L’offensiva può costringere il Cremlino a nuove mobilitazioni, ma il presidente vuole scongiurare ogni reazione. L’eredità di Navalny, avvelenato 4 anni fa, è tutta fuori dai confini della Russia
A distanza di quasi due settimane dell’inizio dell’operazione militare delle forze armate ucraine nella regione (oblast’) di Kursk, nel territorio russo, si susseguono analisi di think tank americani, come il prestigioso Institute for the Study of War, che segnalano «l'accresciuta priorità russa di mantenere il ritmo delle operazioni offensive nella regione di Donetsk», mettendo «probabilmente a dura prova le rimanenti riserve operative russe».
Dal punto di vista tattico-militare, le opinioni degli esperti sull’attacco ucraino in Russia sono sostanzialmente divise tra coloro che ritengono si tratti di un «azzardo», che potrebbe mettere a rischio le truppe ucraine, circondate da quelle russe che stanno nel frattempo costruendo velocemente chilometri di trincee, e coloro che parlano di una «vittoria tattica» sia per le conseguenze positive sull’umore degli ucraini sia per le pressioni generate su Vladimir Putin.
Che il presidente russo non sia un soggetto impulsivo e attenda anche giorni prima di ordinare azioni mirate e/o rilasciare dichiarazioni è cosa nota da decenni ai pochi esperti sul tema, ma ormai anche all’opinione pubblica mondiale da quando è iniziata l’invasione russa.
Al di là dei rischi che le autorità ucraine hanno intrapreso con questa azione e della capacità di aver fatto distogliere l’attenzione e risorse militari del Cremlino dal Donbass, (secondo la Cnn si parla, infatti, di migliaia di soldati russi dirottati dall’Ucraina a Kursk), c’è un aspetto che potrebbe nelle prossime settimane creare un serio problema di politica interna per il Cremlino: come evitare una nuova mobilitazione e richiamare un eccessivo numero di soldati di leva per difendersi dalla minaccia ucraina in loco, senza perdere quel «vantaggio competitivo» ottenuto con l’avanzamento e l’occupazione di territori ucraini e generare malcontento nell’opinione pubblica russa.
Percezione
L’ulteriore umiliazione subita dal Cremlino il 6 agosto scorso, dopo la disfatta della cosiddetta “operazione speciale militare”, che doveva esaurirsi in poche ore/giorni, può avere causato sconcerto e rabbia, soprattutto tra i falchi dell’élite russa, ma, come ben sappiamo, è l’immagine o la percezione che si diffonde nella popolazione russa attraverso i mass media ad essere rilevante per Putin. E, infatti, il Cremlino ha parlato di «provocazione su larga scala» degli ucraini e non di «invasione» o «guerra», ma, soprattutto, in queste ore i mass media russi stanno intensificando la diffusione della notizia della volontà del presidente Volodomyr Zelensky di attaccare la centrale nucleare di Kursk, molto simile nella struttura a quella di Cernoby, a tal punto che è stata utilizzata nel film televisivo americano Chernobyl: The Final Warning del 1991.
Una delle caratteristiche su cui il presidente russo ha creato la propria immagine e rafforzato il consenso negli anni è quella di alimentare l’odio verso il nemico (Ucraina, la Nato, gli Usa, ecc.) per distogliere l’attenzione dai fallimenti delle autorità russe – i militari, i politici e i burocrati -, ma non da quelli del presidente, che interviene sempre per risolvere i problemi creati dagli altri.
E questa “formula politica” che Putin ha applicato da quando è al potere ha sempre avuto riscontri positivi in termini di fiducia nel suo operato politico in diversi strati sociali della popolazione russa.
Solo l’inarrestabile ed efficace azione comunicativa dei suoi principali oppositori quali Boris Nemtsov, Anna Politkovskaja e Aleksej Navalnyj ha messo a dura prova e, spesso, scalfito l’immagine del presidente Putin.
L’avvelenamento
Proprio quattro anni fa, il 20 agosto 2020, il dissidente Navalnyj era stato avvelenato con l’agente nervino “Novičok” in volo da Tomsk verso Mosca.
Cos’è rimasto dell’eredità del blogger russo? Se dovessimo limitarci alla fila di persone che nel giorno del suo funerale hanno portato un fiore, proseguendo anche nei mesi successivi (e sono tuttora in corso), sembrerebbe che il ricordo di Aleksej sia ancora vivo e indelebile in quella parte della popolazione che ha creduto nella possibilità di una Russia diversa e migliore di quella putiniana.
Chi può ancora destabilizzare la Russia di Putin al suo interno, proprio nel momento in cui è attaccata dall’esterno, se i suoi dissidenti si trovano all’estero o nelle prigioni di massima sicurezza?
Putin procede nella sua “guerra di logoramento” contro l’occidente e gli ucraini anche in casa propria, mentre in questi giorni l’indagine sulla morte di Navalnyj è stata chiusa dalle autorità russe come un caso di «malattia combinata».
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