Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo


Dalle indagini svolte dal Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri e dalla Squadra Mobile in merito all'omicidio di Garofalo Pietro e Conigliaro Girolamo, sorsero fondati sospetti sulla presenza di Lallicata Giovanni, a bordo di un'Alfa Giulietta di colore grigio scuro, nelle adiacenze dell'abitazione di Pietro Torretta, luogo in cui venne consumato il delitto.

Tali sospetti furono avvalorati dalle dichiarazioni dei giovani Parisi Giuseppe, Chiovaro Pasquale e Davì Salvatore i quali fornirono del conducente della Giulietta una descrizione corrispondente ai connotati di Lallicata Giovanni e, quindi, identificarono costui attraverso una fotografia sequestrata nella sua abitazione.
La successiva formale ricognizione negativa del Lallicata da parte di Chiavaro Pasquale e di Parisi Giuseppe da ritenersi convincente anzitutto perché eseguite a distanza di diversi mesi dal fatto, essendosi il Lallicata mantenuto latitante, secondariamente per il dubbio legittime che i due giovani siano stati influenzati da quanto in quel periodo venne scritto e diffuso dalla stampa sull'audacia la pericolosità del Lallicata e indotti, perciò, a non compromettersi con una precisa indicazione del mafioso.

D'altro canto é certo che l'Alfa Giulietta, la sera del 19 giugno 1963, non si trovava casualmente in via Lo Monaco Ciaccio, dal momento che era stata poco prima notata dal portiere Aiutino Domenico i quali ne vide scendere gli individui che si recarono in casa di Pietro Torretta.

Le conclusioni della Polizia sui rapporti che univano Giovanni Lallicata e il suo inseparabile amico Giuseppe Galeazzo e Pietro Garofalo e Girolamo Conigliaro sono confermate dalla deposizione di Eduardo La Licata circa l'assiduità di Pietro Garofalo nel popolare rione Ballarò, dove abitava anche Giovanni Lallicata, dalle deposizioni di Corrao Francesco e dalle ammissioni dello stesso imputato.

Bisogna rilevare che Lallicata si rese subito irreperibile, tant'è vero che la mattina del 20 giugno una pattuglia di Carabinieri guidata dal tenente Mario Malausa - che di lì a dieci giorni doveva essere dilaniato dall'esplosione di Villa Sirena - tentò invano di fermarlo nei pressi della sua abitazione.

Per qualche tempo Giovanni Lallicata riuscì a sottrarsi alla cattura, come risulta dalle note informative della Squadra Mobile in data 11 e 20 luglio 1963 e dalle deposizioni del personale operante, dimostrando audacia, scaltrezza e spregiudicatezza non comuni.

I testi indicati a discolpa dal Lallicata che avrebbero dovuto parlare della sua pretesa intensa attività di lavoro quale gestore di una bottega di generi alimentari nel vicolo Madonna alle Case Nuove, hanno invece dichiarato che alla gestione accudivano abitualmente la moglie del Lallicata a nome Zarcone Vincenzina ed il dal padre smentendo così l'assunto dell'imputato Cirrito Rosalia, Macaluso Salvatore, Nicolosi Michele e Grasso Santi).

Per Lallicata deve essere infine ricordato ciò che si é detto a proposito di Alberti Gerlando, in relazione ai suoi rapporti con lo stesso Alberti, con Urrata Ciro e con Procida Salvatore.

Quanto Galeazzo Giuseppe, individuo senza una precisa occupazione ma, nonostante ciò, in grado di concedersi frequenti viaggi in Sicilia, a Roma e a Milano, di regalare al padre cospicue somme di denaro e di mantenere una amante, risultano provati i suoi stretti legami con Giovanni Lallicata, del quale era compagno fedele e indivisibile, attraverso le stentate ammissioni degli imputati, gli accertamenti della Polizia Giudiziaria e l'interrogatorio di Galeazzo Alfredo, che descrive il Lallicata come amico del figlio Giuseppe.


In occasione degli episodi riferiti dalla Squadra Mobile con i citati rapporti del 20 Luglio 1963, Giovanni Lallicata fu sorpreso la prima volta a bordo della Giulietta appartenente al Galeazzo e da costui guidata a la seconda volta su una moto leggera appartenente a Lipari Giovanni, che l'aveva dato in prestito a tal Miglialba Giovanni, che, a sua volta, l'aveva ceduta a Galeazzo Giuseppe.

Lo stesso Miglialba, a conferma della intimità esistente tra Lallicata e Galeazzo Giuseppe, dichiarò che i due erano addirittura cugini,

Per Galeazzo Giuseppe é da aggiungere che egli si allontana da Palermo verso il 29/30 giugno 1963, rientrando lo stesso giorno, a dire dell'imputato, otto giorni dopo, secondo la versione del padre Galeazzo Alfredo.

La partenza dell'imputato da Palermo proprio all'epoca degli attentati dinamitardi del 30 giugno 1963 costituisce una coincidenze troppo strana per essere considerata senz'altro fortuita.

Dubbi infine sulla presenza di Galeazzo Giuseppe, la sera del 19 giugno 1963, nella borgata Uditore. Insieme con Giovanni Lallicata, indipendentemente dall'ipotesi che in quei giorni Giuseppe Galeazzo si sia trovato a Milano.

In proposito é significativo il contegno evasivo dell'imputato in contrasto con le dichiarazioni del padre, tale da far fondatamente supporre, unitamente alla circostanza dell'invio da Milano della somma di £.100.000 al padre, che il motivo di quel viaggio debba spiegarsi con la necessità che Galeazzo aveva di incontrarsi con suoi complici non identificati allo scopo di riscuotere il prezzo di un'azione criminosa compiuta o da compiere.
Galeazzo Alfredo, padre di Galeazzo Giuseppe, contro il quale si procedette in un primo tempo per favoreggiamento personale e poi per associazione per delinquere, ha posto in essere in favore di Giovanni Lallicata, una attività continua e rilevante, tale da far ritenere, a ragione, la sussistenza di un duraturo vincolo associativo criminoso con il figlio e con Lallicata Giovanni .

Va rilevato che, nonostante le sue asserite misere condizioni economiche, egli fu in grado di acquistare, pagandola quasi interamente per contanti un'Alfa Giulietta per affidarla al figlio, nonostante ne conoscesse bene, per sua stessa ammissione, la irregolare condotta di vita.

Quanto ai fratelli Lazzara Gaetano e Salvatore costoro, secondo le indagini della polizia giudiziaria, erano attivi collaboratori di Giovanni Lallicata, loro nipote, e di Giuseppe Galeazzo, come si ricava pure in particolare dalla deposizione della guardia Zanghì si resero irreperibili sin dall'inizio delle indagini, senza una plausibile ragione, dimostrando la loro partecipazione all'associazione mafiosa.

Quando furono tratti in arresto si limitarono a rispondere negativamente a tutte le contestazioni, secondo il costume classico dei mafiosi, anche in merito alle circostanze più ovvie o più banali.

Quanto infine a Magliozzo Tommaso é da rilevare che, secondo il rapporto di denunzia del 31 luglio 1963 e quello suppletivo del 15 luglio 1964, avrebbe accompagnato Conigliaro Girolamo e Garofalo Pietro al tragico appuntamento in casa di Pietro Torretta.

Sul suo conto grava inoltre il sospetto della partecipazione agli attentati dinamitardi del 30 giugno 1963. Senonché, nonostante gli elementi accertati a suo carico e nonostante i suoi pessimi precedenti, vi é un argomento che induce a dubitare della sua responsabilità in ordine al resto di associazione per delinquere.

Risulta dagli accertamenti sanitari compiuti durante la detenzione del Magliozzo che costui é affetto da tempo da una grave forma di tubercolosi polmonare, da ma malattia cioé che indubbiamente doveva costringerlo ad una vita ritirata e tranquilla. In tali condizioni riesce difficile ammettere che egli fosse effettivamente in grado di partecipare attivamente alle spericolate imprese dei suoi amici Lallicata, Galeazzo, Garofalo e Conigliaro.

Per queste considerazioni si ritiene giusto prosciogliere Magliozzo Tommaso dall'imputazione in esame per insufficienza di prove.

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