La giunta Todde ha presentato una proposta di legge che vieta eolico e solare in tutta l’isola. Alla fine ha vinto la piazza. Ma così si contribuisce a indebolire l’opposizione al governo Meloni
Stop ai nuovi impianti eolici e solari, persino a quelli invisibili in mare. E al centro della strategia energetica la metanizzazione e il rinvio della chiusura delle centrali a carbone.
Secondo la Todde questo era l’unico modo per fermare una protesta sempre più organizzata, radicali, che ha raccolto migliaia di firme con dietro gli interessi delle fossili.
Ma questa proposta non andrà lontano perchè va contro gli impegni europei sul clima. Ora va aperto il confronto su come creare opportunità e lavoro in Sardegna, ridurre i costi dell’energia attraverso le fonti rinnovabili.
A questo punto la Sardegna è diventata un grosso problema per Giuseppe Conte ed Elly Schlein. La giunta guidata da Alessandra Todde dei Cinque stelle, dopo la contestata moratoria di luglio sui progetti di fonti rinnovabili, ha approvato un disegno di legge che in sostanza vieta eolico e solare in tutta l’isola e limita persino gli interventi sugli impianti esistenti.
L’assessore all’Industria, Emanuele Cani del Pd, ha annunciato che oltre il 99 per cento del territorio sardo sarà vincolato. Non solo, si vuole fermare tutti gli impianti in mare, anche se non visibili, perché tutta la costa sarà dichiarata incompatibile per l’allaccio dei cavi.
Per completare il quadro delle scelte energetiche, occorre aggiungere che la giunta sta facendo con il governo un fortissimo pressing per la metanizzazione dell’isola ed è ancora appeso, per la forte opposizione dei comitati, il via libera alla costruzione del nuovo elettrodotto Tyrrhenian Link di Terna che dovrebbe consentire di chiudere le centrali a carbone.
Fermare la protesta
In Europa, i gruppi politici che condividono strategie di questo tipo sul Green deal sono l’estrema destra francese di Marine Le Pen e in Germania i neonazisti dell’AfD. Perfino il moderatissimo ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha commentato criticando l’approccio ideologico e sottolineando che è l’unica regione a non avere una strategia per uscire dal carbone e dal gas. Viene da chiedersi con quale coraggio da ora in avanti Pd e Cinque stelle potranno criticare quanto, di poco, il governo sta facendo per spingere le fonti rinnovabili.
Ma come è stato possibile in pochi mesi passare dalla rivendicazione di una moratoria indispensabile a organizzare un lavoro serio a un divieto così radicale? Secondo Todde questo era l’unico modo per fermare la protesta contro le rinnovabili che si è andata organizzando in forme sempre più radicali, con attentati e minacce nei confronti di imprese e operai, raccogliendo un crescente consenso con oltre 200mila firme per fermare qualsiasi progetto in Sardegna.
In sostanza si è firmata la resa della politica di fronte a una piazza organizzata, che ha puntato sull’orgoglio sardo e sulle paure, paventando un’invasione di impianti che distruggerà l’isola con una colonizzazione in atto da parte di società del nord Italia e straniere. In poche settimane si è passati dalla promessa di un lavoro approfondito per identificare le «aree non idonee in maniera puntuale, motivata e documentata» per affrontare problemi veri, di un caos di regole che ha generato preoccupazioni legittime, a un disegno di legge con sei allegati con elenchi sterminati di aree non idonee e criteri per impedire l’installazione di impianti.
Fermi tutti
Invece di proporre un modello sardo di transizione energetica che creasse valore per il territorio, portando lavoro e opportunità in una delle regioni d’Europa con i più alti tassi di disoccupazione – quella giovanile è al 46,8 per cento – e con numeri record di abbandono di terreni agricoli, si sono chiuse tutte le porte.
E il paradosso è che nessun territorio in Italia ha le potenzialità della Sardegna per trarre vantaggio dalla transizione energetica. Come del resto è già avvenuto in tante storie di successo di imprese e comuni dove il solare agrivoltaico e le pale eoliche hanno creato opportunità per i sardi, non per i milanesi. Ma meglio non parlarne, altrimenti si fa arrabbiare la piazza.
Ma da chi è fatta questa protesta? Di sicuro da tante persone in buona fede spaventate da quello che leggono e sentono. La grancassa del quotidiano Unione Sarda ha funzionato e si sono saldate le frustrazioni di sindaci e sindacati, traditi da decenni di investimenti mancati, e gli interessi di chi oggi guadagna molto bene da un sistema che viaggia ancora al 70 per cento con energia elettrica prodotta da fonti fossili.
Eppure, era stata proprio Todde, ad agosto, a denunciare la campagna di disinformazione del giornale sardo e «il terrorismo piscologico sulla pelle dei sardi, che diventano inconsapevolmente strumenti di chi persegue interessi propri che non coincidono certo con quelli della Sardegna».
Piccolo è bello?
Per questo ora è incomprensibile che si assecondi chi vuole che l’isola sia esclusa dalla transizione energetica, né si può accettare la retorica del piccolo è bello su cui ora punta la giunta. Tanti impiantini solari sui tetti, qualche piccola pala eolica nelle aree industriali non consentiranno mai di raggiungere i 6,2 GW che la Sardegna deve installare come contributo agli obiettivi dell’Italia sul clima.
Basteranno due calcoli a Bruxelles e a Roma per verificare che quanto previsto è risibile e che si è solo avuto paura di una minoranza molto ben organizzata. Questa vicenda non finisce qui. Andrà avanti a lungo, perché la Sardegna continua a far parte dell’Italia, per cui dovrà presto sedersi a un tavolo e confrontarsi, spiegare le ragioni di scelte ortogonali rispetto agli obiettivi climatici fissati da tutto il resto del continente.
Orizzonte autonomia
Dobbiamo augurarci che Todde esca dall’angolo in cui è finita e torni a ragionare, che si facciano sentire i leader nazionali e aprano un confronto con i propri gruppi nel parlamentino sardo. Soprattutto, per evitare di creare un caso politico complicatissimo da gestire, soprattutto in vista dei prossimi referendum sull’autonomia differenziata.
Da domani con quale coraggio si potrà accusare i governatori del Veneto e della Lombardia di volere ledere il principio di responsabilità e solidarietà tra le regioni di fronte a un caso del genere. Quello che serve è un confronto sul merito delle questioni.
È possibile realizzare impianti fatti bene? In che modo si possono coinvolgere le imprese sarde e creare lavoro nella transizione green? Quali politiche regionali possono fare in modo che le rinnovabili creino opportunità per un rilancio industriale e portuale, che aiutino gli agricoltori e i cittadini a ridurre le bollette?
Se si alza lo sguardo oltre le manifestazioni dei comitati, si scopre che dal prossimo anno cambierà il meccanismo di formazione del prezzo dell’energia elettrica, che andrà a premiare i territori con la maggiore produzione da rinnovabili, con bollette più basse. E proprio sul costo dell’energia sfidare i campioni del metano e del carbone per chiedere loro se hanno promesse da fare in merito.
Intanto, in quelle aree interne dalla Gallura a Capoterra che in nessun modo devono essere sfiorate dalle rinnovabili, è in corso una devastazione spaventosa delle foreste di querce per una siccità che aggrava le infestazioni parassitarie. Tutta colpa di quei cambiamenti climatici che non si vorrebbero affrontare.
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