- A Pasqua, a Roma, alcuni appartenenti alla famiglia Casamonica hanno tagliato il lobo dell’orecchio a un cittadino di 59 anni che passava in una delle strade feudo del clan, via Flavia Demetria. Lo hanno riempito di botte.
- Nonostante arresti, sequestri, abbattimenti e le condanne per mafia, per i Casamonica Roma è ancora roba loro. Un controllo che, in alcune zone, è totale e una impunità che resta caratteristica della famiglia criminale.
- I Casamonica, chi? Quelli dell’aggressione? Quelli della testata? Ma quella mica è mafia, hai mai visto un mafioso dare un cazzotto o una “craniata”? Quelli non sono mafiosi, non sono romani, non sono manco italiani. Non sono. Ecco, semplicemente non sono. Nel sonno della ragione, Roma ha giocato la parte della protagonista: ignorando per anni la nascita, crescita e imposizione delle grandi famiglie criminali nel suo territorio.
A Pasqua, a Roma, un gruppo criminale ha tagliato il lobo dell’orecchio a un cittadino di 59 anni che passava in una delle strade feudo del clan, via Flavia Demetria. Lo hanno riempito di pugni e calci davanti alla moglie e alle due figlie che erano in macchina con lui. Il tutto motivato da una banale incomprensione stradale. Le indagini sono in corso per identificare i responsabili, ma è la vittima a riferire che si sono presentati come Casamonica, in quella strada ci sono le ville del clan.
L’auto che precedeva la vittima si è fermata in strada, la fidanzata del conducente ha citofonato e dalle dimore della famiglia criminale sono usciti i parenti che hanno eseguito il brutale pestaggio. L’arrivo delle forze dell’ordine, allertate dalla moglie della vittima, ha evitato un massacro. Nonostante arresti, sequestri e le condanne per mafia, per i Casamonica Roma è ancora roba loro. Un controllo che, in alcune zone, è totale e una impunità che resta caratteristica della famiglia criminale.
In Italia esiste un posto dove girare in auto richiede il pagamento di un pedaggio, ma non ci sono caselli, dove la droga viene venduta ogni giorno, a ogni ora, a ogni minuto, dove vieni preso a cinghiate mentre chiedi un caffè al bar o compri un pacchetto di sigarette.
In Italia esiste un posto dove mentre vai in scooter vieni fermato e massacrato di botte, dove quando esci di casa conti i minuti prima di rientrarvi, dove quando vendi mobili, lampadari, marmi, devi farti il segno della croce perché se l’acquirente è sbagliato non caverai un euro da quella vendita. Un posto dove quando chiedi rispetto per tuo figlio bullizzato finisci in ospedale con trenta giorni di prognosi, pestato a sangue da un minorenne coetaneo di tuo figlio e per tornare a mangiare, come tutte le persone normali, devi farti operare.
L’avvocato pestato
In Italia esiste un posto dove, anche se sei avvocato, quando sbagli una promessa vieni massacrato di botte nel piazzale del Tribunale di Roma. Un posto dove quando ti fermano le forze dell’ordine devi sperare siano “sbirri” veri e non “i nullatenenti”. Un posto dove compri soldi e poi diventi organico, prestanome, o vittima per sempre, dove il principe della risata avrebbe girato altre cinquanta pellicole di Totò truffa, ma di comico qui non c’è niente, solo vite “scassate”, attività imprenditoriali neutralizzate,controllo palmo a palmo del territorio.
Un posto dove i soldi li mischi in imprese lavatrici: bar, ristoranti, discoteche o li porti a Montecarlo, poi “scudati” li riporti in Italia smezzandoli tra i complici di reti infinite di teste di legno. Un posto dove puoi fare la dolce vita, dove puoi avvolgerti nella schiuma di bagni profumati, di vasche dorate, ma se manchi di rispetto alla “famiglia” ti sequestrano e il bagno te lo fanno nell’acido.
In Italia esiste un posto dove se sbagli ragazza alla quale fare un complimento puoi morire per un cazzotto, uno, diretto allo sterno. In Italia esiste un posto dove gli abusi sono tollerati, dove
ogni volta è un procedimento penale singolo, mai una risposta organica delle istituzioni, una risposta complessiva e terminale. Un posto dove non arriva la legge e le ordinanze, per decenni, sono state come le salviette usa e getta. Usa e getta come la credibilità dello Stato.
Questo posto è a quindici minuti di auto da piazza Venezia, dall’Altare della Patria. Tutto il quartiere è di quelli costruiti a calce, martello e abuso che hanno moltiplicato la periferia all’inverosimile in una città che è cresciuta in orizzontale aumentando cubature e illegalità, smarrendo ogni modello urbanistico.
I luoghi feudo del clan
E questo posto è uno di quelli, uno dei mille rivoli di una periferia infinita che doveva diventare un centro in una metropoli policentrica con collegamenti su ferro e modernità. Doveva. L’unico vagito di modernità è la cascata di cemento dietro al grande raccordo anulare per realizzare centri commerciali e megastore.
Un vagito, mal riuscito. Ogni villa è un tormento, uno sfregio alla sobrietà. Leoni, veneri, ancelle, statue svettanti che decorano ingressi, porticati, cancelli. Colori pomposi per le pareti, una piscina per celebrare feste e ricorrenze, telecamere di sorveglianza, logo della casata perché l’appartenenza è un valore, un segno di comando.
E poi gli interni dove tutto deve brillare, scintillare, albeggiare come in un viaggio trasognante verso il potere bramato come in un set hollywoodiano, come in uno di quei film proiettati sugli schermi incastonati nel muro addobbati con foglie e ricami d’oro. A pochi passi da Cinecittà, orgoglio del cinema italico, è in scena da decenni una saga criminale senza fine. Da Romanina a Porta Furba, da Anagnina al Quadraro, da Tuscolana a Ciampino fino ai castelli. Si allargano come in un domino.
Un comprensorio enorme quello che cede verso Napoli dove hanno trovato alloggio comodo boss di camorra, compagni di ventura della famiglia egemone. «Lì ci abitano solo. Sono in tutta Roma, e nel Lazio hanno avamposti ovunque» racconta chi li conosce bene. Un posto che è ogni luogo dove arriva il verbo, la presenza, l’egemonia della famiglia Casamonica, chiamati i “nullatenenti” o “zingaracci”.
Agli albanesi rotta le ossa
C’è un’altra famiglia, radicata in Italia da decenni, italiana, che parla un dialetto incomprensibile con interpreti introvabili? C’è un’altra famiglia che pratica le unioni tra familiari escludendo estranei, chiamati gagè (il “gagio” è lo straniero per i Casamonica)? C’è un’altra famiglia che non ha collaboratori di giustizia, boss, criminali, sodali che raccontano tutto?
C’è un’altra famiglia che conta centinaia di “fedelissimi” che si chiamano Casamonica, Di Silvio, Spada, Ciarelli, De Rosa, Di Guglielmo, Bevilacqua ma si fanno chiamare Casamonica perché tutti sanno chi sono? Sono Casamonica, unici, irripetibili.
Lo racconta, intercettato al telefono, uno dei capi, Giuseppe Casamonica, detto Bitalo: «Lo sai che è? La famiglia nostra è tutta unita, cioè l’importanza è che uno sta unito con l’altro perché se io... mi serve ’na cosa de mi’ fratello e non c’è nessuno, assolutamente, niente problema. Noi siamo proprio uniti, proprio in famiglia è una cosa, è la razza proprio che è fatta in questa maniera». Una razza fatta in questa maniera, quella dei Casamonica perché: «A Roma ci stanno i Casamonica e basta».
I Casamonica sono in buoni rapporti con tutti, ma guai a sfidare loro o i loro amici. Proprio il boss Giuseppe, uno dei Casamonica più rappresentativi, ora rinchiuso al carcere duro, lo chiarisce bene al telefono, parlando di una banda che si era messa di traverso: «Agli albanesi gli abbiamo rotto le ossa e li abbiamo mandati via, se non mi credi a me puoi domanda’ in zona».
Il libro di Nello Trocchia, Casamonica, viaggio nel mondo parallelo del clan che ha conquistato Roma, è pubblicato da Paper First, in edicola da domani con il Fatto Quotidiano
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