L’uragano Beryl, che ha colpito diverse isole dei Caraibi orientali, ha allo stesso tempo fatto la storia del clima e offerto presagi preoccupanti sul suo futuro. Non era mai successo che nell’oceano Atlantico si formasse così presto, già a fine giugno, un uragano di categoria 5, la più pericolosa sulla scala Saffir-Simpson.

Beryl ha fatto il salto da tempesta tropicale a uragano della massima potenza in sole ventiquattro ore. La rapidità di formazione di Beryl è una cosa riscontrata solo sei volte in passato nella storia recente del clima, e mai così presto nell’anno.

«Beryl ha avuto una potenza tipica del cuore della stagione degli uragani, non del suo inizio. La sua rapida accelerazione è dovuta alle temperature elevate del mare», ha spiegato Brian Tang, docente di scienze atmosferiche dell’Università di New York.

La stagione degli uragani

Rischia di essere l’anticipazione di una stagione degli uragani atlantici particolarmente distruttiva, per la combinazione di riscaldamento delle acque oceaniche, alte temperature e del passaggio dal fenomeno ciclico di El Niño a La Niña, il suo opposto, che crea condizioni favorevoli per gli uragani.

Quello che ora si chiedono gli scienziati è: il calore oceanico si accumula lentamente, e raggiunge i suoi picchi alla fine dell’estate. Se oggi siamo in queste condizioni, come sarà il resto della stagione?

Secondo le previsioni del National Hurricane Center degli Stati Uniti possiamo aspettarci quest’anno tra 17 e 25 tempeste, da 8 a 13 uragani, da 4 a 7 uragani molto forti, tra qui e la fine di novembre. Secondo gli studi di scienza dell’attribuzione di Friederike Otto dell’Imperial College di Londra, la massima esperta in questo tipo di analisi, il riscaldamento globale non ha aumentato il numero assoluto degli uragani ogni anno, ma ha fatto crescere il numero (e ha anticipato l’arrivo) di quelli più potenti, come Beryl, e ha ampliato il loro raggio di azione.

Un altro effetto già studiato del riscaldamento globale è che gli uragani si muovono più lenti che in passato, questo aumenta il loro potenziale di distruzione, perché ci mettono di più a passare, insistendo più a lungo sugli stessi luoghi.

Le colpe dell’occidente

Il conteggio delle vittime di Beryl è stato di dieci persone morte durante il suo passaggio, gli effetti più distruttivi sono stati sulla Giamaica, Barbados, St. Lucia, ma soprattutto Grenada e sull’arcipelago di St Vincent e Grenadines.

Il primo ministro di Grenada, Dickon Mitchell, ha detto: «Qui è quasi come vivere l’armageddon». Sull’isola di Carriacou è stato danneggiato quasi ogni edificio. Ralph Gonsalves, primo ministro di St Vincent e Grenadines, dove ci sono stati i danni maggiori, ha tirato in ballo direttamente le responsabilità dell’occidente, dell’Europa e degli Stati Uniti e il fallimento delle conferenze sul clima, dopo la devastazione sulle sue isole. Il peggio dei danni è stato su Union Island, dove il 90 per cento delle abitazioni è stato danneggiato o distrutto. Nella capitale, St.George, è volato via il tetto della cattedrale.

I due piccoli arcipelaghi hanno fatto da schermo naturale per Beryl prima che toccasse terra, ormai indebolito, in Giamaica e Barbados, che sono più grandi, popolate ed esposte, fino ad arrivare poi al Messico.

La questione dei fondi

L’intensificazione della stagione degli uragani riporterà d’attualità un dibattito che parte proprio dai Caraibi, dall’isola di Barbados, con la Bridgetown Initiative: i paesi vulnerabili, e in particolare le nazioni insulari, non sono finanziariamente in grado di ricostruire dopo eventi così distruttivi, che andranno solo peggiorando. Del fondo globale per il clima da 100 miliardi di dollari l’anno i paesi dei Caraibi ottengono solo 1,5 miliardi.

Rinegoziare queste quote, e anche le condizioni con cui vengono fatti prestiti e donazioni climatiche, sarà il tema centrale della Cop29 di Baku, in Azerbaigian. I danni di Beryl sono un caso da manuale di come funzionerebbe a regime un fondo danni e perdite, che per ora esiste solo formalmente, con le poche centinaia di milioni messi sul piatto da Italia, Francia e Germania a Cop28.

Il piano di Barbados, che Beryl non fa che rilanciare, è più ambizioso: l’unico modo per rafforzare quelle isole contro stagioni degli uragani come quella in arrivo è riformare Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale, abbassare il costi dei prestiti, allentare la morsa del debito, creare nuove risorse tassando il mondo oil and gas.

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