Non solo le acque. Anche gli alimenti in Veneto nella zona rossa sono contaminati da Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche prodotte dalla fallita Miteni in provincia di Vicenza e impiegate in vari cicli produttivi, dalla chimica alla concia. Si tratta di interferenti endocrini in grado di alterare il metabolismo e di creare scompensi in diversi apparati, anche in persone giovani e sane.

Lo denuncia Greenpeace, che per ottenere i dati sul rischio da esposizione alimentare ha dovuto ingaggiare una battaglia legale con la Regione Veneto, che in prima istanza aveva negato all’associazione ambientalista l’accesso agli atti.

Una una sentenza del Tar lo scorso 8 aprile ha ordinato alla regione presieduta da Luca Zaia di fornire quanto richiesto: «I dati che ci hanno inviato sono risalenti al 2016 e al 2017 - spiega Giuseppe Ungherese di Greenpeace - e a quanto pare da allora non sono state effettuate ulteriori analisi, nonostante numerose matrici siano risultate fortemente contaminate».

Gli inquinanti trovati negli alimenti non sono soltanto i «vecchi» Pfas a catena lunga (Pfoa e Pfos), ormai fuori produzione, ma anche quelli a catena corta, considerati meno persistenti nell’ambiente e ancora impiegati in molte lavorazioni. Recenti studi tuttavia hanno mostrato la pericolosità anche di questi ultimi composti. Tanto che l’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, nel luglio 2020 ha ridotto di oltre quattro volte il limite settimanale tollerabile di assunzione di Pfas, introducendo nel calcolo anche i composti a catena corta.

«Nonostante la revisione al ribasso dell’autorità europea non è stata eseguita alcuna nuova valutazione o azione di tutela della popolazione - continua Ungherese - o delle filiere agroalimentari in Veneto». Oggi secondo il parere dell’Efsa il valore massimo tollerabile è di 4,4 ng per chilogrammo di peso corporeo per la somma dei composti Pfoa, Pfos, Pfna e PfhxS. Ma molti alimenti come le albicocche, gli asparagi, l’uva da vino e le uova hanno mostrato una contaminazione talmente elevata da rischiare di far superare quel limite.

L’assunzione

«Ad esempio un adulto di 60 chili può assumere al massimo 264 ng/kg di Pfas ogni settimana - spiega Ungherese - ma le albicocche sono risultate contaminate fino a 700 ng/kg: consumando mezzo chilo in una settimana di questi frutti supererebbe il valore massimo tollerabile». Il calcolo proposto da Greenpeace è meramente indicativo, ma apre ad alcuni interrogativi: il consumo combinato di acqua e di vari cibi provenienti dalle zone contaminate quanto rapidamente può condurre oltre i limiti di sicurezza europei?

E quanto più facilmente rischia di superare la soglia accettabile un bambino con un peso corporeo inferiore ai 15 chili? Insieme a Greenpeace anche il comitato Mamme no Pfas chiede maggiori tutele per la salute pubblica: «Non si possono considerare gli stessi livelli di rischio per persone con una esposizione di fondo e quelle con elevati livelli accertati nel sangue e probabilmente nei tessuti». Inoltre non è chiaro se il problema riguardi solo l’area rossa, che comprende una buona parte delle province di Verona, Vicenza e Padova, o sia esteso anche oltre la zona di maggiore contaminazione del Veneto.

La preoccupazione non è di poco conto dato che il problema potrebbe varcare i confini regionali, sempre secondo Greenpeace: «Mancano indagini sui prodotti che potrebbero essere riconducibili a filiere di grandi aziende alimentari presenti sul mercato nazionale». La regione Veneto sta programmando nuovi campionamenti.

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