- Per la prima volta il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato su una risoluzione che avrebbe inserito il clima tra le cause di conflitti e instabilità: la Russia ha usato il suo potere di veto, l’India ha votato no e la Cina si è astenuta.
- Il clima quindi non è riuscito a entrare nella sfera di azione del Consiglio di sicurezza. Un successo diplomatico di Irlanda e Niger (i promotori) avrebbe avuto portata simbolica ed effetti pratici, perché l’Onu avrebbe avuto il clima tra i criteri per attivare processi di peacekeeping e sanzioni.
- L’opposizione era prevedibile. L’obiettivo è conservare sovranità e margine di manovra, per questo motivo era cruciale che il Consiglio di sicurezza rimanesse fuori.
A un mese esatto dalla fine di Cop26, l'organo più alto delle Nazioni Unite, il Consiglio di sicurezza, ha votato su una risoluzione che avrebbe inserito per la prima volta la crisi climatica tra le minacce alla pace e alla sicurezza globali. È andata come si poteva prevedere. La Russia ha usato il suo potere di veto, l'India si è accodata e ha votato no, la Cina si è astenuta e in generale si è replicata la stessa dinamica osservata a Glasgow: i tre grandi paesi (rispettivamente quarto, terzo e primo per emissioni annuali di CO2) hanno frenato i poteri di intervento dell'Onu sul clima e hanno ottenuto un'altra versione della stessa vittoria politica e culturale. La crisi climatica per Russia, India e Cina va considerata come un problema socioeconomico e non di sicurezza internazionale. E così il clima per ora rimane fuori dall'agenda del Consiglio di sicurezza Onu.
Molti consensi
La risoluzione era stata portata avanti da Niger e Irlanda, era l'evoluzione di una precedente proposta tedesca mai arrivata al voto ed era frutto di un anno di costruzione. Il consenso sull'idea che l'Onu dovesse considerare il clima tra le cause delle guerre e agire di conseguenza era uno dei più alti mai raggiunti all'Onu: 113 paesi non membri del Consiglio di sicurezza (che ne ha cinque permanenti con potere di veto e dieci a rotazione) l'avevano appoggiata, è il secondo numero più alto della storia.
La risoluzione avrebbe avuto una enorme portata simbolica ma anche una serie di effetti pratici: il Consiglio può imporre sanzioni e dispiegare forze di peacekeeping.
Se fosse passata, avrebbe ampliato i criteri e gli strumenti per affrontare la crisi climatica, fino a considerare (almeno in linea teorica) interventi sul campo in conflitti causati da siccità, carestie o alluvioni o sanzioni contro i paesi che aggravano l’emergenza del riscaldamento globale. La risoluzione avrebbe allargato il terreno di gioco ed era esattamente quello che Russia, India e Cina non volevano.
La Russia blocca
La Russia ha un pattern nel bloccare ogni ampliamento dell'agenda del Consiglio di sicurezza. L'ambasciatore all'Onu Vassily Nebenzia ha motivato così il veto a questa risoluzione: «avrebbe trasformato un problema scientifico ed economico in una questione politicizzata». Il clima, secondo Russia e India (con la silente approvazione della Cina), deve rimanere all'interno dell'organismo Onu deputato a parlarne, cioè l'Unfccc, United Nations Framework Convention on Climate Change, quello che organizza le Cop e guida il negoziato sulla mitigazione e l'adattamento.
Può sembrare una questione tecnica, ma cambia la natura dei negoziati: come si è osservato nell'assemblea plenaria di Glasgow, le conferenze sul clima sono uno spazio dove l'azione per il clima può essere gestita con più margine di manovra per chi vuole rallentarla e i poteri di intervento sovranazionale sono limitati, perché l'accordo di Parigi è costruito per far decidere ai singoli paesi i contenuti della propria azione.
Cina, India e Russia non vogliono cedere nessuna porzione di sovranità sul clima: mitigheranno le emissioni alle loro condizioni, sociali, economiche e tecnologie, senza accettare ingerenze. Il voto al Consiglio di sicurezza è stato un modo per ribadirlo, anche se in un contesto e su un tema diversi. «Mettere il clima tra le minacce alla sicurezza internazionale sposta l'attenzione dalle vere, profonde cause dei conflitti», ha aggiunto Nebenzia.
Come ha detto l'ambasciatore del Niger Abdou Abarry, «la forza di un veto può bloccare l'approvazione di un testo, ma non può nascondere la nostra realtà». Il punto è esattamente questo: lo stallo al Consiglio di sicurezza riflette il grande problema dell'azione sul clima, l'atmosfera è globale, le emissioni non conoscono confini, ma ogni possibile azione rimane locale, da negoziare stato per stato. Pechino, New Delhi e Mosca non vogliono troppe intromissioni su come gestiscono il processo di decarbonizzazione, per non riceverne era cruciale che il clima rimanesse fuori dalla sfera d'azione del Consiglio di sicurezza.
«Il voto ha sottolineato la differenza tra un gruppo piccolo di paesi che fanno resistenze - tra questi va incluso il Brasile, che da gennaio entra nel Consiglio di sicurezza - e la maggioranza dei membri dell'Onu, inclusi molti paesi africani», hanno scritto Florian Krampe, del Climate Change and Risk program allo Stockholm International Peace Research Institute, e Cedric de Coning, ricercatore al Norwegian Institute of International Affairs, due tra i massimi esperti di governance del clima.
«La maggioranza continuerà a insistere sul fatto che il Consiglio di sicurezza è responsabile del mantenimento della pace e non potrà ignorare i rischi climatici legati alla sicurezza». Servirà ancora molto lavoro diplomatico perché l’Onu possa accettare formalmente una realtà che nei fatti esiste già e che anche ha già appurato in risoluzioni su conflitti specifici come quelli africani o in Iraq, innescati (anche) da motivi climatici. Il veto ha infine posto lo stesso tema di sempre: possono strumenti costruiti nel secolo corso affrontare la più grande emergenza di quello in corso?
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