- Sono anni che il servizio pubblico è accusato di marginalizzare l’est della Germania.
- A queste critiche si aggiunge una tardiva riforma e una claudicante modernizzazione dei servizi online.
- La lottizzazione istituzionale permette di spostare il dibattito dalle nomine ai contenuti.
Chi guarda più la televisione ai tempi di internet? Parecchia gente, a dire il vero. Almeno se si parla di Germania, dove il servizio pubblico del Öffentlichen-Rechtlicher Rundfunk rappresenta una fetta dominante nel settore dell’informazione. Nel 2020, Zdf e Ard (rispettivamente secondo e primo canale) hanno raggiunto il 30 per cento dello share medio, un numero che sale addirittura al 50 per cento se si considerano anche gli altri canali pubblici regionali come Rbb (Berlino), Wdr (Germania ovest).
A questa offerta si aggiungono i tre canali della radio Deutschlandfunk e la partecipazione all’emittente francotedesca Arte. Al di là dei meri numeri va poi considerato il quasi monopolio del servizio pubblico sui talk show come Hart aber Fair e Anne Will, veri agenda setter del dibattito politico, e il network di canali YouTube Funk con cui lo stato foraggia formati di infotainment e divulgazione.
Non sorprende quindi che la riforma del servizio pubblico, in ritardo di anni, si sia trasformata in un campo politicamene minato. Toccare una fonte di informazione così potente non può che riaprire contenziosi rimasti a lungo in sospeso, a partire dalle diseguaglianze nella copertura mediatica.
La rappresentanza dell’est, che si parli di conduttori o programmazione, rimane in questo senso un dossier esplosivo i cui riflessi si stanno facendo sentire anche in questa strana campagna elettorale. Ne è ben consapevole Rainer Hasseloff, il rieletto governatore Cdu della Sassonia-Anhalt che è riuscito a incassare l’ultima vittoria cristianodemocratica prima delle elezioni federali. Sfruttando l’impopolarità della tv pubblica a est – e diciamocelo, delle tasse in generale – Hasseloff ha infatti impiegato il veto del suo Land per bloccare un aumento del canone, che sarebbe dovuto passare da 17,50€ a 18,30€ mensili.
Una lottizazzione istituzionale
Il controllo della tv pubblica tedesca ricade sia sulle autorità federali che sui Land, attraverso un sistema che, pur essendo in origine disegnato per evitare ingerenze da parte della politica, assegna comunque il proprio spazio a diversi orientamenti ideologici. Prendiamo ad esempio Zdf, il canale più seguito. Il consiglio d’amministrazione è lottizzato su base istituzionale: 4 membri rappresentano i Land, mentre altri 8 (tassativamente estranei alla politica e ai partiti) vengono eletti dal Consiglio televisivo, un’assemblea di 31 rappresentanti della società tedesca come i partiti, chiese e comunità religiose, il governo federale e altri.
L’assenza di uno spoils system non impedisce ovviamente la politicizzazione del servizio, ma sposta il focus del dibattito sulla programmazione. La decisione di Hasseloff non si può ridurre a un semplice contentino fiscale, soprattutto considerando l’ostilità di molti cittadini dell’est al Rundfunk. Come in molti altri aspetti della vita pubblica tedesca è infatti palese quanto i “nuovi” Land (come i tedeschi continuano a chiamare gli stati federali dell’est) siano scarsamente rappresentati nel panorama mediatico tedesco.
Le criticità abbondano e accompagnano il servizio pubblico fin dalla riunificazione: i curriculum dei giornalisti sono prevalentemente occidentali; al di là delle corrispondenze a Berlino e del canale per bambini Kika (secondo alcuni il vero collante sociale del dopomuro) quasi non esistono emittenti federali con sede nella ex Ddr; le problematiche specifiche dell’est, infine, vengono trattate con troppa sufficienza e arroganza dai giornalisti occidentali, almeno secondo politici e commentatori locali stufi di vedere le proprie regioni associate alla povertà e al neonazismo.
Fra servizio pubblico e rappresentanza dei cittadini
Questi problemi di rappresentanza sono all’ordine del giorno quando si tratta del servizio pubblico, e rendono ancora più complicato il processo di modernizzazione. La digitalizzazione non ha fatto altro che rendere più trasversali gli interrogativi che il Rundfunk deve sciogliere per compiere la propria funzione sociale: cosa vuol dire fare informazione in un’epoca in cui l’accesso alle notizie è istantaneo? Come trovare un equilibrio fra creazione di un consenso e rappresentanza delle divergenze?
Nel corso degli anni questi dilemmi sono stati declinati sulle diverse crisi che hanno agitato la Bundesrepublik. L’ascesa del populismo di destra ha posto la questione su quanto la tv pubblica, legata ai valori antifascisti della costituzione, sia effettivamente obbligata a riportare anche opinioni estremiste, soprattutto quando esistono singoli rappresentanti di partiti moderati che flirtano con posizioni xenofobe o populiste.
La proliferazione di disinformazione e propaganda digitale ha poi messo in difficoltà la capacità del Rundfunk di fare debunking, considerando che la tv pubblica è spesso essa stessa oggetto di teorie del complotto (non a caso i reporter di Zdf e Ard vengono regolarmente pestati alle manifestazioni no-vax).
Infine, c’è anche una semplice questione budgetaria e la pressione di ottimizzare un “baraccone” che oggi deve competere con una diversità di prodotti mediatici. Un aumento dei contenuti “non lineari” (cioè pubblicati online) e frenare l’aumento di costi, ad esempio incoraggiando la cooperazione fra i canali, sono i due punti più delicati nella contrattazione sindacale.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente sentito dai liberali della Fdp, che vorrebbero privatizzare gran parte del servizio pubblico e limitare la programmazione a contenuti culturali e di informazione, eliminando quindi serie come Babylon Berlin o capisaldi culturali imperdibili come Soko Kitzbühel, un procedurale ambientato nelle prealpi tirolesi.
I dirigenti si oppongono a questa abolizione perché, argomentano, comporterebbe la perdita di quel pubblico che non guarderebbe telegiornali e format d’inchiesta se questi programmi non fossero preceduti o seguiti da contenuti più nazionalpopolari.
Afd, Cdu e Fdp e la riforma
L’opposizione a un Rundfunk di ampio respiro, che ad oggi include anche reality show e intrattenimento leggero, è particolarmente controverso perché pone partiti come la Fdp (e anche esponenti della Cdu come Hasseloff) su posizioni simili all’Alternative für Deutschland. Questo fatto è stato parecchio utilizzato dagli stessi dirigenti della TV pubblica per rigettare le polemiche rintuzzate dai conservatori, accusando i critici di sdoganare le posizioni della destra estrema. Ovviamente, le critiche dell’Afd sono molto diverse da quella del Fdp o della Cdu.
I populisti di destra vedono il Rundfunk come parte di quella élite progressista da combattere, e benché anche il centrodestra si sia spesso lamentato dell’assenza di voci conservatrici su Ard e Zdf, non si può certo dire che l’insofferenza politica sia totalmente frutto di fazionalismo politico e complottismo.
Ne sono in fondo consapevoli anche i dirigenti della TV pubblica, che dopo il mancato aumento del canone hanno provato a intraprendere qualche prima bozza di riforma, volte soprattutto a contenere i costi aziendali. Queste proposte, per quanto timide, hanno provocato reazioni virulente: quasi nessuno è entusiasta dall’idea di vedere la propria trasmissione preferita spostata sulla mediateca online.
La prima vittima dell’ottimizzazione avrebbe dovuto essere il Weltspiegel, la seguitissima trasmissione domenicale che dal 1963 riporta notizie e analisi dal mondo. Alla fine, solo la popolarità della trasmissione ha impedito che fosse esiliata in un “orario-killer”.
Ma con la pressione politica che monta e il desiderio di anticipare la curva sul dopo-elezioni è probabile che il Rundfunk vedrà nuove proposte per rafforzare la propria offerta online ed entrare completamente nell’era digitale. Sarebbe se non altro una mossa intelligente, considerando quanto la pandemia abbia dimostrato l’importanza di un’informazione pubblica ben attrezzata, accessibile e credibile negli occhi del pubblico.
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