Il quadro italiano è nettamente fratturato: 42 per cento di apatici e scettici, 40 per cento di ingaggiati verso la sostenibilità e la tutela dei beni comuni. In mezzo, c’è la pattuglia di moderati, che sono il 18 per cento
Stewardship. È un termine inglese per definire la gestione responsabile di risorse naturali e beni ambientali, utile per valutare il livello di impegno nella tutela, nella conservazione, nell’uso sostenibile degli ecosistemi, della biodiversità, ma anche di aria, acqua e suolo.
Ipsos global advisor ha realizzato di recente un’indagine tra i cittadini di 22 paesi dei cinque continenti. Ne è emersa una mappa globale che porta alla luce un mondo diviso, con il 39 per cento di apatici e scettici, il 38 di impegnati nella difesa dei beni ambientali e, in mezzo, il 23 per cento di ambientalisti moderati. Il quadro italiano è ancora più nettamente fratturato: 42 per cento di apatici e scettici, 40 per cento di ingaggiati e, in mezzo, la pattuglia di moderati (18).
I numeri
Il fronte degli apatici e scettici è, a sua volta, suddiviso in due agglomerati. Il primo, più refrattario e distaccato, è quello degli apatici eco-sociali. Sono i disimpegnati. Si distinguono per la completa mancanza di interesse nei confronti delle questioni ambientali e sociali. In Italia e Germania sono il 29 per cento. In Francia, Gran Bretagna e Usa sono il 23 per cento. In Svezia il 20, in Australia il 27, in Corea del Sud il 30, in Giappone il 39, e in Arabia Saudita il 43. Decisamente minori le quota in Kenya (15), Sudafrica (16) e Brasile (17).
Il secondo gruppo è quello dei miscredenti del clima. Scettici, poco propensi a credere che a causa delle attività umane la Terra sia vicina a un punto di svolta ambientale, ritengono esagerate le grida di allarme e non necessarie le azioni per ridurre le emissioni. In Italia, Francia, Germania e Danimarca sono il 13 per cento. Negli Usa sono il 17, in India il 16 e in Gran Bretagna il 12. Solo in Kenya sono il 7 per cento e in Indonesia il 9. In mezzo al guado troviamo gli ambientalisti moderati. Sono l’agglomerato caratterizzato da un approccio pragmatico e misurato alle questioni ambientali. Riconoscono la necessità di affrontare il cambiamento climatico, sono preoccupati per lo stato della natura e per le condizioni in cui lasceremo il mondo alle generazioni future.
Non sono estremisti, ma cercano soluzioni equilibrate e graduali, paventano riforme progressive all’interno del modello economico esistente. In Italia sono il 18 per cento. In Gran Bretagna il 28, in Francia e Svezia il 27, negli Usa il 22, mentre in Cina arrivano al 30.
L’area ingaggiati sulla priorità ambientale si suddivide anch’essa in due comunità. La prima è quella degli ottimisti angosciati. Sono un agglomerato caratterizzato da una miscela di ansia per l’ambiente e ottimismo per il futuro. Combinano la preoccupazione ambientalista con la fede nel progresso, nella crescita e nell’innovazione, sostenendo un futuro economicamente prospero e, al contempo, ambientalmente sostenibile.
In Italia sono il 15 per cento. In Francia l’11, in Germania il 13, in Gran Bretagna il 14, negli Usa il 22, in Indonesia il 26, In India e Arabia Saudita il 32. Infine, ci sono i guardiani del pianeta. Animati da un senso di urgenza nei confronti dell’ambiente. Sono i sostenitori del cambiamento sistemico, hanno un atteggiamento collettivista, credono in un futuro più equo, ma hanno sfiducia nella volontà dei governi e sono animati da un forte senso di ingiustizia economica. In Italia e Germania sono il 25 per cento, in Francia il 27, in Inghilterra il 23, negli Usa il 17, per calare al 7 in India e al 2 per cento in Arabia Saudita.
La sfida sociale
Complessivamente, quattro cittadini globali su 10 mantengono un atteggiamento scettico o apatico di fronte al tema della gestione responsabile di risorse naturali e beni ambientali. «Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce pescato, solo allora l’uomo scoprirà di non poter mangiare il denaro», recita un proverbio amerindo.
C’è da sperare che non si debba arrivare a questa situazione per convincere governi, imprese e scettici dell’urgenza di riforme sistemiche, che intervengano sull’attuale modello di sviluppo estrattivo e iperconsumistico, iniquo socialmente e distruttivo per l’ambiente.
L’urgenza di interventi lungimiranti e decisi non deve far dimenticare che la loro efficacia e la loro accettabilità sarà sempre più collegata alla capacità di unire equità ambientale e sociale, senza scaricare sui ceti più fragili economicamente i costi e la fatica della transizione green. La sfida green è anche una sfida sociale e di prospettive. Si gioca sulla volontà di procedere verso un modello di economia e società più armonica ed equa, meno estrattiva e più distributiva.
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