Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


Negli anni ottanta, documenti della commissione parlamentare antimafia e sentenze del tribunale del capoluogo siciliano dimostrano i rapporti di Cosa Nostra anche con cartelli colombiani. Nell’ottobre del 1987 vengono sequestrati sul mercantile Big John, nei pressi di Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani, 596 kg di cocaina, destinati alla famiglia Madonia di Resuttana.

In ogni caso, il controllo pressoché totale del territorio esercitato dalle famiglie mafiose, espressione di un potere statuale che caratterizza Cosa Nostra dalla sua nascita, si sposa con il traffico internazionale di stupefacenti.

Quella risorsa strutturale, in parte legata ad aspetti arcaici e premoderni della associazione, risulta funzionale alle nuove occasioni di accumulazione che propone il mercato mondale; si coniuga perfettamente con la riproduzione allargata del capitale, della ricchezza e del prestigio. La duttilità e la capacità di adattamento alle nuove situazioni si traducono in uno strumento di potere.

Negli anni settanta e ottanta, con la droga, i mafiosi svolgono un ruolo equiparabile a quello dei mercanti sulla lunga distanza.

Accumulano grandi profitti. E il sorprendente sviluppo dell’organizzazione criminale li pone in una posizione privilegiata nelle dinamiche capitalistiche internazionali.

Il mafioso, alla maniera del mercante capitalista dei secoli passati, parte da una ampia disponibilità delle risorse finanziarie – prerequisito indispensabile per affrontare i costi elevatissimi del commercio sulla lunga distanza- che ha raccolto attraverso l’attività estorsiva, prestando soldi a usura, soprattutto vendendo al “dettaglio” quelle stesse merci di cui gestisce i traffici: droga e armi.

Secondo la letteratura delle scienze sociali si assiste ad una replica di un copione già visto ai tempi del proibizionismo dell’alcool degli anni venti: “i gruppi criminali diventano soggetti economico finanziari di primo ordine con tutto quello che ciò comporta come ruolo socio-politico e come interazione con ambienti di potere”.

E da più parti si individua proprio nel proibizionismo “la causa e l’occasione più propizia per la scalata criminale e per la traduzione dell’agire mafioso in impresa che gestisce in regime di monopolio o di oligopolio l’offerta di un bene o servizio illegale ma con una domanda di massa.”

Il traffico delle droghe non solo riproduce e rafforza finanziariamente i gruppi criminali organizzati ma contribuisce pure a generare e a estendere il sistema di relazioni che ruota attorno ad essi.

Le vicende giudiziarie relative a Cosa Nostra e i contributi provenienti da osservatori di ogni parte del mondo evidenziano che i “narcosistemi” inglobano in un quadro assai articolato molte categorie di persone: non solo i contadini produttori, i trasportatori, i chimici, i mulas (uomini e donne che imbottiscono il corpo di cocaina e la ingoiano) ma anche gli avvocati difensori, i contabili, i consulenti finanziari, vari esponenti delle istituzioni legali.

Il network coinvolge anche le interazioni con altre “mafie storiche”.

In particolare in quegli anni si assiste ad una rafforzamento della sinergia tra Cosa Nostra e la camorra napoletana, già sperimentato con il contrabbando dei tabacchi.

Si registra addirittura l’insediamento a Napoli di alcuni tra i più temibili malviventi siciliani, tra cui Nicola Milano, Salvatore Savoca, Tommaso e Vincenzo Spataro, Nunzio e Agostino La Mattina, Alfredo e Giuseppe Bono. E d’altro canto Pippo Calò intesse rapporti stabili con la Banda della Magliana a Roma.

Vi è di più. Negli anni settanta e ottanta, l’affare della droga è una risorsa che permette a Cosa Nostra di infiltrarsi massicciamente nelle regioni italiane ad alta attività industriale e con un reddito pro-capite molto elevato.

Il processo “Spatola + 133” e le relazioni della Commissione parlamentare antimafia del 1993 dimostrano la presenza di importanti componenti delle cosche siciliane in Lombardia, Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Lazio e Toscana.

Sono luoghi dove, con la compiacenza di insospettabili personaggi locali, l’organizzazione ricicla il provento del narcotraffico anche in operazioni lecite, investendo nella società finanziarie, nelle aziende alberghiere, nell’edilizia, nel commercio, nelle società sportive, nelle discoteche e nella politica.

Droga significa, dunque, potere, denaro, capitale sociale. Droga significa dominio ed espansione. Negli ambienti interni a Cosa Nostra si è consapevoli del fatto che il “ritorno” degli Inzerillo in Italia può scompaginare vecchi equilibri.

Ma i giovani mafiosi, come Nicchi e Mandalà, decidono che quel rischio si debba correre. La posta in palio è alta e non c’è tempo da perdere. Occorre riattivare i contatti necessari ad essere attori principali nel narcotraffico internazionale. Le intese con personaggi legati al clan Gambino-Inzerillo, che opera oltreoceano, sono funzionali al raggiungimento di quel risultato.

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