L’impegno economico è enorme, ma solo se lo si vede con l’occhio del ciclope
Di recente il tema delle bonifiche dei siti inquinati è stato più volte alla ribalta in vari contesti e circostanze: dalla inchiesta della magistratura di Venezia sulle pressioni del sindaco Brugnaro per simulare la bonifica di un terreno contaminato ad alcune importanti sentenze di tribunali amministrativi e del Consiglio di Stato su procedimenti su aree da bonificare in Sardegna e in Toscana, ed è su queste ultime che seguono alcune informazioni e qualche considerazione.
I casi
Il 21 marzo 2024 il Consiglio di Stato ha confermato, dando torto a Enel, che un’ampia area industriale di Portovesme, nel Sulcis (sud-ovest Sardegna) deve essere bonificata da rifiuti. L’Area 5 (ex Parco Ceneri) della Centrale Enel Sulcis, impegna 14 ettari di territorio, con 245.000 metri cubi di materiali pericolosi e non, il 15 per cento dei quali rilevati sotto il livello della falda acquifera, uno strato spesso tra 1,7 e 5 metri dal piano di campagna.
Di rilievo che i giudici del CS ribadiscono che: «I progetti per i quali si prevede un impatto ambientale rilevante, per la loro natura, le loro dimensioni o la loro ubicazione, devono essere sottoposti a una valutazione dell'impatto prima che venga concessa l'autorizzazione»
Pochi giorni dopo il Tar della Toscana ha respinto i sette motivi del ricorso presentato da Eni Rewind spa contro il decreto di Regione Toscana e Provincia di Massa Carrara che individua Eni Rewind come responsabile (parziale) della contaminazione da idrocarburi policiclici aromatici, Btex, fenoli, ammoniaca, solfati e cianuri nei terreni e nella falda sottostante l’area di 36 ettari della ex Italiana Coke. L’Agenzia di sviluppo industriale (Asi) è invece ritenuta colpevole di non avere avviato bonifiche sulla stessa area e, come per Eni, la sentenza impone di assumersi i costi della bonifica.
Infine, il 22 luglio il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso di Edison spa contro la sentenza emessa dal Tar di Firenze quattro anni addietro che indicava la Farmoplant corresponsabile dell’inquinamento delle acque sotterranee dell’area industriale di Massa Carrara, dove aveva operato lo stabilimento allora Montedison fino al grave incidente del 17 luglio 1988 a cui seguì la chiusura definitiva dello stabilimento.
Anche questa sentenza è molto complessa, per motivazioni intercorse nel lungo periodo e per le molte fattispecie coinvolte, tuttavia ci sono due elementi da sottolineare perché di rilevanza specifica e generale. A proposito dello scarico di responsabilità nell’inquinamento verso altri soggetti, una attitudine frequente nelle zone con contenziosi ambientali, la sentenza precisa che il soggetto individuato come responsabile «non può limitarsi a ventilare genericamente il dubbio circa una possibile responsabilità di terzi» ma deve «provare e documentare con pari analiticità la reale dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di una specifica e determinata causalità, debba addebitarsi la condotta causativa dell’inquinamento» (Cons. St., sez. IV, sentenza n. 5668 del 2017, cit..).
A proposito del cambio di società proprietarie, un fenomeno frequente nelle aree industriali, la sentenza precisa che «la responsabilità dell'impresa per l’inquinamento va intesa in termini sostanziali, considerando che i fenomeni societari relativi ai gruppi, alle forme di successione e al trasferimento d’azienda danno luogo ad una successione universale inter vivos che, secondo i principi espressi (...) generano la responsabilità dell'acquirente« (Cons. Stato, sentenza n. 2370 del 2022, cit)» e quindi Edison spa è sostanziale successorie/continuatore della Farmoplant spa.
Le aree di Massa Carrara e Sulcis-Iglesiente-Guspinese sono nella lista nera dei 42 siti di interesse nazionale e 17 di interesse regionale, dove le operazioni di bonifica vera e propria languono da lunghi anni, con poche eccezioni. Nel sito apuano, definito nel 1999 e suddiviso in una parte nazionale e una regionale nel 2013, le bonifiche effettuate sui 116 ettari dell’area riguardano meno del 3 per cento dei terreni mentre l’avvio di quelle delle falde con finanziamenti della regione Toscana è stato ancora rinviato di un anno.
Nel sito della Sardegna sud-occidentale, perimetrato nel 2003 e ridefinito nel 2011, circa un terzo degli oltre 10 mila ettari sono ancora da indagare, e sono state effettuate bonifiche solo del 2,3 per cento dei terreni contaminati o potenzialmente contaminati e dell’1 per cento delle acque di falda.
La visione che serve
Le sentenze citate, in sintonia con il pronunciamento recente della Corte di Giustizia della Ue sull’Ilva di Taranto, sono importanti in quanto stabiliscono le responsabilità dei danni causati e individuano i soggetti che devono pagare le bonifiche; d’altra parte occorre anche considerare che i danni prodotti all’ambiente non sempre sono reversibili o lo sono in tempi lunghi, la perdita di salute (morti precoci e malattie cronico-degenerative), ormai quantificata in molte aree, non è recuperabile e non è monetizzabile, ragioni in più per prevenire.
Dunque, i recenti accadimenti brevemente richiamati ripropongono la necessità di non evitare o ritardare sine die bonifiche che dovrebbero essere effettuate per legge, fondamentali per ridurre le contaminazioni, mitigare i rischi per la salute, diminuire le diseguaglianze, restituire territori a nuovi usi sostenibili.
L’abdicazione della politica ad un ambizioso piano nazionale pluriennale di bonifiche si fonda su una visione di corto respiro e senza profondità, che vede solo gli sforzi economici iniziali senza considerare i benefici successivi, e vede la realtà con un occhio solo, come il ciclope usato da Kant per sostenere la necessità di un altro occhio per osservare anche dal punto di vista degli altri.
Una visione “non egoista” consiglierebbe di accelerare la strada per ridare un futuro ai territori e a chi ci vive, nella consapevolezza che in questi luoghi definiti dall’Onu “aree di sacrificio” sono messi in discussione i diritti fondamentali delle persone: a vivere in salute in un ambiente sano, e, come ricavabile dalla storia di questi luoghi, anche al lavoro.
© Riproduzione riservata