- La Cop27 doveva essere la conferenza sui cambiamenti climatici con la società civile silenziata dallo stato di polizia egiziano, invece si sta rivelando un momento trasformativo per il movimento per il clima, che ha abbracciato la causa dei prigionieri politici di Al Sisi.
- Dopo il passo di lato di Greta Thunberg, e al culmine di un anno di radicalizzazione e atti simbolici, sta tornando la politica e stanno emergendo nuovi leader di un movimento sempre meno bianco ed europeo.
- La nazione dei giovani ora chiede un posto concreto e non solo simbolico al tavolo dei negoziati contro la crisi climatica.
«Siete tutto quello che mio fratello ha sempre sognato, il motivo per cui ha passato quasi un decennio in carcere: un movimento che lotti davvero per tutta l'umanità, senza distinzioni. Avete dimostrato di credere davvero che non esiste giustizia climatica senza rispetto per i diritti umani».
Le parole di Sanaa Seif, sorella del dissidente imprigionato Alaa Abdel Fattah, sono per metà riconoscenza nei confronti dell'abbraccio collettivo ricevuto nella manifestazione per il clima sopra il suolo Onu nello spazio sicuro di Cop27 e per metà un'investitura, la costruzione di una piattaforma comune nella quale il clima diventa chiavistello per parlare di libertà di espressione, diritti civili e diritti umani, giustizia sociale, economica e razziale.
Ambiente e diritti
Il corteo si è snodato sabato nel Tonino Lamborghini Convention Center, sorvegliato dalla polizia dell'Onu e non dagli apparati egiziani: questo era l'unico compromesso possibile per evitare centinaia di arresti.
Doveva essere un momento di pura testimonianza ambientalista: difficile protestare dentro il palazzo e protetti dal palazzo ma anche contro il palazzo stesso. Invece è diventato molto di più, proprio perché è stata la manifestazione per la liberazione di Alaa Abdel Fattah e degli altri detenuti politici d'Egitto.
È stato un atto di coraggio - il paese ospite sta trovando il modo di sorvegliare e intimidire le persone anche dentro Cop27, nonostante le regole di ingaggio Onu lo proibiscano - ma anche di lungimiranza.
La saldatura tra i rappresentanti dei 60mila detenuti e quelli della società civile ambientalista arrivati in Egitto per la conferenza sui cambiamenti climatici è l'apertura di una nuova stagione.
Lo slogan «Liberateli tutti» scandito durante il corteo, e in contemporanea in centinaia di piazze in tutto il mondo, è la vera notizia politica arrivata da un evento che su ogni altro fronte sta facendo fatica a tenere il passo delle sue ambizioni e promesse.
La trasformazione
La Cop27 in Egitto doveva essere una conferenza sui cambiamenti climatici tetra e senza voci ambientaliste, privata dei fondamentali ingredienti di pressione e conflitto osservati nel 2021 per le strade di Glasgow alla Cop26.
L'Onu aveva annunciato ufficialmente l'anno scorso la scelta di affidare il suo vertice annuale a un regime repressivo e allergico al dissenso, negli spazi di una città turistica, sorvegliata e costosa.
Erano condizioni impossibili per far arrivare migliaia di attivisti in trasferta, come successo in Scozia. Invece, ora che siamo arrivati allo scollinamento di metà negoziato (si chiude venerdì 18 novembre, con probabile sforamento alla mattina del sabato per le difficoltà di trovare un testo congiunto tra le parti, cioè i paesi), questa Cop27 si sta rivelando un momento trasformativo, un salto di maturità, un'evoluzione politica giunta alla fine di un anno in cui è successo di tutto, fuori e dentro le organizzazioni che si battono per un clima stabile.
Tra Glasgow e Sharm El Sheikh, le sedi della precedente e dell'attuale Cop, è esplosa la biodiversità dei nuovi movimenti, con una serie di risposte strategiche e tattiche al fatto che il clima è di nuovo calato nella lista delle priorità globali, effetto di tre anni di pandemia e guerra.
In Europa c'è stato il salto dalla disobbedienza civile alla resistenza civile: abbiamo visto il blocco dei terminal petroliferi, quello delle autostrade, quello degli aeroporti, c'è la lunga battaglia delle zuppe e dei musei.
Sono azioni anonime e liquide, una guerriglia emotiva combattuta sul terreno dell'attenzione e delle priorità, perché quello serviva tenere vivo il tema nel dibattito pubblico.
Ma ora a Sharm El Sheikh sta tornando la politica, quella pratica composta di contenuti, prospettive e leader.
Uno vale tutti
Nella guerriglia emotiva dei musei e delle strade condotta da Just Stop Oil e Ultima Generazione il gesto conta più della persona, l'estetica del lancio di liquidi alimentari contro le teche dei capolavori della storia dell'arte e anche quella degli attivisti seduti sull'asfalto di fronte agli automobilisti è quella di una moltitudine anonima in rivolta. Uno vale tutti.
È il punto di arrivo di un movimento senza gerarchie o catene di comando chiare.
Nell'estate dei primi scioperi in Svezia, Greta Thunberg aveva quindici anni ed è sempre stata una leader riluttante.
Oggi ne ha diciannove e si sta mettendo ancora più a lato dell'inquadratura, ha raccolto le voci dell'ambientalismo globale nel suo The Climate Book, ha deciso di essere un megafono più che una voce, un amplificatore da mettere a disposizione prima della scienza e oggi delle comunità più esposte e in pericolo durante l'emergenza climatica, quelli che il movimento chiama Mapa (most affected people and areas).
Sono più gli interlocutori esterni (stampa, politici, cittadini) che gli attivisti a sentire il bisogno di leader riconoscibili, ma per confrontarsi con l'esterno questa è una fase di passaggio inevitabile.
Se esce Greta Thunberg, deve entrare qualcun altro e la Cop27 ne sta costruendo e proponendo diversi.
I dimenticati
Nel suo libro The New Climate Activism, Jen Iris Allan raccontava come certi temi riuscissero più facilmente a farsi strada nella piattaforma del clima, mentre altri, come i diritti umani o quello alla salute, facessero ancora fatica a trovare riconoscimento.
L'ultimo anno e i primi giorni di Cop27 hanno mostrato come la piattaforma stia diventando invece sempre più larga, che il lungo lavoro per mettere in discussione la base bianca, borghese, urbana ed europea del movimento sta portando i suoi frutti.
La connessione politica con la battaglia per liberare Alaa Abdel Fattah e gli altri prigionieri politici ne è un esempio, come lo è la scelta di adottare il complicato tema dell'istituzione di un fondo per risarcire i danni e le perdite provocati dai cambiati climatici.
È una strada impopolare nelle società europea e nordamericana, afflitte da inflazione e crisi energetica, ma decisiva per quelle del sud globale.
È la prova di uno slittamento: questa stagione politica sarà anche partita a Londra e Stoccolma, ma oggi la sua geografia umana porta a Kampala, New Delhi, Manila, Kharkiv. Ed è da qui che vengono i nuovi leader del movimento.
C'è l'ugandese Vanessa Nakate, certo, esplosa mediaticamente tra le proteste a Davos e lo Youth for Climate di Milano del 2021, ma anche la filippina Mitzi Jonelle Tan, leader della battaglia per i risarcimenti climatici, con una capacità come pochi di cogliere temi complessi e per certi versi ostici (quella del fondo danni e perdite è tutta una storia di ristrutturazione della finanza novecentesca, tassi d'interesse, Bretton Woods e Fondo monetario internazionale) e tradurli nella carne viva di storie come quella del suo paese, uno dei più vulnerabili al mondo: «La società civile del sud globale sta urlando per farsi ascoltare, sta urlando fortissimo qui a COP27, perché abbiamo paura e non vogliamo più averne».
Disha Ravi
Un altro volto emergente di questa stagione non europea di Fridays for Future è quello dell'indiana Disha Ravi.
Nel gennaio del 2021 Ravi era stata una delle prime esponenti Fridays a finire nei guai con la legge, era stata arrestata per il suo sostegno ai lunghissimi scioperi dei contadini contro le liberalizzazioni, che avevano messo in ginocchio il governo di Narendra Modi.
«All'inizio non mi sentivo particolarmente a casa in questo movimento, ma lo vedo il cammino che sta facendo per mettere in discussione le sue origini e i suoi punti di vista, includendo persone non bianche e non del nord globale. È un cammino lungo, ma finalmente ora c'è molta più rappresentazione per le persone che vivono sul fronte vivo ed esposto della crisi climatica».
Sta cambiando anche la natura dell'attivismo, secondo Ravi, in una visione più ampia, inclusiva e diluita della politicizzazione dell'ecologia: «L'attivismo ha tante forme diverse. I giornalisti che raccontano le storie sul clima sono attivisti.
La musica può essere attivismo, gli insegnanti possono essere attivisti, gli educatori possono essere attivisti, gli avvocati possono essere attivisti, fare il proprio lavoro con il clima in mente è già fare attivismo».
Si sta ricomponendo anche un'altra frattura, quella tra i giovani «istituzionali» che partecipano ai tavoli negoziali come osservatori e quelli che vanno in strada a contestare.
«È finita la fase in cui il nostro compito era soltanto quello di urlare slogan, vogliamo un posto al tavolo, vogliamo processi politici che ci includano in modo reale, e non simbolico».
È una delle richieste più strutturate del movimento: portare la nazione dei giovani all'interno del processo multilaterale creato dalle Nazioni Unite, come se fossero uno dei paesi coinvolti nel negoziati.
È un percorso già in corso, è andato avanti per tappe progressive, c'è stato l'evento creatura dell'Italia Youth for Climate di Milano, esperimento non del tutto riuscito ma promettente, ora i giovani hanno per la prima volta un’inviata per il clima, omologa di quelli di Stati Uniti o Cina: si chiama Omnia El Omrani.
E ci sono figure come l'italiana Aurora Audino, consulente ambientale a Bruxelles, volontaria e observer ufficiale dei tavoli negoziali di Cop27 per Italian Climate Network: «Abbiamo incontrato il segretario generale dell'Onu Guterres e si è impegnato a rendere la partecipazione dei giovani strutturata ed efficace, per fare in modo che le nostre idee possano essere non solo ascoltate, ma anche messe in pratica. Non dobbiamo essere solo osservatori, ma diventare una delle parti in questa conferenza delle parti. Ci vuole un meccanismo di monitoraggio e verifica per l'esito delle nostre proposte, per capire quanto il nostro lavoro e impegno possa diventare qualcosa di concreto. E anche le delegazioni dovrebbero avere al proprio interno delle componenti di giovani a tutte le Cop».
La nazione giovane e l’Ucraina
La nazione dei giovani non vuole più un posto solo simbolico al tavolo dei grandi, proprio perché si sente in grado di affrontare problemi grandi.
Forse nessuna storia misura questa ambizione quanto quella di Valeriia Bondarieva, un'attivista ucraina di Fridays for Future Kharkiv.
Valeriia è arrivata a Sharm El Sheikh con un viaggio dall'Ucraina in treno, passando attraverso sei paesi e facendo solo l'ultimo inevitabile tratto dalla Turchia all'Egitto in aereo.
Alla COP27 questa studentessa di un paese in guerra sta giocando due partite: la prima è quella della protesta, ha organizzato e partecipato ai cortei di questi giorni. La seconda è quella sulla visione di quello che può essere l'Ucraina dopo la fine della guerra.
«Sono qui a nome della società civile e delle organizzazioni dell'Ucraina che si stanno battendo per una ricostruzione sostenibile del nostro paese: quasi metà dell'infrastruttura elettrica è in questo momento distrutta, abbiamo il dovere e la possibilità di immaginare l'Ucraina oltre i combustibili fossili.
Possiamo diventare un modello, la comunità globale e la società civile ucraina dovranno vigilare perché l'enorme flusso di risorse che ci sarà nella ricostruzione vada in questa direzione».
Quando è scoppiata la guerra, Bondarieva studiava a Kharkiv, è stata sfollata, è tornata nella casa dei suoi genitori, lontana dal fronte, nelle campagne dell'Ucraina centrale.
«Ho vissuto mesi in cui tutto aveva perso significato, niente aveva più importanza, l'attivismo, il futuro, gli studi. Poi ho iniziato a vedere di nuovo le stesse possibilità di futuro che mi avevano fatto entrare in Fridays for Future nel 2019».
Appena ha potuto, Valeriia ha iniziato a girare l'Ucraina con i suoi striscioni, le sue idee e i suoi compagni, è tornata a Kharkiv, ha trovato l'università distrutta e ha manifestato anche lì, nonostante le bombe, sempre per portare il messaggio che c'è nel nome della sua organizzazione: il futuro.
«La visione che portiamo qui è che l'Ucraina può davvero essere un punto di svolta nel rapporto dell'Europa con i combustibili fossili, anzi, è necessario che sia così, è l’ultima chiamata. L'Europa nel ricostruire l'Ucraina potrà ricostruire anche se stessa. È paradossale, ma il padiglione ucraino è qui per portare speranza».
Come le sua collega Aurora Audino, anche per Valeriia un passaggio necessario è includere la nazione dei giovani all'interno del tavolo negoziale.
La svolta
È questa la svolta di cui la Cop27 di Sharm El Sheikh è sia una rappresentazione che una accelerazione: l'ambizione e la portata della protesta si stanno allargando, il clima sta diventando una federazioni dei temi e dei fallimenti di mercato della politica istituzionale, come dimostra la storia del supporto a Fattah e agli altri prigionieri egiziani, per i quali hanno smosso più i giovani della società civile che i pochi governi che hanno chiesto la loro liberazione.
La seconda è che in virtù di questa ambizione, la protesta da sola non basterà più. Ci sarà ancora una fanteria che continuerà a bloccare strade per vigilare sull'attenzione della società, ma c'è un'avanguardia dello stesso movimento che ha tutta l'intenzione di dimostrare che quell'attenzione al clima è in grado di spenderla lì dove le cose si possono davvero cambiare. Il processo multilaterale delle Cop è ancora insostituibile, ma perde credibilità ogni anno che passa.
Includere la nazione dei giovani e tutto il suo potenziale è una delle sue migliori opportunità per tornare rilevante e utile come lo è stato nel 2015, quando riuscì a convincere tutti i paesi della Terra a siglare l'accordo di Parigi, il trattato internazionale più importante di questo secolo.
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