Lo scandalo che ha portato alle dimissioni del premier socialista António Costa è legato alle miniere di litio. Estrarre è fondamentale per liberarsi dal fossile, ma i siti sono anche bersaglio degli attivisti ambientali
La storia del più grande scandalo politico europeo del momento, le dimissioni del primo ministro portoghese António Costa, si fonda su un paradosso che ci porta dritto nelle contraddizioni della transizione energetica. Costa si è dimesso dopo otto anni al potere per le perquisizioni e gli arresti che hanno toccato il governo e il suo staff, in seguito a una serie di indagini per corruzione sui permessi per l’estrazione di litio e un grande progetto di infrastruttura per l’idrogeno verde.
Litio e idrogeno sono due pezzi base nel disegno della transizione. Il litio è uno dei metalli chiave per l’elettrificazione: è complesso da estrarre, è costoso, ma si trova nelle batterie di tutti i dispositivi per ridurre le emissioni di CO2. Non c’è un mondo libero dal petrolio senza litio.
Il Portogallo ne ospita le più grandi riserve del continente, strategiche per affrancare l’Unione europea dall’importare da mercati imprevedibili e instabili. L’idrogeno verde è quello prodotto partendo da fonti rinnovabili di energia ed è considerato il vettore energetico fondamentale per decarbonizzare la grande industria.
Il Portogallo punta a diventare una superpotenza dell’idrogeno verde: un anno fa il governo aveva annunciato con un certo orgoglio di aver messo insieme 70 investitori privati e 10 miliardi di euro per creare le sue hydrogen valley. Il progetto coinvolto nello scandalo mazzette che ha fatto cadere Costa, quello di Sines, nel sud del paese, era uno dei pilastri di questo piano.
Un modello
Il resto del paradosso è che il Portogallo è un paese a cui la transizione sta riuscendo abbastanza bene. Delle storie di successo si parla meno dei fallimenti, e sicuramente parliamo di successi relativi e non assoluti, ma i fatti sono questi: nel 2021 il Portogallo ha spento la sua ultima centrale a carbone, la più sporca delle fonti fossili, con nove anni di anticipo rispetto ai piani originari.
Il think tank Energy Monitor aveva parlato di modello portoghese, da cui tutta Europa potrebbe trarre lezioni. «Il Portogallo ha mostrato che un’ambiziosa politica di uscita dal carbone è possibile attraverso una combinazione di tasse, rinnovabili, investimenti e programmazione».
L’obiettivo di 80 per cento di elettricità da rinnovabili è stato anticipato di quattro anni, al 2026. Già oggi la metà dell’elettricità viene da solare o eolico, e il paese programma di arrivare alle zero emissioni nel 2045, con cinque anni di anticipo rispetto agli obiettivi europei.
Il tutto condito con una serie di politiche sociali, come il biglietto nazionale calmierato per i trasporti pubblici o gli incentivi alle famiglie per elettrificare il riscaldamento o mettere i pannelli solari. Insomma, non che il Portogallo fosse diventato un’utopia ecologica, ma sembrava un paese in cui stavano funzionando cose che in economie simili sembrano molto più difficili.
Poi, come un granello che va a inceppare un meccanismo ben oliato, sono arrivate le miniere di litio. Risolvere il problema del litio è una delle grandi sfide perché il Green Deal europeo abbia successo: la domanda crescerà di 18 volte entro la fine del decennio e di 60 volte entro il 2050. Una parte del metallo arriverà dal riciclo delle batterie, previsto dalla Battery Regulation scritta dalla Commissione Europea, ma la prima generazione di auto elettriche arriverà a rottamazione solo a metà degli anni Trenta.
Inoltre l’economia circolare non sarà mai in grado di coprire tutto il fabbisogno. Servono alternative, e questo ci porta nella provincia di Trás-os-Montes, quasi al confine settentrionale con la Spagna. È questo l’epicentro dello scandalo corruzione: le miniere per estrarre dal 2027 tra 15 e 30mila tonnellate di litio, le più grandi in Europa, un progetto da 650 milioni di euro di investimento, che il governo portoghese aveva sposato con entusiasmo.
A questo stadio delle indagini è impossibile stabilire un collegamento o una correlazione, ma in Portogallo c’è una forte opposizione popolare contro l’idea di diventare un paese minerario per i prossimi decenni. È uno dei paradossi della transizione energetica: per passare dai combustibili fossili all’energia pulita serve estrazione mineraria, qualcosa che in Europa ormai le comunità locali non sono abituate ad avere nei paraggi, non sulla scala richiesta.
Laboratorio delle proteste
Così negli ultimi anni il Portogallo storia di successo della transizione era diventato anche paese laboratorio delle proteste ambientaliste contro uno degli ingredienti indispensabili per la transizione. Mentre il processo burocratico per le autorizzazioni era stato particolarmente spedito, nel paese era montata la contestazione.
Una delle ong storiche dell’ambientalismo portoghese, Quercus, aveva denunciato il progetto all’Unesco per la minaccia contro l’ecosistema agricolo e pastorale. L’estrazione del litio in Portogallo prevede una prima fase con una miniera a cielo aperto, seguita da un’esplorazione sotterranea, e comporta anche la costruzione di una raffineria.
Il principale impatto della produzione di litio è sull’acqua, sia per la contaminazione chimica che arriva dalla miniera che per l’uso in sé: per ogni tonnellata di litio servono quasi due milioni di litri di acqua. L’anno scorso il 90 per cento del territorio portoghese era in condizioni di siccità, un quinto in siccità molto grave. Inoltre l’estrazione mineraria porta lavori di scarsa qualità e dura poco più di un decennio: poi il business si sposta, ma i danni ecologici rimangono.
Le preoccupazioni non erano state ascoltate dall’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente (Apa), che aveva dato i permessi a una ditta locale e a una britannica (Savannah Resources). Tra le contestazioni delle reti ambientaliste c’era la promiscuità tra politici e società minerarie. Tra gli indagati ci sono il presidente dell’Apa Nuno Lacasta e il ministro delle Infrastrutture (ex Energia) Joao Galamba.
Dopo gli arresti, le indagini e le perquisizioni, gli otto network anti miniere hanno chiesto di fermare subito i progetti: «Non possiamo permettere che le comunità siano colpite da decisioni prese in un modo non trasparente o frutto di corruzione», hanno scritto in un comunicato. Come spiega Pedro Santos, uno dei leader di Quercus, «di corruzione sulle miniere di litio si parlava già dal 2019.
Non ci ha sorpreso la notizia delle accuse, ci ha sorpreso vedere però quanto fosse ramificato il sistema, non avremmo mai pensato potesse arrivare fino al primo ministro e alle sue dimissioni». Prima ancora di concentrarsi sui possibili danni ecologici delle miniere, la società civile ambientalista portoghese si era battuta sulla trasparenza con cui veniva portato avanti il progetto.
Il governo Costa ha condotto le politiche per la transizione in modo muscolare e aggressivo, e su questo metodo alla fine è caduto. «All’inizio era difficile ottenere qualsiasi tipo di informazione, sapevamo che c’erano progetti, ma a lungo c’è stato un clima di segretezza sulla loro scala, e sul fatto che fossero miniere a cielo aperto.
Non volevano parlarne, è stato fatto tutto a porte chiuse», spiega Santos. «L’opinione generale era che il Portogallo spingesse così tanto sul litio per una questione di immagine e relazioni politiche, per la voglia di essere il primo della classe in Europa sulla decarbonizzazione, ma le accuse di corruzione spiegano molte altre cose».
A questo punto del percorso è difficile capire cosa ne sarà del litio portoghese, visto che il terremoto politico e giudiziario è appena cominciato. Per Bruxelles, però, è una brutta notizia: uno dei capisaldi della strategia europea è arrivare almeno al 10 per cento di produzione locale di litio entro il 2030, partendo dallo zero quasi assoluto di oggi.
Quelle miniere sono una leva necessaria per arrivarci. Nel movimento ambientalista portoghese vedono chiaramente il dilemma tra l’ecologia e le tecnologie che servono per implementare la transizione. Santos conclude così: «Per noi è difficile posizionarci, dobbiamo essere sostenibili anche nella sostenibilità. Conta cosa dobbiamo fare, ma anche come facciamo le cose. Una miniera a cielo aperto è dalla parte sbagliata della transizione. Ci servono i metalli, ma non possiamo mettere a rischio l’ambiente e la popolazione per averne. Un equilibrio è possibile, ma non lo troveremo con la corruzione e la mancanza di trasparenza».
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