Nel 2024, la Commissione europea aveva proposto di fissare l’obiettivo di tagliare del 90 per cento delle emissioni entro il 2040. Il nostro governo è stato il primo a posizionarsi nella linea del dubbio e del rallentamento
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Un altro segnale sui cambiamenti di priorità dell’Unione europea e sulle esitazioni nell’attuazione delle politiche climatiche riguarda l’obiettivo di riduzione delle emissioni da raggiungere nel medio termine, nel 2040, che è il gradino intermedio tra quello che c’è da fare subito (entro il 2030) e l’orizzonte finale del Green Deal (il 2050).
L’Unione ha già due obiettivi chiari e operativi: la riduzione del 55 per cento delle emissioni di gas serra entro il 2030 (per il quale è stato messo a punto il pacchetto di riforme Fit for 55) e l’azzeramento delle emissioni nette entro metà secolo.
Nel 2024, la Commissione europea aveva proposto di fissare un ulteriore obiettivo, molto ambizioso e in linea con le raccomandazioni scientifiche: il taglio del 90 per cento delle emissioni entro il 2040. Questo obiettivo è diventato una nuova linea di scontro politico, che si affianca a quello già in corso per il rinvio del phase-out delle auto termiche previsto per il 2035.
Il ruolo dell’Italia
È stata proprio l’Italia la prima a posizionarsi sulla linea del dubbio e del rallentamento. In una nota, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha invitato la Commissione a «valutare con attenzione la scelta raccomandata del target di riduzione al 90 per cento per il 2040, rispetto ad alternative dell’80 per cento e dell’85 per cento, entrambe compatibili con l’obiettivo net zero al 2050.
Il rischio sarebbe di costringere i paesi a misure troppo incisive e dall’esito incerto, insieme all’effetto negativo di una forte anticipazione degli investimenti, finendo per vincolare i paesi membri a tecnologie non ancora mature, che con ogni probabilità saranno presto molto più efficienti e meno costose».
Seguire la linea proposta da Pichetto Fratin sarebbe un arretramento piuttosto vistoso dalle ambizioni che finora avevano guidato l’Europa. Su questa linea si è posto anche il Center for European Policy Network, un influente think tank tedesco: «L’obiettivo di riduzione del 90 per cento presenta rischi sociali troppo elevati».
La proposta del centro studi tedesco prevede un taglio del 78 per cento entro il 2040. Questa potrebbe diventare la posizione del governo tedesco che si sta formando in queste settimane. La Commissione, intanto, sta prendendo tempo.
La commissaria spagnola Teresa Ribera, in un’intervista al quotidiano francese Le Monde, ha spiegato che le nuove condizioni politiche hanno costretto a rinviare la decisione, che doveva essere presa entro la fine di marzo e che invece è stata spostata al secondo trimestre del 2025, così come la presentazione del nuovo Ndc, l’impegno climatico dell’Unione europea, previsto dall’accordo di Parigi.
Il precedente Ndc è già scaduto, e il termine ultimo è la Cop30 sui cambiamenti climatici che si terrà in Brasile a novembre. Sono tutti segnali che, mescolati alla crescente spinta verso investimenti in difesa e riarmo, mostrano come l’Europa non abbia ancora deciso come interpretare il suo ruolo nel nuovo scenario post-Trump. L’Unione non sa se continuare a provare a essere leader o diventare una gregaria della transizione ecologica globale.
Il segnale della Slovenia
Intanto, un segnale piccolo ma significativo è arrivato dalla Slovenia, che è diventata il primo paese dell’Unione a legare l’emissione di debito nazionale al raggiungimento dei suoi obiettivi climatici e di riduzione dei gas serra. La scelta del governo guidato dal premier Robert Golob è quella di emettere un bond collegato alla sostenibilità ecologica del paese, il cui tasso di interesse sarà legato a una serie di parametri Esg (sostenibilità ambientale, sociale e di governance).
Non è una novità assoluta a livello mondiale, dal momento che già paesi come Uruguay e Cile avevano presentato prodotti simili ai mercati finanziari globali, ma è una prima volta per un paese europeo. Il bond è costruito in modo da «penalizzare» il paese nel caso non riuscisse a mantenere i suoi impegni o a «premiarlo» nel caso ci riuscisse.
La Slovenia ha un obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra del 45 per cento rispetto ai livelli del 2005. L’obiettivo del governo sloveno è raccogliere con questo bond 1,5 miliardi di euro sui mercati internazionali.
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