Due iniziative tengono alta l’attenzione sul rischio idrogeologico. È appena uscito il “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni”, realizzato da Legambiente. Inoltre, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) ha avviato un’indagine conoscitiva sulla mancata o ritardata realizzazione delle opere per la prevenzione dei dissesti idrogeologici
Mentre si è appena conclusa la Cop28 a Dubai e si cercano soluzioni alla crisi climatica, in Italia due iniziative tengono alta l’attenzione sul rischio idrogeologico. Da un lato, è appena uscito il “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni”, realizzato da Legambiente. Dall’altro lato, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) ha avviato un’indagine conoscitiva, regione per regione, sulla mancata o ritardata realizzazione delle opere per la prevenzione dei dissesti idrogeologici.
Il report di Legambiente
Qualche mese fa, su queste pagine, esponendo alcuni dati tratti dal Rapporto 2021 dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) sul “Dissesto idrogeologico in Italia”, avevamo evidenziato che 1,3 milioni di persone vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio, almeno medio, di alluvione.
Rifacendosi a tali dati, Legambiente afferma che «non c’è una porzione del territorio italiano che non debba convivere con la fragilità intrinseca del territorio stesso per quanto riguarda il rischio da frane o da alluvioni, ma si arriva a situazioni come quelle della Calabria dove il 17,1 per cento del territorio regionale è in uno scenario di pericolosità elevata per le alluvioni e in Emilia-Romagna lo è l’11,6 per cento del territorio».
Sono 7.423 i comuni con almeno un‘area classificata a elevato rischio da frane e alluvioni. Si tratta del 93,9 per cento dei comuni italiani e del 18,4 per cento del territorio nazionale. Secondo l’associazione, «il consumo di suolo e il cambiamento climatico» hanno avuto un’incidenza determinante.
Negli ultimi decenni si è cercato di correre ai ripari, ma «ancora oggi i fenomeni estremi causano allagamenti, smottamenti, danni alle infrastrutture, – cosa ancor più grave – vittime nei vari territori, esattamente come succedeva 30 o 50 anni fa, ma con l’aggravante di essere sempre più frequenti e, come visto purtroppo a maggio in Emilia-Romagna, su porzioni di territorio più ampie».
Per Legambiente, a pesare in questi anni è stata «l’assenza di una governance con una visione più ampia capace di tener insieme conoscenza, pianificazione e controllo del territorio». Ma non è mancato solo questo. E l’Anac lo spiega bene.
L’indagine conoscitiva dell’Anac
«Troppi ritardi, stop burocratici e opere ferme nella prevenzione dei dissesti idrogeologici», oltre a «una diffusa inefficacia delle misure finora adottate, con scarsa capacità di spesa e di realizzazione dei progetti, con interventi di natura prevalentemente emergenziale e non preventiva».
Questi sono i motivi – come si legge sul sito dell’Anac - che nelle scorse settimane hanno indotto l’Autorità ad avviare un’indagine conoscitiva «così da appurare le cause di ciò che sta bloccando i lavori, e favorirne il più in fretta possibile la ripartenza». L’Anac affiancherà le amministrazioni in modo tale che le criticità siano affrontate e risolte in tempi quanto più rapidi. «Una sorta di vigilanza collaborativa preventiva», è stata definita dal presidente dell’Autorità, Giuseppe Busía.
I dati dell'Anac sullo stato di attuazione delle opere anti-dissesto idrogeologico - elaborati incrociando i numeri dell'Ispra attraverso la Banca dati Rendis (Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo) e della Corte conti e aggiornati a novembre 2023 - mostrano che a partire dal 1999 sono stati finanziati ben 25.101 interventi.
Di questi, solo 8.073 (il 32,2 per cento) sono stati portati a termine e 2.649 (il 10,6 per cento) risultano in fase di esecuzione. Inoltre, ci sono 4.348 interventi ancora in fase di progettazione; 33 opere in attesa di avvio, 208 revocate o nulle, 16 in via di modifica; 114 lavori aggiudicati e 109 di cui è stata ultimata la progettazione. Infine, di 9.483 progetti «non sono disponibili i dati», e anche questa lacuna è molto grave.
Anche la Corte dei Conti, in varie circostanze, ha rilevato i motivi sottostanti alla mancata esecuzione dei lavori necessari a mettere in sicurezza i territori. Dall’assenza di «una capacità amministrativa e gestionale adeguata» a «progetti spesso non cantierabili, basati su ipotesi progettuali che poi vengono disattese, per cambiamenti di linea politica, per difficoltà autorizzative, per la necessità di adeguare i progetti iniziali approvati ai cambiamenti che hanno, visti i tempi lunghi di avvio, modificato il territorio».
Si tratta di problemi che l’attuazione del Pnrr ha messo ancora più in risalto. Riuscirà l’Anac a fare in modo che le attuali carenze siano almeno in qualche modo attenuate?
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