- Il litio sta alla transizione energetica come il petrolio all’economia e alla geopolitica delle fonti fossili: la mappa della produzione del metallo fondamentale per le batterie è un modo per leggere l’energia del futuro.
- I principali paesi produttori sono l’Australia e quelli del triangolo del litio in Sudamerica: Bolivia, Cile e Argentina. Il 95 per cento delle batterie viene invece prodotto in Asia, tra Cina, Corea del Sud e Giappone.
- L’Unione Europea ha capito in ritardo quanto sarebbe stato importante sviluppare una filiera delle batterie: sta provando a recuperare con un’alleanza per la ricerca, con un piano in stile Airbus per l’apertura delle gigafactory e puntando sulla sostenibilità.
Come tutte le analogie, anche questa ha dei limiti, ma partiamo da qui: il litio sta alla transizione energetica come il petrolio all’economia delle fonti fossili. Nella tavola periodica il litio si trova in alto a sinistra: è il terzo elemento, il più piccolo e leggero dei metalli, per le sue caratteristiche è perfetto per accumulare energia in batterie veloci da ricaricare e durevoli.
Senza litio non avremmo smartphone, auto elettriche in grado di percorrere 500 chilometri con una ricarica, sistemi per conservare e usare l'energia da fonti rinnovabili quando non ci sono sole e vento. Nel 2019 John B. Goodenough, M. Stanley Whittingham e Akira Yoshino hanno vinto il Nobel per la chimica per aver sviluppato le batterie a ioni di litio: una rivoluzione che avrebbe cambiato il mondo.
Osservarne la geografia è un modo per capire il futuro, così come non si potevano comprendere le guerre del secolo scorso senza sapere dove si trovava il petrolio. «Senza litio semplicemente non c’è transizione energetica», sintetizza Silvia Bodoardo, docente di elettrochimica al Politecnico di Torino.
Dal Cile all’Australia
I gangli di questa geografia sono due: i porti di Antofagasta, Cile, e Hedland, Australia. Da qui il secondo e il primo estrattore spediscono litio verso l’altro polo: Giappone, Corea del Sud e Cina, dove ci sono i produttori del 95 per cento delle batterie basate su ioni di litio. Il primo tratto della filiera è quindi nelle miniere dell’Australia e nei deserti salati del Sudamerica, dove c’è il «triangolo del litio» tra i salar andini e le alture di Cile, Argentina e Bolivia.
Il litio sudamericano si ottiene per evaporazione, consumando immense risorse d’acqua. È il principale conflitto ambientale legato a questo processo: richiede tantissima acqua, due milioni di litri per tonnellata di litio. In Australia invece si estrae in formato solido, dalle miniere di un minerale chiamato spodumene. L’Australia ha puntato in modo aggressivo su questa risorsa in vista di un futuro nel quale essere il primo esportatore di carbone varrà sempre meno: nel 2018 l’estrazione di litio è cresciuta del 170 per cento e c’è stato il sorpasso sul Cile. Ci sono vaste riserve anche in Cina, che in aggiunta ha messo gli occhi sull'enorme potenziale dell'Afghanistan. L'avvio di progetti minerari nel continente europeo invece è stato accompagnato da proteste, le ultime in Serbia e Portogallo.
È una mappa nuova, che misura anche il ritardo accumulato dall’Unione europea nel capire come muoversi per una transizione energetica ambiziosa. Servirà un decennio a recuperarlo. «La strategia iniziale è stata lasciare ad altri sia l’estrazione che la produzione di batterie e limitarsi a quello che sapevano fare, la manifattura di veicoli elettrici», spiega Lukasz Bednarski, analista per Ihs Markit e autore del libro Lithium - The Global Race for Battery Dominance and the New Energy Revolution.
«Solo pochi anni fa l’Ue ha compreso quanto fosse necessario avere una filiera interna, per favorire l’innovazione e non essere dipendenti dalle turbolenze delle supply chain». La risposta a questo ritardo è stata la doppia virata fatta col progetto Europe Battery2030+, per stimolare la ricerca, e European Battery Alliance, il piano operativo per la costruzione di 25 gigafactory.
Il modello risale a quando l’Europa sembrava condannata a essere uno spazio bianco nell'industria dell’aviazione, nel 1970 fu creata Airbus, consorzio in grado di fare concorrenza a Boeing, McDonnell Douglas e Lockheed. L’idea è replicare quel modello per creare un Airbus delle batterie.
Oggi si estraggono circa 80 milioni di tonnellate di litio all’anno. Secondo l’Agenzia internazionale dell'energia questo valore dovrà crescere di quaranta volte nei prossimi vent’anni per tenere il passo della transizione. Uno smartphone ne contiene pochi grammi, la batteria di un’auto fino a dieci chili, e presto arriverà la produzione su larga scala dei sistemi di accumulo per le rinnovabili.
Per cento milioni di auto elettriche serve un milione di tonnellate di litio. «Il problema non è la quantità della risorsa: dove lo abbiamo cercato, finora lo abbiamo trovato, e se ne troverà ancora», spiega Nicola Armaroli, chimico e dirigente di ricerca del Cnr.
«Sono tranquillo sul fatto che ci sia abbastanza litio sulla Terra per i nostri obiettivi, sono più preoccupato che si facciano abbastanza prospezioni, che siano rilasciati abbastanza permessi, che si abbia la capacità di raffinare quello che viene estratto, che la filiera funzioni in modo efficiente. Il collo della bottiglia non è la disponibilità della materia prima ma la capacità del sistema industriale di aumentare l’output di prodotti finiti basati su di essa».
Farsi trovare pronti
In questo scenario è interessante la strategia scelta dall’Unione europea. «Il piano Battery 2030+ punta a costruire una batteria europea al 100 per cento riciclabile», spiega Bodoardo. Batterie costruite per essere disassemblate alla fine del loro uso e avere una seconda vita. Il Politecnico di Torino, dove lavora, è l’unico ateneo italiano in questo progetto europeo di ricerca. «Non c’è ancora un problema di quantità per il litio, ma quando la transizione sarà avviata, tutti i veicoli saranno elettrici e dovremo stoccare l’energia delle rinnovabili, allora l’accesso alla risorsa potrebbe diventarlo».
Lo sarà in particolare per l’Ue, dove la materia prima è poca, da decenni si è smesso di investire in miniere e i nuovi progetti sono ostacolati da preoccupazioni ambientali. Per questo la strada scelta è la batteria riciclabile. Oggi non si può fare second use del litio perché i veicoli sono pochi, l’obiettivo è farsi trovare pronti quando la massa critica delle prime rottamazioni dei veicoli in litio inonderà il mercato di materia prima secondaria per fare altre batterie.
La transizione
È un punto fondamentale della transizione. L’energia verde ha un potenziale di circolarità che quella del mondo fossile non avrebbe mai potuto avere. La Battery Regulation della Commissione prevede che almeno il 70 per cento del litio delle batterie fabbricate in Europa sia di riciclo. «Le batterie col tempo si degradano e vanno dismesse», spiega Armaroli. «Ma il litio rimane dentro la batteria, può essere tirato fuori e riutilizzato. L’elettrificazione dei trasporti comporta il passaggio da un’economia lineare, che emette CO2 nell’atmosfera a ogni chilometro, a una circolare».
Un’auto termica alla fine della sua vita avrà prodotto venti volte il suo peso in emissioni. La batteria di un’auto elettrica invece è sempre la stessa, può e deve avere una seconda vita, col recupero di componenti e materiali. «Il litio non è un vuoto a perdere come la benzina», dice Armaroli.
A fine 2021 in Svezia la Northvolt ha annunciato la prima produzione europea di batterie a ioni di litio su scala gigafactory, la capacità richiesta per competere sui mercati globali. In Europa le gigafactory esistevano già, ma di proprietà asiatica, c’è quella di LG a Wroclaw, in Polonia, e quella vicino Budapest, in Ungheria, di Samsung.
La Northvolt ha ottenuto un finanziamento di 2,75 miliardi di dollari da Volkswagen e Goldman Sachs, l’obiettivo è raggiungere una scala produttiva da 60 Gwh l’anno: basterebbero per un milione di automobili. Il fermento europeo tocca anche l’Italia, con l’impianto che Stellantis progetta di aprire a Termoli (Campobasso) e la riconversione della ex Whirlpool a Teverola (Caserta).
Bodoardo ha partecipato col suo team alla formazione del personale della fabbrica di Teverola, un altro aspetto cruciale del piano europeo. «In Europa serviranno almeno 800mila addetti, a ogni livello, ingegneri, operai, elettrauto». È un know how che manca ancora e che potrebbe essere uno dei colli di bottiglia dell'operazione.
In questo scenario c’è l'incertezza sui prezzi della materia che, in attesa della batteria riciclabile, va ancora comprata ed è sempre più cara: +240 per cento nel 2021. In Cile le elezioni sono state vinte da Boric Boric, con un programma di nazionalizzazione dell’estrazione e la (difficile) sfida di creare una filiera locale.
In Serbia continuano da mesi le proteste che vogliono Rio Tinto, una delle più grandi imprese minerarie al mondo, fuori dal paese, per paura dei danni ecologici. E intanto la Cina progetta l’apertura di 140 nuove gigafactory entro il 2030, il quintuplo del miglior scenario possibile di Ue e Usa combinati.
Il vantaggio risale a una strategia ideata nel 2001 con i primi investimenti nell’elettrico e che ha radici nel piano 863 di evoluzione tecnologica voluto da Deng Xiapoing nel 1986. Come spiega Bednarski: «La versione americana del capitalismo, iniziativa individuale e libero mercato, ha lasciato la sua impronta nell’industria del petrolio. Allo stesso modo la versione asiatica, sforzo collettivo e priorità dettate dall’alto, ha finora lasciato il marchio sull’espansione dell'industria di litio e batterie».
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