Eccoci, pronti per un’altra settimana assieme. Dopo il duplice addio dei cosegretari dei Verdi Ricarda Lang e Omid Nouripour, ieri è stata la volta di Kevin Kühnert. Il segretario generale della Spd ha annunciato il suo passo indietro in maniera totalmente inaspettata, anticipando contestualmente di non essere pronto a ricandidarsi a causa di questioni di salute. 

Salvare il salvabile

La Spd entra nell’anno elettorale da partito con un nuovo capo. Kühnert lascia il suo posto per motivi di salute, al suo posto arriva Matthias Miersch. Sarà lui a dover gestire la campagna elettorale di Olaf Scholz ed è stato scelto dai vertici di partito proprio con questo obiettivo negli occhi. A lungo Miersch è stato considerato il più probabile successore del capogruppo Rolf Mützenich in virtù dei suoi buoni rapporti con le diverse correnti del partito. Miersch è uno dei tre portavoce della sinistra socialdemocratica e un parlamentare esperto, visto che fa parte del Bundestag da diciannove anni, mentre da sedici in quanto vicecapogruppo fa parte della dirigenza della Spd. 

Ma ai vertici piace anche perché, annusati i temi che saranno al centro della campagna elettorale del prossimo anno, sanno che dovranno puntare su qualcuno che sia credibile sui temi economici e quelli ambientali. Miersch è quella persona. 

Resta da vedere se sarà in grado di essere all’altezza del suo predecessore: la Zeit si chiede chi saprà sostituire Kühnert, competente in tanti temi, oratore brillante, battagliero davanti alla telecamera ed efficace nello scontro politico diretto. Lo Spiegel lo considera addirittura il migliore talento della Spd: la sua carriera fulminante all’interno del partito non lascia dubbi sulla qualità politica che lo caratterizza e che adesso, almeno per un po’, non eserciterà più nell’agone del Bundestag. In una recente intervista al settimanale aveva raccomandato al suo partito di crescere per superare i propri limiti: ora, la raccomandazione sembra più urgente che mai.

L’altro sette ottobre

Gli ebrei in Germania sono preoccupati. L’antisemitismo denunciato dalle comunità è aumentato, e il primo anniversario del 7 ottobre è stato l’occasione per fare un bilancio, scrive Kerstin Breinig per la Tagessschau. Secondo quanto ha raccolto l’emittente pubblica, si tratta di ostilità che proviene dall’islamismo radicale, dall’estrema destra e dall’estrema sinistra. Soltanto la procura di Berlino ha avviato 370 procedimenti penali per antisemitismo, a cui si aggiungono altri 1.500 atti commessi in relazione al Medio Oriente, tra cui figurano anche reati di matrice antisemita. 

L’articolo sottolinea anche il lessico utilizzato durante le manifestazioni propalestinesi: secondo Breinig spesso si tratta di un’incitazione aperta alla violenza. Le autorità tedesche sono state, anche in virtù della rielaborazione del passato, molto presenti nel ricordo dell’attacco di Hamas della comunità ebraica in Germania lunedì scorso. Il presidente federale Frank-Walter Steinmeier ha espresso la sua solidarietà a Israele e condannato l’antisemitismo, ricordando che alla Germania compete una particolare responsabilità su questo tema. Nonostante la solidarietà, Steinmeier ha sottolineato che anche il diritto all’autodifesa di Tel Aviv ha dei limiti. 

La taz con l’occasione dell’anniversario problematizza l’approccio di entrambe le parti al conflitto in medio oriente: la militarizzazione non può essere la soluzione, scrive Lisa Schneider. La proposta dell’editorialista è quella di lavorare attraverso la diplomazia: l’occidente, insomma, non può più essere soltanto osservatore o consigliere, ma deve entrare in prima persona nella partita per evitare che i protagonisti della crisi continuino a ridurre in cenere ampie porzioni di terreno e uccidere altri civili. Israele non può eradicare le organizzazioni violente che giocano un ruolo di primo piano nel mondo arabo, né le operazioni di Hamas e Hezbollah metteranno un freno al pugno duro di Benjamin Netanyahu. 

Le due direttrici Barbara Junge e Ulrike Winkelmann definiscono poi la linea del giornale – meno acritico nei confronti della linea del governo Netanyahu, che spesso in Germania è vissuta con una maggiore tolleranza rispetto che in altri paesi per ragioni storiche – con un’intervista corale alla storica Fania Oz-Salzberger che porta un titolo eloquente: «Abbracciare gli israeliani, dare un calcio nel sedere ai Netanyahu».

La benedizione di Egon Krenz

La Ddr non esiste più, viva la Ddr. Almeno secondo Sahra Wagenknecht ed Egon Krenz. Il racconto della performance dell’ex presidente del consiglio nazionale dell’ultima dittatura tedesca sul palco del cinema Babylon vicino alla piazza Rosa-Luxemburg a Berlino della taz è tutto da gustare: tra nostalgie di chi la Ddr non l’ha nemmeno mai vissuta e i saluti ai compagni cubani e russi (ovviamente l’accusa di pericolosità alla Russia viene allontanata come “fiaba”), la Repubblica democratica tedesca torna in vita per una sera. 

Krenz era ospite del giornale Junge Welt e ha di fatto interpretato sé stesso durante la serata. La Ddr sarebbe stata uno «stato di pace al fianco dell’Unione sovietica»: muovendo dall’assunto che lo sguardo di oggi sulla Rdt sia stato il risultato di una propaganda diffamatoria nei confronti della Repubblica democratica tedesca, deduce una serie di giudizi sul mondo contemporaneo. Per Krenz, per esempio, il governo attuale è ipocrita perché non sostiene la ricerca di una soluzione diplomatica con Mosca. 

Perfettamente in linea con Wagenknecht (ma anche AfD e una parte della Spd), Krenz spinge dunque con convinzione per uno scambio con il Cremlino. A cui non attribuisce nessun tipo di responsabilità per la tragedia che si svolge giorno per giorno sul confine con l’Ucraina. Vorrebbe anche che non continuassero le forniture militari e anche che la Germania si rifiutasse di ospitare i missili a lunga gittata americani sul proprio territorio. Parola per parola il programma di BSW, la cui leader non ha mai nascosto che avrebbe preferito continuare a vivere nella Ddr piuttosto che nella Germania riunificata. L’ex presidente respinge anche con forza il paragone con il regime nazionalsocialista e il giudizio contemporaneo sui Land dell’est: «I tedeschi orientali non sono bruni». Per recuperare quei voti, raccomanda Krenz, «bisogna ascoltare». 

3sat a rischio

Il canale culturale pubblico 3sat rischia di essere chiuso, o meglio fuso con l’altra emittente pubblica Arte. La ragione è, come spesso accade, economica: la taz si chiede perché la cultura sia sempre la prima branca da tagliare quando si parla di risparmiare, nonostante mettendo mano altrove, per esempio ai compensi dei commentatori sportivi, si potrebbe risparmiare molto di più. 

L’impressione è che i decisori non abbiano più il senso del giornalismo culturale: per l’autore Dirk Knipphals la complessità che l’accompagna rischia di essere un elemento di disturbo rispetto al resto della programmazione, disegnata per «prendere per mano» o «accompagnare» il telespettatore, quasi fosse un bambino. Chi cerca un prodotto più ambizioso secondo l’editorialista rimane a bocca asciutta, soprattutto per quanto riguarda i programmi culturali.

Knipphals auspica anche una riflessione del servizio pubblico sul suo ruolo in questa fase storica, ma dal punto di vista dell’autore i vertici della tv si limitano a incoraggiare talk show superficiali che non aiutano nella riflessione sui temi importanti. Un processo simile restituirebbe alla tv anche qualcosa di cui avrebbe disperatamente bisogno: autorevolezza e legittimazione. 

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