Il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin è apprezzato per i toni pacati e la disponibilità ad ascoltare tutti, che è un’anomalia nell’esecutivo. Ma questa apertura si tramuta in un Piano energia e clima con centinaia di misure senza priorità che non serve a nessuno. Il Pniec doveva servire a raccontare come l’Italia voleva svolgere un ruolo da protagonista e cogliere i benefici economici e occupazionali della transizione ecologica. Purtroppo è l’ennesima occasione persa
Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin è apprezzato per i suoi toni pacati, non diffusissimi nel governo, per la sua disponibilità ad ascoltare tutti, perfino gli ambientalisti e i ciclisti che invece il collega Matteo Salvini non perde occasione per attaccare. Recentemente, nello scontro sul divieto per gli impianti fotovoltaici in area agricola, da lui sono venute le uniche parole di buonsenso e di impegno per soluzioni di compromesso.
Ora può anche rivendicare di rispettare impegni presi e tempi. Infatti, dopo aver approvato a gennaio il Piano nazionale di adattamento climatico, recuperando un incredibile fallimento dei governi precedenti, ha anche rispettato la tempistica stabilita da Bruxelles per tutti i paesi di consegna dei Piani nazionali integrati energia e clima (il Pniec) fissata per il 30 giugno.
Tutto bene dunque? Purtroppo no, e per capire dove sta il problema bisogna guardare le misure previste da questi due piani per portare avanti gli obiettivi previsti, elencate precisamente e puntualmente.
Non scontentare nessuno
Per non scontentare nessuno, nel Piano di adattamento si trovano 361 azioni. Davvero sono tutti interventi fondamentali per mettere in sicurezza il paese? La mancanza di priorità e di risorse, i ritardi nel dar seguito a quanto indicato hanno messo in evidenza tutti i limiti del provvedimento già quest’estate, perché nel momento in cui scoppia la crisi idrica o si devono finanziare gli interventi più urgenti contro il dissesto di quel piano nessuno si ricorda. E si torna al solito elenco di proposte che vengono dalle regioni.
Invece, nel Pniec sono oltre 200 le «misure principali», per la decarbonizzazione al 2030, e al 2050 si promette persino il nucleare. Quali di queste siano davvero decisive, da supportare prioritariamente non è però chiaro.
In un governo con tanti personaggi in cerca d’autore, chi proviene da storie politiche che hanno nel Dna l’ascolto e la mediazione è particolarmente apprezzato, ma purtroppo non basta per far trovare una rotta al paese in tempi così complicati.
Vigile urbano cercasi
Il mestiere del ministro responsabile delle questioni ambientali è davvero cambiato molto rispetto al passato. Perché il mondo sta cambiando a una velocità fortissima, tra accelerazione della crisi climatica e spinta alla decarbonizzazione. E da Bruxelles è un continuo di nuove direttive su ogni aspetto della transizione ecologica e climatica, che vanno recepite con leggi e regolamenti attuativi.
Per usare una metafora, basterebbe un bravo vigile urbano per indirizzare il traffico nella direzione giusta. Il paradosso è che proprio a questo dovrebbero servire i piani, a indicare quali obiettivi si vogliono raggiungere e con quali soluzioni, con che tipo di approccio industriale e territoriale, in modo che in ogni provvedimento che esce dal ministero si possa fare un passo avanti.
Ad esempio, che si potesse trovare scritto accanto ai numeri al 2030 di eolico e solare installato anche come si vuole percorrere quella strada, con quale tipo di supporto finanziario, con quale approccio industriale e tecnologico, con quali procedure condivise con gli altri ministeri.
Negli altri paesi fanno così perché sono consapevoli che con una sempre maggiore concorrenza internazionale, con la tanto vituperata Cina che nel 2023 ha installato il doppio di eolico e solare del resto del mondo, è l’unico modo per aiutare il proprio sistema industriale a competere, attrarre investimenti, catturare valore nei territori.
Qual è il rischio concreto da noi? Che in Sicilia, Puglia, Sardegna e Calabria, dove il potenziale del solare è enorme, alcuni progetti andranno avanti. Ma solo quelli di coloro che sono state capaci di sopravvivere a un sistema kafkiano di regole visibili e invisibili.
Altro esempio, ci saranno sicuramente nei prossimi anni nuovi impianti solari sui tetti dei condomini e verranno create comunità energetiche, ma probabilmente non si faranno dove sarebbe più importante e urgente per dare una mano a famiglie in difficoltà.
Perché in quei contesti è più complicato e servono politiche attente a superare le barriere di conoscenza di queste opportunità, di costruzione del consenso e di accesso al credito.
Oppure, su un altro tema di attualità, potrà succedere che tra qualche anno dovremo invidiare quei paesi dove un’attenta politica di supporto per i progetti di eolico in mare ha permesso di far nascere consorzi di imprese che utilizzano per la costruzione acciai da impianti nazionali, che hanno investito in cantieri specializzati e formazione nei porti più importanti vicini.
Cambio di nome
Una novità del governo Meloni è il cambio dei nomi dei dicasteri, a segnare la discontinuità con il passato e a fissare le nuove parole d’ordine della destra italiana. E a Pichetto Fratin sono affidate le responsabilità non più di spingere la transizione ecologica ma quelle più in generale sull’ambiente, e in particolare sulla sicurezza energetica.
Coerentemente in questi 20 mesi la priorità si è spostata dalla crescita delle energie pulite alla realizzazione delle infrastrutture energetiche, con investimenti senza precedenti in gasdotti e rigassificatori, per farsi trovare pronti alle prossime crisi.
Negli anni Settanta sarebbe bastato, ma nell’epoca del climate change questa scelta è più costosa e meno efficace di quella che prevede di renderci più sicuri perché usiamo l’energia in modo più efficiente e ce la produciamo con energie rinnovabili.
Numeri preoccupanti
Ma se anche questa prospettiva non interessa, per ragioni di posizionamento politico delle destre europee, Meloni sarà presto chiamata in causa per i numeri preoccupanti che si prospettano all’orizzonte.
Partiamo dall’edilizia, Secondo il Cresme, gli investimenti nel settore delle costruzioni caleranno del 9,5 per cento nel 2024, con un incredibile crollo del 26,5 per cento nella riqualificazione dell’edilizia residenziale. Certamente pesa lo stop al Superbonus da tempo annunciato, ma ancora di più sta incidendo l’incertezza sul futuro.
Perché il messaggio che dal governo viene è che si metterà di traverso rispetto alle politiche europee “case green”, e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, prospetta tagli drastici alle detrazioni per le riqualificazioni energetiche degli edifici.
Arriviamo all’automotive, forse il tema di maggiore scontro politico. Nel paese reale troviamo una situazione di crisi in tanti stabilimenti, con una crescente cassa integrazione e un numero di auto prodotto ogni anno in Italia che continua a ridursi.
Nel paese raccontato dal ministro dello Sviluppo Economico, Adolfo Urso, invece, continua il “proficuo confronto” con Stellantis e altri attori su nuovi modelli, investimenti, Giga factory. Forse non era il Pniec il luogo dove raccontare come si realizzano queste promesse e quella del milione di auto prodotte in Italia, ma prima o poi i nodi verranno al pettine.
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