- Perché piccoli aumenti della temperatura globale hanno effetti così importanti? Quanto è già cambiato realmente il clima?
- Chi sono le persone più vulnerabili al cambiamento climatico? E perché alcune sostanze trattengono il calore più di altre?
- Proviamo a dare risposte chiare a questi dubbi comuni, per mettere ordine sul tema del cambiamento climatico ed evitare di farsi trascinare da idee fuorvianti
Nonostante le prove continue che qualcosa di “diverso” nel nostro clima esiste rispetto a 40 o 50 anni fa, sono ancora in molti a non capire la gravità della situazione. Questi pongono domande che vogliono sminuire i dati scientifici. Ad almeno alcune di queste è giusto dare risposte che dimostrano inequivocabilmente come la scienza ci stia mettendo in guardia dal problema dei veloci cambiamenti climatici e senza troppi allarmismi.
Piccolo aumento, grande problema
Una prima domanda è questa: «Perché piccoli aumenti di temperatura come quelli che si registrano attualmente sono così importanti per l’intero pianeta?». Quando misuriamo la nostra febbre, averne 36,5°C o 36,6°C non fa molta differenza ed infatti un decimo di grado è oggettivamente un valore minuscolo, appena percettibile. Ma nella realtà del nostro pianeta, piccoli cambiamenti nella temperatura media possono riverberarsi nel clima globale, per trasformarsi in grandi disastri nei più diversi angoli della Terra. Nel 2015, i paesi di tutto il mondo avevano concordato di ridurre le emissioni di gas serra per limitare il riscaldamento globale a «ben al di sotto» di due gradi rispetto alle temperature che vi erano prima del periodo industriale e perseguire l'obiettivo per quanto possibile di ridurre il riscaldamento a 1,5 gradi, come parte dell’Accordo di Parigi. Ma come è possibile che due gradi centigradi siano così importanti? Spesso nella nostra casa tra una stanza e l’altra la differenza è superiore a due gradi centigradi e quasi non ne sentiamo la differenza. La risposta la dà Gabe Vecchi climatologo della Princeton University: «È importante guardare le temperature del pianeta come una curva a campana, piuttosto che come una linea che segna la media, in quanto una linea nasconde “estremi nascosti”, mentre la curva a campana dice che vi sono aree dove le temperature sono di molto al di sopra dei 2°C e altre dove sono al di sotto. Se la media della temperatura terrestre è ormai al di sopra di 1,1°C rispetto al periodo preindustriale, la realtà vuole che alcune aree vedano un valore inferiore, ma in altre, come le aree polari, le temperature medie sono salite più del doppio. E se sono aree sensibili, come lo sono quelle artiche ad esempio, si possono avere ripercussioni a cascata che ancora ci sfuggono».
È una situazione simile all’innalzamento del livello del mare, dove la media nasconde situazioni molto diverse le une dalle altre. La maggior parte delle nazioni, compresi i due maggiori emettitori di gas serra del mondo, Stati Uniti e Cina, non sono ancora sulla buona strada per limitare il riscaldamento a 1,5°C, nonostante le promesse di ridurre le loro emissioni a “zero netto”. «Ormai le scommesse sono chiuse», ha detto Kim Cobb, scienziato del clima alla Brown Unversity. «L’aumento della temperatura media terrestre ha già causato delle ricadute che amplificano il riscaldamento. Un esempio ne è la fusione del permafrost che intrappola enormi quantità di gas serra, soprattutto metano, che entrando in atmosfera innesca un riscaldamento ancora peggiore». Per capirci dunque, anche se due gradi di aumento della temperatura non sarebbero catastrofici di per sé, ma questo aumento non è distribuito omogeneamente e così in alcune aree si arriva al doppio dell’aumento medio con conseguenze «davvero catastrofiche».ù
Mutamento troppo veloce
Un secondo interrogativo è: «Quanto è già cambiato il clima?». Prima di rispondere a questa domanda è giusto sottolineare un fatto: il clima è in continua mutazione. Stando solo al fatto che 9.000 anni fa eravamo al termine di una glaciazione e da allora vi è stato un lento, seppur altalenante, riscaldamento, risulta ovvio che tutto ciò che interessa l’atmosfera terrestre è in continua mutazione. Ma… siccità incessanti in Cina, Africa orientale, Stati Uniti occidentali e Messico settentrionale, inondazioni devastanti in Pakistan e Kentucky, ondate di caldo torrido in Europa e nel Pacifico nord-occidentale, cicloni distruttivi sull'Africa meridionale e intensi uragani negli Stati Uniti e in America centrale costituiscono solo alcuni dei recenti eventi meteorologici estremi che gli scienziati del clima avevano da tempo previsto diventare più intensi con un clima più caldo.
«Con poco più di un grado di riscaldamento dai tempi preindustriali, siamo già entrati in modelli meteorologici più estremi», ha affermato Elizabeth Robinson, direttrice del Grantham Research Institute di Londra. Secondo la maggior parte degli scienziati è ormai indubbio che l’aumento della temperatura avutasi dal 1850 ad oggi è stata in gran parte dovuta all’attività umana e ciò viene sottolineato dall’ultimo rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change. Va poi rimarcato che la maggior parte di questo riscaldamento si è verificato dal 1975 in poi, a un tasso compreso tra 0,15° Celsius e 0,2° Celsius per decennio. E oggi la maggior parte dell’umanità vive in aree che si sono riscaldate più della media globale, «questo a causa dell’urbanizzazione (in quanto le persone si spostano sempre più nelle città, che sono diventate isole di calore urbane) e in parte per il semplice fatto che la popolazione sta crescendo», ha detto Robinson. Le aree urbane, sono chiamate “isole di calore” perché ricche di numerose infrastrutture che assorbono il calore, come strade ed edifici e una copertura arborea sempre più ridotta sia nelle aree centrali che in quelle periferiche.
Anche il livello del mare, che si è gonfiato a causa del riscaldamento, dell’espansione degli oceani e della fusione dei ghiacciai presenti sulla terraferma, è aumentato più rapidamente. Nel XX secolo, i mari aumentavano di circa 1,4 millimetri all’anno, ma è più che raddoppiato a 3,6 millimetri negli ultimi 15 anni. I mari sono aumentati in media di circa 21-24 centimetri dal 1880 e secondo l’Ipcc la risalita arriverà a 43-84 centimetri (a seconda degli interventi che farà l’uomo) entro il 2100. Ora, tornando alla domanda iniziale, ossia «quanto è cambiato il clima e perché doverci allarmare?», la risposta è molto semplice, seppur difficile da far capire a chi non vuol capire: se non c’è dubbio che il clima e le temperature globali hanno fluttuato nel corso della storia della Terra, è il tasso di cambiamento climatico che deve allarmare più di ogni altra cosa quel che sta avvenendo ai nostri giorni, ossia la velocità dei cambiamenti in atto.
I combustibili fossili, costituiti da antiche piante e animali in “decomposizione” nelle profondità della Terra, sono stati dissotterrati e bruciati a velocità straordinarie. «Solo ora si riesce a studiare i dettagli sui tassi, le grandezze e i tempi dei cambiamenti climatici, nonché il diverso impatto sulle regioni, perché fino a recentemente eravamo immersi agli inizi di questa situazione ed era difficile valutare quel che stava succedendo» ha affermato Kim Cobb, scienziato del clima della Brown University. Con il pianeta che sta già affrontando gli effetti del cambiamento climatico, l’adattamento ai pericoli è uno dei principali modi con cui l’uomo può limitare i danni.
Nonostante quel che sta succedendo infatti, secondo gli scienziati, i decessi per disastri meteorologici tendono generalmente a diminuire a livello globale man mano che le previsioni, la preparazione e la resilienza migliorano. «La misura con cui le persone vengono danneggiate da un evento meteorologico estremo è fortemente influenzata dalle politiche del governo», ha affermato Robinson, ma ha aggiunto che «ci sono limiti anche all'adattamento e questo non è da sottovalutare».
Popolazioni più vulnerabili
Una terza domanda: «Chi è più vulnerabile ai cambiamenti climatici?». Un dato di fatto è che l’85 per cento della popolazione mondiale è stata in qualche modo influenzata dai cambiamenti climatici. Ma gli effetti non sono stati avvertiti allo stesso modo da tutti. Alcune comunità hanno solo visto un leggero aumento della temperatura e si sono adattati grazie alla tecnologia, ma altre si sono viste spazzate via completamente.
Non c’è dubbio, secondo scienziati del clima, esperti di giustizia climatica e ambientale e ricerche internazionali sulla questione, che la vulnerabilità ai cambiamenti climatici è «aggravata dall’iniquità e dall’emarginazione legate a genere, etnia, basso reddito o combinazioni di questi». «I poveri, le minoranze etniche e in alcune aree soprattutto le donne sono chiaramente i più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici che stiamo già assistendo oggi. Ondate di calore, incendi e aumento dei prezzi dovuti alle interruzioni della catena di approvvigionamento e crescita dei prezzi dell’energia colpiscono queste categorie di persone più duramente che altre», spiega Daniel Kammen, professore di energia all’Università della California a Berkeley e coordinatore dei rapporti dell’Ipcc.
«Queste popolazioni sono le più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico a causa del razzismo, del sessismo e della ricerca del profitto rispetto a quel che dovrebbe essere la protezione delle persone in generale», sottolinea Bineshi Albert, co-direttore esecutivo della Climate Justice Alliance. «A causa della continua ricerca di profitti da parte del nostro attuale sistema economico e in particolare dall'industria dei combustibili fossili, ci sono intere aree del pianeta che sono ritenuti “zone di sacrificio”, ha detto e guarda caso vi è sempre una relazione con le classi sopra citate.
Per fortuna la maggiore vulnerabilità ai cambiamenti climatici sperimentata da queste popolazioni e chi è responsabile di aver causato queste disuguaglianze, sono diventati argomenti di incontri crescenti a livello internazionale con lo scopo di aiutare popolazioni e paesi vulnerabili a diventare meno esposti alle problematiche dei mutamenti climatici. «Le risorse economiche», sottolinea Albert, «dovrebbero andare per prima cosa direttamente a coloro che sono in prima linea nella crisi climatica per sviluppare e implementare le proprie soluzioni guidate dalla comunità. Altrimenti le ricadute potrebbero essere catastrofiche per l’umanità intera».
Le sostanze più dannose
Un’ultima domanda: «Perché alcune sostanze bloccano il calore più di altre?». I gas serra, come anidride carbonica, metano e vapore acqueo, hanno molecole che in base alla loro geometria, rotazione e vibrazione bloccano la specifica lunghezza d’onda infrarossa della luce che dalla superficie terrestre cerca di sfuggire nello spazio. Questa lunghezza d’onda è diversa da quelle che compongono la luce che arriva dal Sole la quale va a riscaldare tutta la superficie terrestre.
Ci si chiederà come è possibile che piccole variazioni di anidride carbonica o metano possano avere importanti ricadute nel trattenere il calore in un’atmosfera immensa. Senza entrare nello specifico della chimica e della fisica di queste sostanze basti un esempio per capire come ciò sia possibile: si prenda una bacinella e la si riempia con uno o due litri d’acqua, poi si metta un paio di gocce d’inchiostro nero, diciamo lo 0,4 per cento del liquido totale. Pochissimo, eppure l’acqua diventa tutta nera. Passare nella nostra atmosfera da 280 parti per milione di anidride carbonica prima dell’era industriale ad oltre 420 parti per milioni di oggi ha avuto un effetto simile sul calore trattenuto.
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