Almeno un quarto delle emissioni di gas serra generate dall’uomo è collegato agli animali che mangiamo. Ma anche gli animali che non mangiamo generano emissioni. Con milioni di cani e gatti che consumano quotidianamente prodotti a base di proteine animali, il pet food domestici contribuisce in modo sostanziale all’inquinamento.

L’impronta del pet food 

Perciò Andrew Knight, docente presso la School of Environment and Science dell’australiana Griffith University, in base a un rapporto su oltre 500 ingredienti utilizzati dall’industria Usa dei mangimi, ha calcolato l’impronta ambientale attuale del pet food e cosa succederebbe se l’intera popolazione di animali domestici passasse ad alternative vegetali. «Se tutti i cani del mondo passassero a diete prive di prodotti animali, si risparmierebbero gas serra per 0,57 gigatonnellate di CO₂ all’anno, molto più di quanto emesso dal Regno Unito nel 2023», spiega il docente.

Inoltre, ridurre gli spazi destinati agli allevamenti, consentirebbe di liberare in favore della vegetazione un’area più grande del Messico, «che aumenterebbe l’assorbimento di carbonio e la biodiversità». Se poi ogni cane del mondo mangiasse green rimarrebbero disponibili tante calorie da proteine animali da nutrire 450 milioni di persone. Infine, ogni anno sarebbero salvati dalla macellazione almeno sei miliardi di animali. Perché, contrariamente a quanto si può pensare, la domanda di sottoprodotti (cartilagini, scarti di orecchie o muso) da parte dell’industria del cibo per animali domestici, incrementa il numero di capi di allevamento uccisi.

Ci sono però alcune criticità: per esempio il fatto che, mentre i cani sono onnivori, i gatti abbisognano di carne, perché non riescono a produrre da soli alcune proteine, come la taurina. Devono quindi assorbirle dal cibo, di cui manzo, pollo e pesce sono fonti particolarmente ricche. Vero è che alcune aziende, tra cui l’italiana Ami (di Montefalcone) o l’americana Wild Earth (che ricorre ad alghe marine e al fungo Kojii) hanno creato cibo vegetariano per gatti arricchito con taurina.

Nondimeno i veterinari non sono concordi sull’idea che i supplementi bastino ad assicurare la salute dei felini. Quanto ai cani, possiedono invece i geni dell’amilasi; il che significa che possono digerire l’amido vegetale, grazie a un adattamento metabolico sviluppato nel lontano passato, quando gli antichi lupi si erano abituati a mangiare gli avanzi di cibo, e non necessariamente di carne, trovati attorno ai fuochi preistorici.

La soluzione insetti

In ogni caso, esiste comunque un’alternativa a base di proteine derivate dagli insetti: mentre gli umani, infatti, faticano ad adattarsi al consumo di questi novel food, i cani non hanno problemi a leccare i prodotti a base di grilli del marchio statunitense Chippin, che aspira a essere la Beyond Meat (la più famosa azienda di burger vegetali, ndr) del pet food. A parità di valore nutrizionale è stato calcolato che i bovini da carne necessitano di 8 grammi di mangime per produrre 1 grammo di proteine, mentre agli insetti ne bastano 2.

Il punto è: è giusto che le scelte dei padr(on)i ricadano sui piccoli? Può un umano imporre le sue scelte a un animale, senza curarsi del suo gradimento? Per fortuna, i fondatori di Chippin e di Wild Earth hanno deciso di fare esattamente il contrario: invece di far mangiare ai cani qualcosa che può piacere a un essere umano, mangiano loro stessi quello che può piacere ai cani.

«Non penso che le persone dovrebbero vendere cibo per cani, a meno che non lo mangino anche loro», ribadisce il fondatore di Wild Earth. Un’affermazione un po’ forte, forse, ma che mira a dimostrare come il cibo per cani non sia necessariamente un pasto da cani.

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