Blackout. Niente auto, né elettrica né a benzina, perché senza elettricità i distributori non funzionano. Niente treni, riscaldamento, anche le caldaie a gas sono connesse alla presa. Niente internet, ascensori, cellulari, bancomat, piastre a induzione. Ma tanto poi la luce torna.

Quando ragioniamo sulla Cop28 di Dubai e sulla transizione energetica non dimentichiamo però che per ottocento milioni di persone, ogni giorno, la corrente proprio non torna. Semplicemente perché per loro l’elettricità proprio non c’è. E se si sopravvive senza telefonino o piastra a induzione, la mancanza di elettricità significa ospedali che non funzionano, carenza d’acqua potabile, assenza di frigoriferi per conservare cibo, medicine e vaccini, malattie curabilissime che possono diventare letali, pessima qualità della vita.

Gran parte di quelle persone abitano nel continente africano, dove anche un miliardo di esseri umani non ha strumenti per cucinare che non siano pericolosi per chi li usa, 400 milioni non hanno accesso stabile all’acqua potabile e 700 milioni mancano di servizi igienici. Le aree urbane africane crescono rapidamente ed entro il 2050 accoglieranno un miliardo di persone, rendendo ancor più esplosive le conseguenze della povertà di energia.

Che l’Africa ancora non ha o, meglio, non può utilizzare. Nel sottosuolo africano ci sono gas naturale (circa il 10 per cento di quello mondiale) e petrolio, e si stima che nel continente ci sia circa il 40 per cento delle risorse di energie rinnovabili del pianeta. Eppure, l’Africa ha il consumo pro capite di energie moderne più basso del mondo: il consumo medio annuo di elettricità degli africani è mediamente inferiore ai 200 chilowattora a testa, contro i circa 3.200 medi nel mondo e i 6.000 dell’Unione europea.

Numeri impietosi che si aggiungono all’evidenza – documentata dall’Ipcc – che il tasso di aumento della temperatura superficiale è stato più rapido in Africa rispetto alla media mondiale. L’Africa non è però stata storicamente responsabile del riscaldamento globale e non lo è ora – produce appena il 5 per cento delle emissioni globali di gas serra – e le sue ampie foreste sono tra i principali assorbitori di CO2 sulla terra; ma è tra i territori che ne pagano più duramente le conseguenze in termini di disastri naturali, siccità, rischi per la salute. Spesso la narrazione della crisi climatica e della transizione energetica è però modellata sulle esperienze e sulle esigenze delle economie ricche. Dimenticando che per risparmiare occorre prima avere, e che il taglio delle emissioni deve fare i conti con la complessità connessa a quella parte del mondo che ha disperato bisogno di energia

Richieste

Alla Cop28 l’Africa ha sostenuto con convinzione la riduzione delle emissioni, domandando al contempo equità e attenzione. I negoziatori africani sono arrivati a Dubai dopo il summit dei loro capi di governo sui cambiamenti climatici tenutosi in settembre a Nairobi in Kenya.

La dichiarazione di Nairobi chiede alla comunità globale di agire con urgenza per ridurre le emissioni, adempiendo ai propri obblighi, sostenendo il continente nell’affrontare con gradualità e giustizia il cambiamento climatico, onorando le promesse fatte, in particolare per ciò che riguarda il supporto economico, i finanziamenti e le facilitazioni per l’accesso al credito per l’industrializzazione e l’adattamento.

I leader africani ricordano infatti come il costo del credito, per loro dalle 5 alle 8 volte maggiore di quello dei paesi industrializzati, impedisca gli investimenti in sviluppo e transizione energetica. Con un prodotto interno lordo globale quasi nove volte inferiore a quello europeo, a fronte invece di una popolazione doppia e in continuo aumento, l’Africa ha bisogno di crescere. Per questo le serve energia, e ciò complica non poco il già difficile percorso verso l’azzeramento delle emissioni.

Come ha detto prima della conferenza di Dubai Collins Nzovu, ministro dell’Economia verde e dell’ambiente dello Zambia e capo del Gruppo africano dei negoziatori per i cambiamenti climatici alla Cop28, «l’esito della Cop28 deve essere globale ed equilibrato e riflettere equità e giustizia, e riconoscere il diritto legittimo dei paesi africani a raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030».

Ma gli obiettivi dell’Agenda 2030 hanno bisogno di energia e, come riporta la Reuters, sempre Nzovu a Dubai ha affermato che «la transizione dovrebbe basarsi su percorsi differenziati verso lo zero netto di emissioni e l’eliminazione graduale dei combustibili fossili», aggiungendo che «dovremmo anche riconoscere il pieno diritto dell’Africa a sfruttare le sue risorse naturali in modo sostenibile». Risorse tra le quali vi sono i combustibili fossili, proprio quelli che non bisognerebbe più utilizzare. Vista dall’Africa, la transizione significa che i paesi ricchi, che da tempo producono e utilizzano combustibili fossili, devono smettere per primi di utilizzarli.

Risarcimenti

Difficile dargli torto. Alcune delle istanze del sud del mondo sono state in effetti riconosciute alla Cop. È stato reso operativo il fondo internazionale per risarcire gli stati poveri per gli effetti del cambiamento climatico, ma occorreranno molti più soldi: ci sono varie stime che parlano di centinaia di miliardi di dollari all’anno entro il 2030.

Il testo finale della risoluzione approvata a Dubai parla delle responsabilità dei paesi industrializzati nell’aver fallito gli obiettivi di riduzione delle emissioni che si erano dati per il 2020, ma la formulazione su quanto le colpe tra nord e sud del mondo siano diversificate resta vaga.

Con la pancia piena si fa meno fatica a impegnarsi e a promettere. Tra le grandi sfide per la transizione energetica ci sarà quella di non lasciare indietro il sud del mondo. E, se non bastassero le motivazioni etiche e di giustizia, ricordiamoci che polveriera sta diventando l’Africa: migrazioni, neocolonialismo, terrorismo – solo per dirne alcune – sono temi strategici per l’Europa, che, lungi dal cercare soluzioni semplicistiche che ancora una volta proteggano la sua “comfort zone”, dovrà invece affrontare le sfide della complessità.

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