La gran parte dell’opinione pubblica globale è ancora favorevole alle politiche che mettono in atto la transizione ecologica. Ma tutti sono convinti di essere una minoranza e che si tratti di uno sforzo ultimamente inutile
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E se stessimo sottovalutando il consenso pubblico globale sulla lotta ai cambiamenti climatici? L’onda alta dei trattori, o dei neonazisti tedeschi che attaccano le pompe di calore, la crisi di rigetto dell’ambientalismo è una delle storie del 2024, ma non è l’unica.
Una ricerca pubblicata su Nature Climate Change, e basata su un campione di 130mila persone in 125 paesi, ha misurato che c’è, nonostante tutto, un sostegno quasi universale all’azione per il clima, accompagnato da un altro effetto: la sottovalutazione di quello degli altri.
In sostanza, la posizione più comune rilevata dal sondaggio somiglia a questa frase (sintesi mia): «Io sostengo la transizione, ma ho la sensazione di essere tra i pochi a farlo».
L’inattivismo, il backlash climatico, perfino il negazionismo, esistono nella nostra società, e sono sicuramente in crescita ma, secondo questa ricerca, tendono a essere sovrarappresentati nelle nostre percezioni.
I dati
Non si tratta del sostegno generico al «fare qualcosa». Secondo lo studio, l’86 per cento delle persone vorrebbe nuove norme sociali a favore della stabilità climatica e l’89 per cento vorrebbe che il proprio governo facesse di più per combattere il riscaldamento globale.
Praticamente nove esseri umani su dieci chiedono più transizione, non meno transizione. In 119 dei 125 paesi presi in considerazione dalla ricerca, il sostegno alla lotta ai cambiamenti climatici supera i due terzi della popolazione. In metà dei paesi coinvolti, la domanda di azione pubblica supera addirittura il 90 per cento.
Il dato più notevole però è un altro: il 69 per cento delle persone intervistate sostiene che sarebbe disposto a contribuire con almeno l’1 per cento del proprio reddito per affrontare la questione climatica.
La notizia politica più importante di questo studio però è questo invisibile gap di percezione: le persone che hanno risposto al sondaggio «sottovalutano sistematicamente la volontà dei propri concittadini di fare o pensare la stessa cosa».
In 110 su 125 nazioni la maggioranza delle persone che chiede cambiamenti sociali ed economici per rallentare il riscaldamento globale crede erroneamente di essere in minoranza. «Una maggioranza che si ritiene minoranza» è forse una formula perfetta per definire l’ambientalismo contemporaneo.
Da cosa dipende questa disponibilità a dare l’1 per cento del proprio reddito alla lotta per il clima? Secondo gli autori dello studio, intervistati da Carbon Brief, dalla ricerca emerge che «il sostegno popolare a certe misure dipende dai dettagli pratici. Quanto sarà percepita come efficace la policy? Quanto sarà ritenuta equa? Come sarà il dibattito pubblico su quella proposta, chi si schiererà a favore e chi contro?».
Non si può ovviamente tradurre i risultati di questo sondaggio nella presunzione automatica che ci sia sostegno a qualunque proposta di carbon tax, per esempio, ma la ricerca pubblicata su Nature è la fotografia di un capitale politico ancora inesplorato.
«In un campione sugli Stati Uniti, abbiamo rilevato che la richiesta di più impegno politico è correlata con policy specifiche, come una tassa sui combustibili fossili, limiti alle emissioni di CO2 delle centrali a carbone, o più fondi per la ricerca sulle fonti rinnovabili di energia».
Sacrificarsi per nulla
La ricerca prova a smontare, insomma, un altro luogo comune nell’analisi sulla percezione politica del clima, il fatto che le persone sarebbero disposte ad affrontare il problema solo in astratto, ma non concretamente.
Secondo gli autori, potrebbe essere vero esattamente il contrario: c’è più sostegno concreto, anche ad autotassarsi dell’1 per cento, quando c’è la percezione di un contesto in cui le misure funzionano. Insomma, non è che l’umanità non voglia sacrificarsi. È che non vuole sacrificarsi per niente.
«La conclusione a cui siamo giunti è questa: la maggior parte degli esseri umani sul pianeta esprime una generale volontà a dare un contributo, anche concreto, per la lotta ai cambiamenti climatici». Questo significa che potremmo muovere il dibattito in avanti dalle secche in cui è arenato oggi e focalizzarci su come tradurre questa ampia volontà in azione reali.
La volontà è ampia ovunque, la maggioranza diventa come prevedibile ancora più schiacciante nei paesi più poveri, caldi e vulnerabili. I dati non si spingono agli ultimi mesi e alle tendenze che abbiamo osservato, i ricercatori però sostengono che in base alla tendenza dei loro dati «si aspetterebbe che il sostegno sia aumentato e non diminuito negli ultimi mesi».
Siamo nel regime della speculazione, ma si può fare un’ultima osservazione: se anche fosse calato, come ci suggeriscono le nostre attuali percezioni, potrebbe essere stato proprio per quell’effetto maggioranza che a furia di credersi minoranza, si è isolata e ha smesso di crederci.
E qui forse c’è un compito della politica, almeno della politica che ancora crede nella lotta ai cambiamenti climatici: ricordare a quei pezzi della nostra società di essere, o almeno di essere stati fino a poco fa, la maggioranza del mondo.
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