Negli ultimi decenni, il pianeta ha assistito a un costante riscaldamento, ma una recente e notevole ondata di calore ha portato il clima a superare i confini previsti, lasciando gli scienziati a cercare risposte sui motivi di questo cambiamento radicale.

Nel corso degli ultimi due anni, i record di temperatura sono stati infranti con una frequenza tale da mettere in discussione le migliori proiezioni scientifiche sul comportamento climatico. Gli esperti concordano sul fatto che la combustione di combustibili fossili sia la principale responsabile del riscaldamento globale a lungo termine, sebbene la variabilità climatica naturale possa anch’essa influenzare le temperature annuali.

Pur tuttavia le cause di questa ondata di calore eccezionale rimangono oggetto di dibattito. Tra i fattori potenzialmente coinvolti, si citano le modifiche nella struttura delle nuvole, l’inquinamento atmosferico (che è diminuito) e la capacità della Terra di immagazzinare carbonio. Gli scienziati prevedono che ci vorranno ancora uno o due anni per ottenere un quadro più chiaro di questa situazione.

Cercare le ragioni

«Il riscaldamento del 2023 ha superato di gran lunga quello di qualsiasi altro anno e lo stesso è avvenuto per il 2024», ha dichiarato Gavin Schmidt, direttore del Nasa Goddard Institute for Space Studies. «Vorrei sapere il motivo, ma non ho risposte», ha aggiunto, sottolineando che gli esperti stanno ancora valutando se si stia assistendo addirittura a un cambiamento nel funzionamento del sistema climatico. Quando bruciati, i combustibili fossili rilasciano gas serra, come l’anidride carbonica, che intrappolano il calore vicino alla superficie terrestre.

Nel 2023, le emissioni da combustibili fossili hanno raggiunto livelli record, contribuendo all’aumento delle temperature medie della superficie del mare e dell’aria. Un report dell’Organizzazione meteorologica mondiale ha evidenziato che, tra giugno 2023 e settembre 2024, le temperature globali hanno raggiunto livelli mai visti prima da che si rilevano, con margini significativi rispetto ai record precedenti.

Richard Allan, climatologo dell’università di Reading, ha affermato che «il caldo record degli ultimi due anni ha spinto il pianeta in un territorio inesplorato». I climatologi avvertono che la variabilità climatica naturale potrebbe giocare un ruolo in questo fenomeno.

Dopo un raro evento di La Niña, che ha raffreddato il pianeta per tre anni, è seguito un riscaldamento significativo dovuto a El Niño, che ha contribuito all’aumento delle temperature globali.

Tuttavia, il caldo ha continuato anche dopo il picco di El Niño a gennaio, con novembre che ha registrato il secondo mese più caldo di sempre. «È difficile spiegare questa situazione attuale», ha affermato Robert Vautard, membro del gruppo di esperti climatici delle Nazioni unite. «Se le temperature non scenderanno drasticamente nel 2025, dovremo interrogarci più a fondo sulle cause».

Gli scienziati stanno esplorando diverse ipotesi, inclusa quella che vuole che il passaggio globale a carburanti più puliti nel 2020 abbia influenzato il riscaldamento globale riducendo le emissioni di zolfo, che aiutano a riflettere la luce solare. Recenti studi hanno suggerito che una diminuzione delle nuvole basse (la cui causa è sconosciuta) possa aver permesso a una maggiore quantità di calore di raggiungere la superficie terrestre.

Il dibattito è aperto e gli esperti avvertono che, senza una comprensione completa, potrebbero sfuggire cambiamenti climatici ancora più significativi. Sonia Seneviratne, climatologa del Politecnico federale di Zurigo, ha dichiarato che «non possiamo escludere che altri fattori stiano amplificando ulteriormente le temperature».

Nel 2023, i pozzi di carbonio della Terra, ossia i sistemi che catturano e sottraggono l’anidride carbonica dall’aria, come foreste e oceani, hanno mostrato segni di «indebolimento senza precedenti», mentre la tundra artica, tradizionalmente un serbatoio di CO2, sta diventando una fonte netta di emissioni.

Johan Rockstrom del Potsdam Institute for Climate Impact Research ha avvertito che «potrebbe essere questo il primo segnale di un pianeta che perde resilienza». Con il 2024 di cui si attendono i dati definitivi, ma che potrebbe essere stato l’anno più caldo mai registrato, il mondo si trova di fronte a sfide climatiche senza precedenti che richiedono un’attenzione urgente e un’azione globale.

Tre anni di scoperte di Webb

Tre anni fa, il lancio del James Webb Space Telescope (JWST), il telescopio più grande e potente mai inviato nello spazio, ha segnato un evento epocale. Nonostante i 30 anni necessari alla sua costruzione, in soli tre anni di attività il JWST ha già rivoluzionato la nostra comprensione del cosmo, esplorando il sistema solare, analizzando le atmosfere di esopianeti alla ricerca di biosignature e scrutando le profondità dell’universo per individuare le prime stelle e galassie. Ecco cosa abbiamo appreso sull’universo primordiale e i nuovi misteri emersi grazie al JWST.

Inquietanti “mostri blu”: Il JWST, operando nello spazio e sfruttando la luce infrarossa, ha esteso i confini osservativi dell’Universo, raggiungendo galassie risalenti a quando l’Universo aveva solo 300 milioni di anni. Queste galassie, sorprendentemente massicce (fino a 400 milioni di volte la massa del Sole) per un’epoca così precoce, mostrano un’intensa attività di formazione stellare. Contrariamente alle aspettative, che prevedevano un colore rossastro a causa della polvere interstellare, queste galassie appaiono sorprendentemente blu e luminose, con scarsa presenza di polvere.

Questo enigma ha generato diverse ipotesi, tra le quali una vuole che ci sia stata un’espulsione della polvere a causa di esplosioni estremamente potenti, mentre un’altra vuole che sia avvenuta una distruzione della polvere per via delle intense radiazioni delle prime stelle. La natura di questi “mostri blu” tuttavia, rimane ancora oggetto di studio.

Chimica insolita nelle galassie primordiali: Il JWST ha rivelato una composizione chimica inattesa nelle galassie primordiali, con una quantità significativa di azoto (superiore a quella del Sole) e una minore presenza di altri metalli. Questo suggerisce processi chimici non ancora pienamente compresi, mettendo in discussione i modelli attuali sull’evoluzione chimica delle galassie e la comprensione delle condizioni che hanno portato alla nostra esistenza.

La fine dei “secoli bui” cosmici: Utilizzando lenti gravitazionali (ammassi di galassie che deviano la luce di oggetti più distanti permettendoci di osservarli da Terra), il JWST ha individuato galassie estremamente deboli, superando le aspettative in termini di emissione di fotoni energetici. Questa scoperta suggerisce un ruolo cruciale di queste piccole galassie nel porre fine ai “secoli bui” cosmici, il periodo successivo al Big Bang in cui l’universo era pervaso da gas opaco.

Il mistero dei “puntini rossi”: Le prime immagini del JWST hanno rivelato la presenza di numerosi “puntini rossi”, sorgenti compatte di colore rosso di origine sconosciuta. Inizialmente ipotizzate come galassie massicce e superdense, osservazioni successive hanno rivelato proprietà contraddittorie: emissione di luce da idrogeno gassoso a velocità elevatissime (tipiche dei nuclei galattici attivi, dove un buco nero supermassiccio attrae materia), ma senza emissione di raggi X (caratteristica tipica di tali nuclei).

Inoltre, mostrano caratteristiche di popolazioni stellari. La natura di questi oggetti, forse una fase evolutiva intermedia tra stelle e nuclei galattici attivi, rimane un mistero da chiarire, ma promette nuove informazioni sulla nascita dei buchi neri supermassicci e delle stelle nelle galassie.

Galassie incredibilmente primordiali (“cadavere”): Il JWST ha individuato galassie estremamente massicce, paragonabili o superiori alla Via Lattea odierna, formatesi nei primi 700 milioni di anni di storia cosmica. Questi “cadaveri” galattici, già osservati da Hubble e telescopi terrestri, sono stati analizzati in dettaglio dal JWST, che ha permesso di datarne la “morte” (cessazione della formazione stellare).

La loro esistenza mette in discussione i modelli attuali di formazione delle galassie, poiché sono troppo grandi e troppo antiche per essere spiegate con le teorie attuali. I cosmologi stanno valutando se adattare i modelli esistenti (ipotizzando una formazione stellare iniziale estremamente efficiente) o se riconsiderare la natura della materia oscura e il suo ruolo nella formazione delle prime strutture cosmiche.

Prossimi passi: Il JWST ha già evidenziato diverse lacune nei nostri modelli dell’universo. Oltre a perfezionare tali modelli alla luce delle nuove scoperte, l’obiettivo principale è esplorare ulteriormente l’ignoto e scoprire nuovi misteri, come la vera natura dei “puntini rossi”. Il JWST continuerà a fornire dati preziosi nei prossimi anni, aprendo nuove frontiere nella nostra comprensione del cosmo.

L’idrogeno nascosto

Una nuova ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Science, suggerisce che sotto la superficie terrestre si nasconde una quantità enorme di idrogeno, stimata in 6,2 trilioni di tonnellate, 26 volte superiore alle riserve di petrolio conosciute. Anche solo il 2 per cento di questo idrogeno (124 miliardi di tonnellate) potrebbe soddisfare il fabbisogno per raggiungere zero emissioni nette di carbonio per diverse centinaia di anni, fornendo il doppio dell’energia contenuta in tutte le riserve di gas naturale note.

La maggior parte di questo idrogeno però è inaccessibile con le nostre tecnologie a causa della profondità o della posizione, ma la quantità recuperabile è comunque considerata più che sufficiente per raggiungere l’obiettivo sopra indicato. La stima è stata ottenuta tramite un modello che considera la produzione, l’intrappolamento e la perdita di idrogeno nel sottosuolo.

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