Ci sono tanti processi naturali che regolano il clima della Terra. Ma con il riscaldamento della Terra che sta avvenendo in tempi estremamente brevi, gli scienziati temono sempre più che questi processi cruciali si stiano guastando
Ogni giorno miliardi di organismi che fanno parte dello zooplancton, crostacei e altri animali marini si nutrono di alghe microscopiche (scientificamente bisognerebbe chiamarle cianoficee), per poi, alla loro morte, trasportarle nelle profondità dei mari. Questa catena alimentare rimuove milioni di tonnellate di carbonio dall’atmosfera portandolo sui fondali oceanici. È una delle tante attività di processi naturali che regolano il clima della Terra. Un lavoro di cui si occupano anche le foreste, i suoli e altri “pozzi di carbonio naturali” (così vengono solitamente definiti) del pianeta, i quali nel loro insieme assorbono circa la metà di tutte le emissioni prodotte dall’uomo.
Ma con il riscaldamento della Terra che sta avvenendo in tempi estremamente brevi, gli scienziati temono sempre più che questi processi cruciali si stiano guastando. Nel 2023, l’anno più caldo mai registrato (e il 2024, forse, lo sarà ancora di più), i risultati preliminari di un gruppo internazionale di ricercatori mostrano che la quantità di carbonio assorbita dai “pozzi di carbonio” è temporaneamente crollata.
Il risultato finale è stato che foreste, piante e suolo non hanno assorbito, se non in piccolissima parte, quel carbonio che tanto affligge l’umanità di oggi. E anche in mare ci sono segnali di allarme. I ghiacciai della Groenlandia e le calotte polari artiche si stanno fondendo più velocemente del previsto, il che sta interrompendo la corrente oceanica del Golfo, e questo, per una serie di conseguenze, rallenta la velocità con cui gli oceani assorbono carbonio.
Per lo zooplancton che mangia le alghe, ad esempio, la fusione del ghiaccio marino lo sta esponendo a più luce solare: una situazione che nelle aree polari, affermano gli scienziati, potrebbe mantenerlo nelle profondità più a lungo, alterando profondamente la rete alimentare e i flussi di carbonio verso le profondità del mare.
Le paure degli scienziati
Tutto ciò fa tremare gli scienziati del clima. «Stiamo assistendo a crepe nella resilienza dei sistemi della Terra». Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impact Research, ha detto recentemente a un evento alla New York Climate Week: «Stiamo assistendo a enormi alterazioni di quel che si osservava anni fa: gli ecosistemi terrestri stanno perdendo la loro capacità di accumulare e assorbire il carbonio, ma anche gli oceani stanno mostrando segni di instabilità. La natura finora ha bilanciato il nostro abuso. Questo sta per finire».
C’è una speranza tuttavia, perché quel che è avvenuto nel 2023 potrebbe essere un momento temporaneo: senza fenomeni prolungati di siccità o incendi, la Terra potrebbe tornare ad assorbire di nuovo carbonio. Ma anche se ciò fosse vero, quanto avvenuto dimostra la fragilità di questi ecosistemi, con enormi implicazioni per la crisi climatica.
Raggiungere lo “zero” di emissioni di carbonio è impossibile per l’uomo senza l’aiuto della natura. In assenza di una tecnologia in grado di rimuovere il carbonio atmosferico su larga scala, foreste, praterie, torbiere e oceani sono l’unica opzione per assorbire l’inquinamento da carbonio umano, che ha raggiunto un record di 37,4 miliardi di tonnellate nel 2023.
Almeno 118 paesi avevano firmato di voler raggiungere gli obiettivi di riduzione nazionali, ma per la stragrande maggioranza di essi ciò non è avvenuto. E quanto si è verificato nel 2023 non è stato neppure ipotizzato dalla maggior parte dei modelli climatici. Se la situazione dovesse continuare, aumenterebbe la prospettiva di un rapido riscaldamento globale oltre quanto previsto da tutti i modelli.
Negli ultimi 12mila anni, il clima della Terra è esistito su un fragile equilibrio. Ciò nonostante la situazione ha permesso lo sviluppo dell’agricoltura moderna, che ora sostiene una popolazione di oltre otto miliardi di persone. Con l’aumento delle emissioni prodotte da questo alto numero di persone, è aumentata anche la quantità assorbita dalla natura: una maggiore quantità di anidride carbonica infatti, ha fatto sì che le piante crescessero più velocemente, immagazzinando più carbonio.
Ma questo equilibrio sta iniziando a cambiare, spinto dal calore crescente. «Questo pianeta stressato ci ha aiutato silenziosamente e ci ha permesso di nascondere il nostro debito sotto il tappeto, grazie alla biodiversità», afferma Rockström.
La situazione delle biosfere
Solo una grande foresta pluviale tropicale, il bacino del Congo, rimane un forte pozzo di carbonio che rimuove più di quanto rilascia nell’atmosfera. Al contrario, esacerbato dalla deforestazione e dal riscaldamento globale, il bacino amazzonico sta vivendo una siccità da record, con fiumi al minimo storico. L’espansione dell’agricoltura ha trasformato le foreste pluviali tropicali nel sud-est asiatico in una fonte netta di emissioni negli ultimi anni.
Si prevede che le emissioni dal suolo, che costituisce la seconda più grande riserva di carbonio attivo dopo gli oceani, aumenteranno fino al 40 per cento entro la fine del secolo se la situazione globale continuerà al ritmo attuale, poiché i terreni diventano più secchi e i microbi li scompongono più velocemente.
Uno studio pubblicato a luglio sulla rivista Nature ha dimostrato che, mentre la quantità totale di carbonio assorbita dalle foreste tra il 1990 e il 2019 è rimasta stabile, varia notevolmente a seconda della regione. In particolare le foreste boreali, che ospitano circa un terzo di tutto il carbonio presente sulla terraferma e che si estendono tra Russia, Scandinavia, Canada e Alaska, hanno visto un forte calo della quantità di carbonio che assorbono, in calo di oltre un terzo a causa di infestazioni di coleotteri, incendi e disboscamenti per il legname.
In combinazione con la ridotta resilienza dell’Amazzonia e le condizioni di siccità in alcune parti dei tropici, le condizioni nelle foreste settentrionali hanno contribuito al crollo dell’assorbimento che si ha sulla terraferma nel 2023, provocando un picco nel tasso di carbonio atmosferico.
«Nel 2023 l’accumulo di CO2 nell’atmosfera è stato molto elevato e ciò in seguito ad un assorbimento molto, molto basso da parte della biosfera terrestre», afferma Philippe Ciais, ricercatore presso il Laboratorio francese di scienze del clima e dell’ambiente, autore di una ricerca che ha messo in luce tale situazione. Spiega: «Nell’emisfero settentrionale, dove si ha più della metà dell’assorbimento di CO2, abbiamo assistito a un trend di declino nell’assorbimento per otto anni».
Gli oceani, il più grande assorbitore di CO2 della natura, negli ultimi decenni hanno assorbito il 90 per cento del riscaldamento causato dai combustibili fossili, determinando un aumento delle temperature del mare, ma un rallentamento nella crescita della temperatura dell’atmosfera. Ma tale aumento della temperatura dei mari, secondo vari studi sta indebolendo il pozzo di carbonio oceanico. E al momento il flusso di carbonio attraverso la terra e l’oceano rimane una delle parti meno comprese della scienza del clima.
Conseguenze imprevedibili
Purtroppo quando i dati mostrano una situazione inaspettata è quasi sempre troppo tardi per metterci un rimedio. E non è davvero possibile creare modelli in grado di prevedere ogni situazione. «Nessuno dei modelli climatici noti ha preso in considerazione situazioni estreme come quelle osservate, legate per esempio, agli incendi boschivi in Canada, dove l’anno scorso hanno causato sei mesi di emissioni continue di carbonio negli Stati Uniti», afferma Ciais.
«Un altro processo che è assente dai modelli climatici è il fatto basilare che gli alberi muoiono per siccità. Nessuno dei modelli ha la mortalità indotta dalla siccità nella loro modellazione del clima», afferma. «Il fatto che i modelli siano privi di questi fattori li rende probabilmente troppo ottimisti».
Le conseguenze per gli obiettivi climatici sono evidenti. Anche un modesto indebolimento della capacità della natura di assorbire carbonio significherebbe che il mondo dovrebbe effettuare tagli molto più profondi alle emissioni di gas serra per raggiungere lo zero netto.
L’indebolimento dei pozzi di assorbimento del suolo, che finora è stato regionale, ha anche l’effetto di annullare i progressi delle nazioni nella decarbonizzazione e nei progressi verso gli obiettivi climatici, qualcosa che si sta rivelando una lotta per molti paesi. In Australia, le enormi perdite di carbonio nel suolo dovute al caldo estremo e alla siccità nel vasto entroterra, noto come rangelands, probabilmente renderanno il suo obiettivo climatico fuori portata se le emissioni continueranno ad aumentare, ha scoperto uno studio di quest’anno.
In Europa, Francia, Germania, Repubblica Ceca e Svezia hanno tutte sperimentato cali significativi nella quantità di carbonio assorbita dal terreno, causati da epidemie di scolitidi legate al clima, siccità e aumento della mortalità degli alberi. La Finlandia, che ha l’obiettivo di neutralità carbonica più ambizioso nel mondo sviluppato, ha visto negli ultimi anni scomparire la sua enorme riserva di assorbimento da parte del suolo: ciò significa che, nonostante la riduzione del 43 per cento delle emissioni in tutti i settori, le emissioni totali del paese sono rimaste invariate.
Per fortuna, finora, questi cambiamenti sono regionali. Alcuni paesi, come Cina e Stati Uniti, non stanno ancora sperimentando tali cali. «La questione dei “pozzi di carbonio” naturali non è mai stata realmente presa in considerazione in modo appropriato in ambito politico e governativo. Si è dato per scontato che i pozzi naturali saranno sempre con noi. La verità è che non li comprendiamo davvero e non pensiamo che non saranno sempre con noi. Cosa succede se i pozzi naturali, su cui hanno fatto affidamento in precedenza, smettono di funzionare perché il clima sta cambiando?», afferma Watson.
Negli ultimi anni sono state pubblicate diverse stime su come il mondo potrebbe aumentare la quantità di carbonio che le sue foreste e gli ecosistemi naturali assorbono. Molti ricercatori affermano che la vera sfida è proteggere i pozzi di carbonio e le riserve che già abbiamo, fermando la deforestazione.
«Ma non dovremmo affidarci alle foreste naturali per fare questo lavoro. Dobbiamo invece, affrontare di petto il grande problema: annullare le emissioni di combustibili fossili in tutti i settori», afferma il prof. Pierre Friedlingstein dell’università di Exeter, che supervisiona i calcoli annuali del Global Carbon Budget. «Non possiamo semplicemente dare per scontato che poiché abbiamo foreste e le foreste rimuoveranno un po’ di CO2, perché non funzionerà a lungo termine».
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