton, che, durante gli incontri a Kyoto un anno prima, nel 1997, ha preso la decisione di firmare un trattato per ridurre le emissioni di gas a effetto serra per prevenire i «presunti» cambiamenti globali al clima. Quel documento in realtà è molto più che un piano d’azione. Si tratta di un’arma comunicativa che capovolge la realtà: chi ha compreso che il riscaldamento globale è grave e causato dall’attività dell’essere umano – in particolare i combustibili fossili – diventa qualcuno che ha «perso di vista la realtà».«I gas a effetto serra hanno molte fonti», dice il documento. «Ma l’azione dell’amministrazione Clinton, se approvata al Senato americano, avrà un effetto in particolare sulle emissioni provenienti dalla combustione di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturale, ecc.)».
Sapere dal 1980. E negare
Era vero, e questo avrebbe messo in pericolo il business dell’industria. Per questo l’obiettivo era confondere per evitare la regolamentazione al settore: il cambiamento climatico non era un fenomeno scientifico certo, anzi, era solo una teoria, un’opinione. Il piano d’azione screditava i dati scientifici indicando, falsamente, che esisteva ancora “un’ignoranza diffusa” sul tema. Gli sforzi negazionisti dell’Api e di altre lobby come la Global Climate Coalition (Gcc) sono stati ripagati quando Bush ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo di Kyoto. Un memorandum del giugno 2001, per esempio, mostra un alto funzionario del Dipartimento di Stato che ringrazia il Gcc dicendo che Bush «ha rifiutato il Protocollo di Kyoto, in parte, sulla base del [suo] contributo».
Oggi appare chiaro che all’epoca l’Api, come alcune compagnie fossili che tuttora rappresenta, sapeva già del legame tra l’aumento delle emissioni di Co2 e l’attività dell’industria, ed è stata una delle prime associazioni commerciali a orchestrare campagne di disinformazione e negazionismo sul clima. In realtà, già negli anni Cinquanta e Sessanta, l’Api lavorava a Los Angeles per sminuire i rischi dello smog sulla salute umana, assumendo scienziati negazionisti per delegittimare e denigrare gli studi sugli effetti dello smog, al fine di promuovere l’idea che la regolamentazione sull’inquinamento sarebbe stata troppo costosa.
Nel 1980, la task force climatica interna all’Api si riunì a New York per una presentazione dello scienziato Stanford John Laurmann, che avvertiva i rappresentanti dell’industria della necessità di un’azione immediata. Il business as usual avrebbe portato a un aumento di 1°C appena percettibile nel 2005, un aumento di 2,5°C con grandi conseguenze economiche nel 2038, e un aumento di 5°C con effetti catastrofici a livello globale nel 2067, disse lo scienziato. A gennaio 2021, sono venuti alla luce nuovi documenti secondo cui l’Api minimizzava la minaccia del cambiamento climatico proprio dal 1980. Uno studio di Benjamin Franta, ricercatore all’università di Stanford, mostra che, quell’anno, l’Api pubblicò Two Energy Futures, un opuscolo politico che riconosceva che l’anidride carbonica può essere un “inquinante” e che i combustibili fossili potevano causare il riscaldamento globale. Franta sostiene che l’Api, dopo aver dato la falsa impressione che gli scienziati del clima non considerassero il riscaldamento globale causato dai combustibili fossili come una minaccia significativa, suggerì che l’espansione nell’uso dei fossili sarebbe stata sicura secondo il World Coal Study del 1980. Questo studio sul carbone, diretto da un professore di economia del MIT, era sostenuto e finanziato da compagnie fossili. Sempre nello stesso anno, l’amministrazione di Jimmy Carter adottò l’obiettivo di raddoppiare la produzione di carbone entro il 1990 – un obiettivo politico che fu adottato anche dal G7 nel 1980.
Soldi a scienziati e politici
Nel 2015, è stato rivelato che l’Api, insieme a ExxonMobil, la fondazione Charles Koch, e l’azienda Southern Company, stavano finanziando la ricerca dello scienziato negazionista Willie Soon per attaccare e proporre posizioni contrarie alla scienza del clima per conto dell’industria fossile. Soon, insieme a Sallie Baliunas, è l’astrofisico che, nel 2003, pubblicò uno studio nella rivista scientifica Clima Research per mettere in discussione il famoso grafico della “mazza da hockey” (hockey stick graph) dello scienziato del clima Michael E.Mann, dimostrazione fondamentale del riscaldamento globale antropico. Il grafico, infatti, illustra un picco di temperatura nel ventesimo secolo dopo 900 anni di clima stabile. L’articolo di Baliunas e Soon fu in parte finanziato dall’Api e fu pubblicato dall’editor di Climate Research, nonostante le revisioni paritarie di alcuni scienziati esprimessero preoccupazioni sulla validità dello studio. Per questo, dopo non poche polemiche, alcuni scienziati e redattori, incluso il direttore della rivista Hans von Storch, diedero le dimissioni.
Ma l’Api non ha finanziato solo scienziati negazionisti. ExxonSecrets, infatti, riferisce che il gruppo ha finanziato organizzazioni che si oppongono alle regolamentazioni governative sulle emissioni, tra cui il Cato Institute e Citizens for a Sound Economy (CSE) e, soprattutto, è coinvolto nel lobbying decennale per conto di Big Oil. Secondo i dati raccolti da OpenSecrets, l’Api ha speso oltre 98 milioni di dollari in attività di lobbying dal 1998. Da decenni, l’Api si oppone, spesso con successo, a politiche sulla riduzione delle emissioni. Gran parte dei finanziamenti di Api, infatti, vanno ai politici e alle campagne politiche statunitensi. Secondo Influence Map, l’Api «non sembra sostenere la transizione energetica, sottolinea l’importanza del petrolio e del gas per l’economia Usa e si oppone alle misure per limitare lo sviluppo dei combustibili fossili. Sembra anche non appoggiare diverse altre politiche volte a ridurre le emissioni».Il negazionismo di Api è assai improntato alla manipolazione comunicativa. Secondo il Climate Investigations Center, il gruppo ha speso, su questo fronte, più di qualsiasi altra organizzazione commerciale e tra il 2008 e il 2019, ha incanalato oltre 750 milioni di dollari in relazioni pubbliche e campagne pubblicitarie.
Durante l’udienza sul ruolo di Big Oil nella campagna di disinformazione sul clima il 28 ottobre 2021 al Congresso Usa, Ro Khanna, presidente della sottocommissione di controllo della Camera sull’ambiente, ha invitato le compagnie petrolifere ad abbandonare l’Api per la sua opposizione alle politiche climatiche. Ma nessuno dei dirigenti sotto testimonianza si è impegnato a farlo. In un altro scambio durante l’udienza, Khanna ha chiesto ai dirigenti di chiedere all’Api di interrompere i finanziamenti pubblicitari contro l’uso dei veicoli elettrici e altre politiche climatiche. Ma i dirigenti non si sono impegnati nella richiesta. La presidente di Shell, Gretchen Watkins, ha invece detto: «Quello che mi impegno a fare è continuare ad essere un membro attivo dell’Api». Oggi l’Api, come gran parte della macchina negazionista climatica, non nega più l’esistenza del cambiamento climatico, ma utilizza argomentazioni diverse per ritardare l’azione politica sul clima. Durante l’udienza, Mike Sommers, presidente dell’Api, ha enfatizzato la responsabilità di emissioni da parte della Cina e ha detto che “il mondo continuerà a richiedere petrolio e gas in futuro” quindi quello che i legislatori dovrebbero chiedersi è se il mondo potrà ottenerli dagli Stati Uniti dove sono prodotti in maniera “più pulita e migliore” oppure da paesi che sono “ostili agli interessi degli americani”. A questa linea politica e comunicativa è riconducibile, in parte, la strategia di Api: il petrolio è l’America. Per estensione, se non sei a favore del petrolio sei “antiamericano”. Il gruppo sostiene ancora questa strategia. In un tweet il giorno del ringraziamento, l’Api ha pubblicato la foto di un tacchino in una teglia con patate e rosmarino con la scritta “gli americani cucineranno 46 milioni di tacchini per il giorno del ringraziamento in forni e friggitori alimentati a gas naturale e petrolio”.
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