Vivien Triffaux ha 43 anni, è francese e vive non troppo lontano da Strasburgo, ma in estate va spesso in Trentino dove ha una casa, in un piccolo paese chiamato Dro, nella piana dell’Alto Garda. Qui sopra ci sono sentieri che si inerpicano nei boschi e bastano pochi minuti per trovarsi a contatto con la natura, con le temperature che sono decisamente più gradevoli rispetto a una grande città. Il problema, semmai, è che la natura ha le sue leggi e non sempre seguono le aspettative degli esseri umani.

Triffaux lo sa benissimo. Suo nonno era originario proprio di Dro e anche se ai tempi molte cose erano diverse, e in effetti in Trentino gli orsi erano praticamente estinti, è impossibile non sapere che oggi invece un incontro spiacevole a queste latitudini non è più così raro. Sui sentieri che frequenta, mentre cammina nel bosco, ci sono cartelli che non lasciano spazio a dubbi. All’imbocco del sentiero degli Scaloni, in una frazione di Dro, ce n’è uno grande e di colore giallo. Sopra c’è la sagoma di un plantigrado e la scritta è semplice: «Area orso. Bear area. Attenzione».

L’incontro

La zona in Trentino dove è avvenuto l'attacco di un orso al turista francese (Ansa)

È la mattina presto, non sono ancora le sette di martedì 17 luglio. Dopo giorni di pioggia, il bel tempo è arrivato anche qui. Triffaux sta camminando proprio lungo il sentiero degli Scaloni, che di solito è molto frequentato, ma che a quest’ora è praticamente deserto. Secondo le prime ricostruzioni riportate dai giornali locali, e secondo il racconto che l’uomo ha fatto al corpo forestale del Trentino e all’assessore provinciale al Turismo, Triffaux si è imbattuto in un’orsa che si trovava sul suo stesso sentiero. Con sé aveva almeno un cucciolo ed è forse per questo, soprattutto per questo, che l’orsa ha reagito graffiando e inseguendo l’uomo.

«Mi sono buttato per terra, con le braccia dietro alla testa, come dicono di fare. Credo che non sempre sia possibile riuscirci, ma io ne ho avuto il tempo e credo di essermi salvato così», ha raccontato Triffaux all’assessore, secondo il quotidiano Adige. Dopo che l’orsa sembrava essersi allontanata, il turista francese si è rialzato. Ma è scivolato lungo un pendio dopo che l’animale lo aveva inseguito ancora. A quel punto è rimasto rannicchiato, fino a quando l’orsa se ne è finalmente andata.

Preoccupati

Per più di una settimana Triffaux è rimasto ricoverato al reparto di chirurgia plastica dell’ospedale Santa Chiara di Trento con una prognosi di venti giorni e qualche lesione a un braccio e ad una gamba. È sotto osservazione per evitare che ci possano essere delle infezioni. Ma le sue condizioni cliniche non sembravano in realtà destare troppe preoccupazioni.

La preoccupazione più comune in Trentino è invece più in generale e riguarda l’eterna questione della convivenza fra uomini e orsi. Solo poche ore dopo la disavventura del turista francese, a metà mattina di mercoledì 18 luglio, un biker è stato inseguito da un orso per qualche decina di metri, mentre percorreva un sentiero in una frazione di Vallelaghi, a 15 chilometri da Trento.

Ma, come racconta il quotidiano T, martedì 17 luglio si sono imbattuti in un orso anche Franca e Carlo Papi, nella zona di Caldes, in Val di Sole. Erano andati a rendere omaggio ad una croce che è stata impiantata in un giardino, in memoria del loro figlio: Andrea Papi, ucciso da un’orsa in quello stesso bosco il 5 aprile del 2023.

La mattina del 30 luglio Kj1, l’orsa che aveva aggredito Triffaux, è stata abbattuta per effetto di un provvedimento del presidente della provincia.

Il dibattito

Il dibattito però non è evidentemente solo una questione locale. Ogni estate torna a riaffacciarsi sui giornali di tutto il mondo, con il Guardian che ad esempio se ne è già occupato diverse volte. A fine agosto arriverà nelle sale Pericolosamente vicini, un documentario di Andrea Pinchler, girato proprio in Trentino. Sul tema ci sono libri e ci sono podcast, ci sono tesi di laurea e ci sono articoli scientifici. Ma soprattutto c’è un dibattito che si fa nelle strade, nei tribunali e sui social.

Ai due poli opposti della questione ci sono coloro che vorrebbero che gli orsi fossero sistematicamente eliminati, perché sono diventati troppi ed eccessivamente problematici, e gli animalisti che invece ritengono che una convivenza sia possibile. E che semmai debba essere l’uomo ad adeguarsi, per esempio evitando di andare a correre in solitudine in certi boschi.

Estremisti

Siccome però il mondo è più complesso di qualsiasi schematizzazione, i punti di vista possono essere anche meno netti e possono variare sulla base del contesto o del singolo episodio (o esemplare, visto che si parla di orsi).

E soprattutto il tema tocca tante altre questioni che per loro natura rischiano di far esplodere i conflitti. Il confronto politico, con il presidente della provincia Maurizio Fugatti (Lega) che è stato rieletto anche capitalizzando il consenso per le sue posizioni anti orso. Il rapporto con l’ambiente. L’aspetto economico, con le possibili ricadute su turismo e allevamenti. Le diverse sensibilità su come questo fenomeno possa essere gestito, anche secondo il parere degli esperti.

Infine, quando il dibattito assume i toni più estremi, può attirare anche gli estremisti. A inizio giugno nell’ufficio di Fugatti è arrivata una busta con un proiettile e una minaccia inquietante: «Farai la fine dell’orso». Firmato “Animal right militya”.

La geografia

Per capire davvero perché questa questione è tanto problematica serve un po’ di geografia e un po’ di storia. Partiamo dalla geografia. Non esiste al mondo un territorio in cui la convivenza fra uomini e orsi è così ravvicinata e gli incontri siano diventati statisticamente così frequenti. Molti paesi del Trentino confinano direttamente con i boschi e non è facile stabilire quali siano gli spazi vissuti dalla natura e quelli frequentati dagli uomini. A giugno un orso è stato filmato nel centro di Malé, un piccolo paese della val di Sole, quando era ancora in corso una sagra.

Di per sé la provincia occupa un piccolo territorio, di poco più di 6mila chilometri quadrati. Ma la gran parte degli orsi si trova in uno spazio ancora più ridotto, probabilmente “troppo ridotto”, nella sola parte occidentale della provincia. Per raggiungere la parte orientale dovrebbero infatti superare delle barriere quasi insormontabili (il fiume Adige, l’autostrada e la ferrovia del Brennero). Da quel che si sa, l’impresa è riuscita finora soltanto a due esemplari.

In altre parole, in una piccola lingua di territorio l’uomo e l’orso sono costretti a una convivenza più o meno forzata. Il turismo di massa, che è uno dei motivi della ricchezza del Trentino, da questo punto di vista rischia di creare ulteriori problemi.

La storia

Vista la geografia, passiamo alla storia. L’orso è una specie autoctona dell’ecosistema alpino. Per secoli la sua presenza, inserita in maniera naturale all’interno della piramide trofica di queste zone, ha avuto effetti benefici sull’ambiente. Per sua natura, l’orso è un animale tendenzialmente raro, abituato a vivere in spazi sconfinati, con una densità di popolazione ridotta.

Nell’Ottocento i boschi trentini erano ancora popolati da centinaia di orsi, ma negli anni successivi hanno dovuto fare i conti con i desideri, e le paure, dell’uomo che via via, espandendo le città e popolando spazi prima incontaminati, ha finito inesorabilmente per ridurne l’areale. Nel corso degli anni Novanta del Novecento, si è stimato che sopravvivessero soltanto fra i tre e cinque animali, un’ultima famiglia di orsi autoctoni, senza più figli e con il destino segnato per l’estinzione.

Life Ursus

È in questo contesto che è stato avviato il cosiddetto Life Ursus, un progetto per molti aspetti all’avanguardia. Sul finire degli anni Novanta, ha ripopolato la popolazione di orsi in Trentino, catturando e rilasciando in zona alcuni esemplari sloveni. Il racconto dell’iniziativa – con i sogni, le aspettative e gli aspetti più problematici – si trova in un libro intitolato Un uomo tra gli orsi, scritto da Andrea Mustoni, lo zoologo che del progetto era il coordinatore.

Mustoni spiega bene come all’inizio Life Ursus fosse qualcosa di molto simile ad un’utopia accademica. Solo la presenza di alcune particolari contingenze permise, sulla fine degli anni Novanta, di trasformare quel sogno in una realtà. Nello specifico, l’esistenza in Trentino di un’area protetta – il parco faunistico Adamello Brenta, aperto sul finire degli anni Sessanta – che aveva come scopo principale la salvaguardia della natura. E la presenza di specifici fondi dell’Unione europea, riservati proprio a progetti ecologici di questa portata.

I capostipiti

Il primo esemplare rilasciato in Trentino, il 26 maggio del 1999, si chiamava Masun, dal nome della località in Slovenia dove era stato catturato. Dopo di lui arrivò Kirka, un’orsa il cui nome era tratto da Krka, il lungo fiume sloveno nei pressi del quale viveva. Poi ancora: nel 2000 Daniza, Joze, Irma, Jurka e Vida. Poi Gasper, Brenta e Maja.

Sono questi gli antenati comuni degli orsi di cui si parla oggi in Trentino: alcuni di loro scapperanno in Austria, altri ancora non riusciranno a riprodursi o moriranno in circostanze tragiche (come Irma, uccisa nella primavera del 2001 da una slavina). Ma piano piano la natura farà il suo corso e nasceranno i primi cuccioli. Oggi si stima che in zona ci siano 98 orsi (secondo i dati dell’ultimo rapporto Grandi carnivori della provincia di Trento). Nel solo 2023 è stata stimata la presenza di 13 nuove cucciolate, per un totale di 22 piccoli. Nello stesso anno gli orsi morti sono stati nove.

Le aggressioni

La seconda parte della storia degli orsi in Trentino è dunque quella che riguarda le aggressioni, fino ai recenti episodi di cronaca e alla morte di Andrea Papi nel 2023. Il primo episodio risale al 2014, quando Daniele Maturi, un fungaiolo di Pinzolo, venne aggredito da Daniza nei boschi della val Rendena. All’estate del 2015 risalgono altre due aggressioni, altre ancora poi nel 2017 e più di recente dopo il 2020.

In realtà, già nello Studio di fattibilità del 2000, che sta alla base di Life Ursus, il rischio delle aggressioni era già perfettamente previsto. «L’orso bruno, tra i grandi carnivori del paleartico, è uno dei maggiori responsabili di attacchi all’uomo», si legge. «Il fatto che in Italia non siano state registrate aggressioni negli ultimi secoli è probabilmente da mettere in relazione ai particolari adattamenti comportamentali degli orsi alla forte antropizzazione del territorio italiano, che ha probabilmente selezionato un comportamento più elusivo. È prevedibile che orsi catturati in Slovenia e rilasciati in Trentino mostrino un comportamento meno elusivo».

A sostegno di questa tesi, venivano riportate una grande quantità di dati: in Austria tra il 1989 e il 1996 c’erano stati 516 casi di incontro orso-uomo (con 5 casi di «attacco non completato»); in Slovenia gli attacchi erano periodici; in Slovacchia, dove era presente una popolazione di 600 orsi, «in tre anni 26 persone (cacciatori, turisti, raccoglitori di bacche) sono state ferite, anche gravemente, dagli orsi». In Romania, dove si stimava una popolazione complessiva di orsi di circa 6.600 individui, «sono stati registrati numerosi attacchi, in alcuni casi mortali, all’uomo; tra il 1987 ed il 1992 in quel paese 193 persone sono state gravemente ferite da orsi».

Le scelte

Mustoni nel suo libro ammette candidamente: «Molti mi chiedono perché l’orso sia stato reintrodotto anche a fronte della possibilità che aggredisse delle persone, come esplicitato nello studio di fattibilità».

«Sinceramente non lo so. Penso che per alcuni degli amministratori chiamati a partecipare al processo decisionale si sia trattato di un processo inconsapevole, o addirittura della sottovalutazione dei rischi connessi alla pericolosità dell’orso».

«Per altri, più attenti, è stato un pesare i pro e i contro; la consapevolezza che, a fronte dei rischi descritti nello studio di fattibilità e dell’evidenza di quanto accaduto in altre zone di presenza della specie, si correvano rischi anche nel lasciare estinguere la popolazione autoctona. Per comprendere questa posizione si deve pesare il valore dell’orso inteso nella completezza della sua presenza, sia ecosistemica, sia culturale».

In Trentino

La foto, scattata nel 2021, ritrae l'orso M62 dopo la cattura per mettergli il radiocollare (Ansa)

Parlando oggi con chi vive in Trentino la sensazione è che questa percezione sia nettamente cambiata. L’ufficio stampa della Provincia fa da megafono ad ogni incontro fra uomo ed orso, qualsiasi sia il suo esito. Molti sindaci chiedono interventi per limitare la presenza degli orsi sul territorio. E così fa anche il presidente della Provincia, che ha già firmato diverse ordinanze per catturare o eliminare gli animali più problematici. La scorsa primavera è stata approvata una legge provinciale (qui c’è l’autonomia) che consente l’abbattimento di otto esemplari ogni anno.

Questo non significa ovviamente che tutti la pensino allo stesso modo. Anche in Trentino ci sono persone che ritengono che la percezione del pericolo sia tutto sommato gonfiata dalla propaganda politica o dall’emozione di certi episodi di cronaca. E che la convivenza sia effettivamente possibile, investendo sulla comunicazione, insegnando a gestire gli incontri e accettando che la montagna porti con sé anche dei pericoli.

Ma la sensazione generale – come ha scritto qualche tempo fa su Domani Ferdinando Cotugno – è che il successo ecologico di Life Ursus non abbia avuto un identico successo sociale.


Aggiornamento del 22 luglio, 16.49: Una prima versione di questo articolo conteneva degli errori, nella sola parte iniziale e derivati dal racconto ufficiale che era stato fatto della vicenda dalle autorità e da alcune informazioni riportate dai giornali locali. Le correzioni sono state possibili quando Domani è riuscito a parlare con il turista francese. In particolare, il cognome è Triffaux, non Traiffaux. Inoltre il turista non stava correndo ma stava camminando quando è stato aggredito.

Aggiornamento del 30 luglio, 11.30: L’articolo è stato aggiornato con la notizia dell’abbattimento dell’orsa Kj1.

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