Alcune settimane or sono, agricoltori del Saskatchewan si sono imbattuti in frammenti di astronavi mentre preparavano i loro campi per la semina. Sembra l’inizio di un film di fantascienza, ma è successo davvero, e ciò lancia un potente avvertimento: è solo questione di tempo prima che qualcuno venga gravemente ferito, se non ucciso, dalla caduta di detriti spaziali.

La missione astronautica privata Axiom Space (Ax-3) si era conclusa senza problemi il 9 febbraio, quando la navicella “SpaceX Crew Dragon” è ammarata al largo della costa della Florida. Diverse settimane dopo, il modulo di servizio della Crew Dragon è rientrato nell’atmosfera da sopra il Canada, dopo essere stato abbandonato in orbita prima del ritorno della capsula.

I pericoli

La Federal Aviation Administration, incaricata di approvare i lanci di voli spaziali commerciali negli Stati Uniti, ha sempre affermato che i moduli di servizio solitamente «bruciano» durante il rientro, e dunque non vi è alcun pericolo per l’uomo. Ciò evidentemente non è sempre vero. Frammenti simili a quelli trovati a Saskatchewan, probabilmente provenienti dal modulo di servizio di una diversa missione Crew Dragon, erano stati trovati in North Carolina a maggio, incluso un pezzo, per fortuna piccolo, che è caduto sul tetto di una casa.

Sono stati trovati anche frammenti del modulo di servizio della prima missione operativa con equipaggio Dragon (Crew-1), con pezzi sparsi sui campi nel Nuovo Galles del Sud, in Australia. Sta diventando evidente che detriti estremamente pericolosi cadono a terra ogni volta che un modulo di servizio della Crew Dragon rientra dallo spazio, con pezzi che vengono trovati anche su aree accessibili all’uomo. E non si tratta di pezzi piccoli, alcuni sono grandi quanto tavoli da ping pong e pesano più di 50 chilogrammi.

Potrebbero facilmente causare la morte di una persona o causare danni importanti a cose o edifici. I moduli di servizio della Crew Dragon sono solo una parte di un problema che è molto più grande. Le organizzazioni private o governative americane, russe o cinesi coinvolte nei lanci spaziali hanno spesso consentito al fatto che oggetti come razzi e satelliti inutilizzati rientrino dall’orbita terrestre in modo incontrollato, con la falsa premessa che sarebbe bruciati completamente o che sarebbero caduti in oceano, lontani da ogni luogo abitato.

Un esempio sta nel fatto che la Nasa abbia permesso che un vecchio pallet di batterie venisse rilasciato dalla Stazione spaziale internazionale, sapendo che sarebbe rientrato in modo incontrollato.

La Nasa aveva affermato che sarebbe dovuto bruciare completamente, il che è stato smentito a marzo quando un frammento, potenzialmente letale, si è schiantato sul tetto di una casa della Florida, per poi trafiggerlo, così come il soffitto, e terminare la corsa sul pavimento al primo piano. Finora non si sa se qualcuno sia rimasto ferito dalla caduta di detriti spaziali (sembrerebbe di no), ma è solo questione di fortuna: in tutto il mondo, infatti, si trovano sempre più pezzi appartenenti a mezzi astronautici in zone abitate o nelle loro vicinanze.

La Convenzione

La Convenzione sulla responsabilità dei voli spaziali del 1972 rende i paesi del nostro mondo responsabili per i danni causati da loro oggetti spaziali che cadono sulla superficie della Terra o che colpiscono aerei in volo. E il Trattato sullo spazio extra-atmosferico del 1967 rende i paesi responsabili per tutti i loro attori spaziali, comprese le aziende private.

Tuttavia, la Liability Convention è un accordo tra paesi che rende meno dirette le interazioni tra cittadini privati, come gli agricoltori del Saskatchewan, e potenti compagnie spaziali, come SpaceX. In assenza di un’azione governativa, gli individui devono ricorrere a cause legali, notoriamente difficili da portare avanti. Per quanto riguarda il modulo di servizio della Crew Dragon sparso per il Saskatchewan, a giugno, SpaceX ha inviato due dipendenti su un camioncino U-Haul noleggiato per raccogliere i pezzi, pagando, a quanto si dice, gli agricoltori per avere i frammenti.

I rientri incontrollati sono reliquie dei primi voli spaziali, ma con lanci di razzi quasi quotidiani, alimentati in parte dal turismo spaziale, dalle megacostellazioni e dai grandi satelliti in orbita terrestre bassa, questi rientri incontrollati non possono più continuare.

Le stime dicono che la probabilità annuale di una vittima da detrito spaziale abbia già qualche punto percentuale e la situazione peggiorerà. Un’alternativa a tutto ciò è quella di utilizzare rientri controllati attraverso una combinazione di pianificazione della missione, restrizioni sul numero di rientri e motori riaccendibili; tecnologie e pratiche che esistono già, anche se a costi aggiuntivi.

Proprio negli ultimi giorni SpaceX ha fatto sapere che modificherà il rientro delle sue Dragon, facendole ammarare nell’oceano Pacifico, anziché nell’oceano Atlantico. Questo impedirà a oggetti della navicella di finire su aree abitate dall’uomo.

Per gli oggetti che non possono essere controllati, comunque, si dovranno progettare sistemi certi e sicuri che li facciano bruciare completamente nell’atmosfera. Ma questa pratica sta già influenzando la chimica dell’alta atmosfera, perché può avere potenziali implicazioni per il clima e problematiche sull’ozono.

C’è chi sostiene che quando aziende o organizzazioni governative superano le soglie di inquinamento e di sicurezza per il rientro le licenze dovrebbero essere sospese o revocate finché il problema non venga risolto.

Le dimensioni del Sistema solare

La dimensione del Sistema solare non è così semplice da calcolare come si potrebbe pensare di primo acchito, anche se lo è la definizione, ossia il volume di spazio all’interno del quale l’influenza del Sole supera quella di stelle a noi vicine. Questa influenza deriva da due forze fondamentali della natura: gravità e magnetismo.

Per quel che riguarda la “gravità” va ricordato che ogni oggetto nel Sistema solare subisce un’attrazione gravitazionale da parte del Sole, anche se più si è lontani dalla stella, più debole sarà l’attrazione.

Questo vale finché la gravità del Sole rimane più intensa nello spazio rispetto alla gravità di qualsiasi altra stella: in tal caso il movimento di un qualunque corpo nello spazio sarà soggetto a un’accelerazione che lo attrae verso il Sole.

A questo punto, è utile introdurre un’unità di misura che non siano i chilometri che risulta più comoda per gestire le distanze: l’unità astronomica (UA). Una UA è la distanza tra il Sole e la Terra, che è di circa 150 milioni di chilometri. Tutti i pianeti conosciuti, gli asteroidi e quasi tutte le comete conosciute sono legati gravitazionalmente al Sole e orbitano attorno a esso. Gli oggetti più distanti, che subiscono un’attrazione gravitazionale più debole, impiegano più tempo per completare un’orbita.

La Terra, a una UA dal Sole, ovviamente, impiega un anno per una rivoluzione. Giove, che orbita attorno al Sole a cinque UA, impiega poco meno di 12 anni terrestri. Il lontano Plutone, a circa 40 UA impiega 248 anni, così tanto che non ha nemmeno completato un’orbita attorno al Sole da quando è stato scoperto nel 1930. Plutone, tuttavia, è ben lungi dall’essere ai margini del Sistema solare; ci sono molti altri mondi più lontani.

Gli oggetti più distanti legati gravitazionalmente al Sole sono le comete aperiodiche o a lungo periodo, le quali possono impiegare molte migliaia di anni per completare un’orbita solare. Si ritiene che queste comete provengano dalla Nube di Oort, una nube approssimativamente sferica composta da miliardi di piccoli mondi ghiacciati.

Questi si spostano attraverso le gelide zone più esterne del SIstema solare a distanze fino a 200mila UA o, se si vuole, circa 3 anni luce. Un oggetto della Nube di Oort potrebbe impiegare milioni di anni per orbitare una volta attorno al Sole a distanze così vaste.

Oggetti ancor più lontani dal Sole di questi probabilmente subiscono attrazioni gravitazionali più forti da altre stelle e finiranno per orbitare attorno a queste ultime. Abbiamo sentito parlare di gravità, ma che dire di quell’altra forza: il magnetismo? Oltre a un potente campo gravitazionale, il Sole possiede un campo magnetico molto forte, che ritaglia un volume di spazio chiamato eliosfera, all’interno del quale si trovano tutti i pianeti e l’atmosfera estesa del Sole, chiamata vento solare.

Il vento solare è altamente dinamico e quando interagisce con l’atmosfera di un pianeta come la Terra può generare colorati spettacoli di aurore come quelli che si osservano ai poli. Il vento solare scorre verso l’esterno dal Sole, oltrepassando tutti i pianeti conosciuti, prima di rallentare e diventare subsonico (più lento della velocità del suono) quando raggiunge l’eliopausa. La distanza dall’eliopausa è molto più vicina al Sole rispetto agli estremi della Nube di Oort.

Tuttavia, è comunque enorme. Dopo essere stata lanciata nel 1977, la sonda spaziale della Nasa Voyager 1 ha attraversato l’eliopausa, a una distanza di 121 UA, nel 2012, diventando il primo oggetto costruito dall’uomo a raggiungere lo spazio interstellare a tutti gli effetti. Se la Voyager 1 fosse stata lanciata dai nostri antenati evolutivi qualche milione di anni fa, tuttavia, il viaggio verso l’eliopausa non avrebbe richiesto così tanto tempo.

A volte, l’orbita di una stella attorno al centro della galassia della Via Lattea può trasportarla attraverso regioni insolitamente dense di materiale.

In uno studio recente, gli scienziati hanno dimostrato un’alta probabilità che circa 2-3 milioni di anni fa il Sistema solare abbia attraversato una nube di gas interstellare freddo, che avrebbe potuto comprimere l’eliosfera fino a una dimensione di appena 0,2 UA, che è interamente all’interno dell’orbita di Mercurio, il pianeta più vicino al Sole, e ciò avrebbe esposto direttamente tutti i pianeti all’ambiente dello spazio interstellare.

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