Un ulteriore elemento che denota inequivocabilmente la disponibilità mostrata dal sen. Andreotti nei confronti del Sindona è costituito dall’incontro tra i due soggetti, a Washington tra il 1976 ed il 1977. Nel periodo in esame, infatti, il sen. Andreotti era investito di incarichi governativi di primaria importanza (Ministro del Bilancio e della Programmazione economica nel IV e nel V Governo Moro, e poi, dal 29 luglio 1976, Presidente del Consiglio dei Ministri), mentre il Sindona era latitante e destinatario di una richiesta di estradizione
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra
Un ulteriore elemento che denota inequivocabilmente la disponibilità mostrata dal sen. Andreotti nei confronti del Sindona è costituito dall’incontro tra i due soggetti, avvenuto – secondo quanto l’avv. Guzzi apprese dal proprio cliente - a Washington tra il 1976 ed il 1977. Sebbene non sia possibile ricostruire l’oggetto dell’incontro, non vi è dubbio che lo stesso fatto che esso si sia verificato assume un rilevante valore sintomatico. Nel periodo in esame, infatti, il sen. Andreotti era investito di incarichi governativi di primaria importanza (Ministro del Bilancio e della Programmazione economica nel IV e nel V Governo Moro, e poi, dal 29 luglio 1976, Presidente del Consiglio dei Ministri), mentre il Sindona era latitante e destinatario di una richiesta di estradizione.
Ben diverso era stato – come si è sopra evidenziato – il modus operandi dell’ambasciatore italiano a New York, Roberto Gaja, il quale, intorno al 1975-76 era stato invitato da una organizzazione di italo-americani ad una celebrazione in onore del Sindona, ma aveva rifiutato di prendervi parte a causa della presenza di elementi contigui o legati ad ambienti mafiosi, ed aveva inviato un rapporto al Ministero degli Esteri della Repubblica italiana, spiegando le ragioni per cui “non aveva partecipato a quella manifestazione e non intendeva partecipare a nessun'altra cosa che riguardasse Sindona, ritenendolo in contatto stretto con ambienti di natura mafiosa”.
Non a caso, rendendosi conto della singolarità di questo incontro e del carattere anomalo del complessivo contegno da lui tenuto in un ampio arco di tempo successivo all’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale a carico del Sindona, l’imputato ha cercato di sminuire la consistenza dei propri rapporti con il finanziere siciliano, sostenendo quanto segue nelle spontanee dichiarazioni rese all’udienza del 17 novembre 1998: «Nel tentativo di creare collegamenti tra me ed ambienti mafiosi, si è evocato spesso in questo processo il caso Sindona. Premetto un’osservazione di ordine generale, di alcuni personaggi e non è questo né il primo né l’ultimo caso la vita si svolge in fasi totalmente opposte, taluni dopo lunghe stagioni squallide ed oscure sono folgorati dal bene e camminano sino alla loro fine su strade ineccepibili, altri invece dopo anni di esistenza limpida o almeno incensurata precipitano nel baratro di una drammatica involuzione. Se si confondo arbitrariamente i due periodi nell’un caso e nell’altro si incorre in una grave deformazione storica e morale.
Per quel che riguarda il dottor Sindona non condivido certamente il costume di quanti lo osannavano mentre era in auge e mentre tentava le scalate in borsa, definendolo allora con enfasi una giovane forza che contestava i cosiddetti patriarchi della finanza e dell’economia ed appena iniziò il suo tracollo fecero a gara per disconoscerlo e per lapidarlo. Io nulla so e posso dire per conoscenza diretta su quanto avvenne da quando cominciò la sua parabola discendente, contrassegnata dalla fuga, dalla clandestinità, da un attentato simulato, dalla gravissima condanna per l’omicidio del dottor Ambrosoli e infine dalla claMorosa morte nella prigione.
Parlo invece senza la minima difficoltà dei rapporti, non molti e per altro sempre istituzionali e mai privati, avuti con il Sindona per così dire della prima maniera. Conobbi il dottor Sindona tra la fine degli anni 50 e l’inizio del decennio successivo, ero andato come Ministro per una riunione alla Camera di Commercio di Milano, mi fu presentato in termini fortemente positivi e mi colpirono specificatamente gli elogi ascoltati dal presidente della SMIA (...) Franco Marinotti e dal presidente della Banca Commerciale Italiana Raffaele Mattioli.
Ricordo anzi che a tanta ammirazione per le sue doti di tributarista opposi scherzosamente l’augurio che non ne risentisse troppo il fisco italiano. Comunque nel convegno apprezzai io stesso nell’intervento di Sindona la serietà dell’analisi della situazione ed anche la forma espositiva. Non so se avesse già un ruolo di spicco nel settore bancario, certo in quel qualificato contesto milanese era molto stimato e rispettato, comunque emerse presto proprio nel campo del credito sia all’interno che all’estero, arrivando anche alla guida di una grande banca americana, nel cui consigliò figurò l’ex Ministro del Tesoro degli Stati Uniti Kennedy, omonimo della famiglia del Presidente.
Attorno a Sindona si erano mosse del resto a Milano persone di grande notorietà come ad esempio lo svizzero scozzese John Mc Caffery, che aveva avuto un ruolo importante durante la guerra di liberazione, ed uno dei membri della potente famiglia Hambro Joceline, grandi banchieri. Tutto questo sempre nella prima fase della vita di Sindona. Lungo questi anni lo ricevetti alcune volte a sua richiesta e mi colpirono alcune idee, tra l’altro mi aveva impressionato in un colloquio un suo progetto per fronteggiare la ricorrente crisi suscitata dagli alti prezzi del petrolio; parlava di un pool sul piano mondiale e cioè il cartello internazionale dell’argento per farne una specie di tallone di riferimento dei prezzi petroliferi.
Perché l’argento e non l’oro? Perché ragioni politiche rendevano impraticabile un accordo sull’oro, per motivi contrapposti con il Sud Africa e con l’unione Sovietica maggiori produttori. Era un accenno non fantasioso, perché seppi che uomini dell’ENI iniziarono per loro conto l’operazione, che però non ebbe come tale seguito forse anche perché il riferimento unico al dollaro sembrava o era insuperabile. Nel 1972-73 quando ero Presidente del Consiglio, Sindona venne a parlarmi di una proposta sulla conversibilità delle obbligazioni e di un possibile consorzio internazionale di banche a sostegno della lira, versavamo in un momento difficile con sospensione dal cosiddetto serpente monetario. Lo inviai per competenza al Ministro del Tesoro.
Gli americani residenti in Italia avevano allora la consuetudine di conferire un premio intitolato l’uomo dell’anno, Michele Sindona ebbe questo riconoscimento per il 1973, il precedenza lo aveva avuto Vittorio Valletta, per consegnarlo a Sindona fu offerto un banchetto d’onore, se non vado errato dall’Ambasciatore statunitense a Roma o comunque con la sua partecipazione, io fui invitato ma non andai. Fui invece ospite di Sindona in un pranzo a New York in occasione di una mia visita negli Stati Uniti nel 1973 dove mi recavo per una tavola rotonda presso il Vice Presidente Nelson Rockfeller.
Nel memoriale Moro è rievocato questo pranzo in termini del tutto impropri. Del memoriale e delle possibili due spiegazioni ho già parlato. Si disse che l’Ambasciatore italiano mi avesse sconsigliato di accettare l’invito. A parte che il dottor Sindona era in quel momento in una posizione di assoluto rilievo positivo, non solo l’Ambasciatore Ortona non mi accennò a controindicazioni ma venne lui stesso a New York invitato per il pranzo, senza avere alcun obbligo di accompagnamento, in quanto io non ero in quel momento al Governo.
Vi furono anche l’Ambasciatore italiano all’Onu e il Console Generale d’Italia a New York. Non so ad opera di chi venne fuori la leggenda di una lode che io avrei riservato al Sindona durante quel convito definendolo salvatore, o secondo altri benefattore, della lira. Rammento che citai solo le sue idee, l’ho ricordato sopra, dell’affrancamento dalla rigidità del mercato del petrolio e su possibili meccanismi di sostegno alla finanza italiana. Un altro particolare nel documento di Moro è singolare, scrive che io non avrei ritenuto adeguata l’offerta da lui fattami di andare come rappresentante alla conferenza del mare presso l’Onu.
Per esattezza è vero che mi avrebbe fatto comodo non pagare di persona il viaggio, ma declinai l’offerta perché trattandosi di un argomento estraneo alla mia preparazione saremmo stati criticati sia Moro che io. Se la potenza del personaggio Sindona fosse soltanto apparente, il livello politico dell’ex Ministro del Tesoro americano Kennedy o se solo errate e spericolate decisioni successive lo travolsero non sono in grado di dire. Molte università americane tra le più prestigiose lo avevano invitato a tenere conferenze, il cui testo l’uomo rispondeva ampiamente anche in Europa.
È noto che ad un certo momento le cose cambiarono per Sindona, sono conosciute in particolare le sue disavventure economico – finanziarie che portarono al fallimento delle banche e le conseguenti incriminazioni penali. È altresì noto che contro Sindona venne spiccato mandato di cattura dall’Autorità Giudiziaria italiana e che egli era fuggito negli Stati Uniti vanificando il provvedimento emesso nei suoi confronti. Ebbene nego con la massima fermezza di avere avuto rapporti e contatti con il Sindona in America o dovunque dopo la sua fuga. Chi afferma il contrario non conosce la realtà e dice il falso o consapevolmente mentendo o comunque affermando cose non vere.
Nella cronistoria del dottor Sindona si colloca come inizio del declino l’aumento di capitale in dollari del suo gruppo, di cui aveva iniziato ad acquisire le sottoscrizioni prima dell’approvazione del Comitato del Credito, approvazione che non fu data e che provocò appunto conseguenze involutive a catena. Il Ministro del Tesoro Ugo La Malfa disse che mezza Italia gli aveva sollecitato questa approvazione, io ero certamente nell’altra metà. Prego considerare che i miei rapporti con La Malfa, pur su matrici ideologiche tanto diverse, erano tali che nel 1979 accettò di essere Vice Presidente in un Governo da me presieduto, pur sapendo quanto fossero scarse e posso dire anche nulle le possibilità di navigazione del Governo stesso, purtroppo la morte lo stroncò improvvisamente quando non c’eravamo ancora presentati al Parlamento.
Sul personaggio Sindona e sulle sue vicende sono stati scritti e detti fiumi di parole, si è parlato ad esempio aiuto o prestiti da lui dati alla Democrazia Cristiana. Quali siano stati i suoi rapporti con la segreteria della DC io non avevo veste né ebbi occasione per essere informato prima dell’esplosione del caso Sindona. È poi veramente squallido attribuire la carriera del dottor Mario Barone nel Banco di Roma ad interferenze di Fanfani e mie sollecitate da Sindona (...).
Sul decorso della crisi di Sindona, fermo restando ripeto che è falso che lo abbia incontrato in America o in altro luogo dopo che era iniziata la sua fase negativa, è vero invece che fui investito dell’esame di un’ipotesi di soluzione della crisi del gruppo. Premetto che era ed è tuttora prassi nota e costante in presenza di rischi di fallimento di imprese richiedere interventi governativi. Quando possibile e ovviamente nei modi leciti questo interventi avvengono, talvolta anche provocando polemiche come è accaduto per il trasferimento in pubblici impieghi dei lavoratori della Olivetti eccedenti. Nel caso Sindona il crollo coinvolgeva una banca e sappiamo tutti che segnale questo rappresenta. Del caso stesso venne a parlarmi come Presidente del Consiglio il dottor Fortunato Federici che agiva per conto e su incarico del Banco di Roma, del cui consiglio di amministrazione faceva parte.
Il Banco era interessato perché creditore del gruppo ma più che altro perché si erano collegate le sorti della Società Generale Immobiliare, il gruppo economico romano più consistente, della cui sorte si era detto preoccupato anche il Governatore della Banca d’Italia Baffi, a causa della attività di questa società anche negli Stati Uniti e nel Canada. Sulla crisi dell’Immobiliare vi fu altresì a Palazzo Chigi una riunione con i 3 segretari delle confederazioni sindacali.
Il dottor Federici, persona di ampia reputazione in Roma, non era davvero uomo di Sindona, come si è irriguardosamente voluto definire. Morto repentinamente Federici venne l’avvocato Rodolfo Guzzi a presentare un progetto formalizzato di salvataggio della liquidazione coatta. Ricevutolo pregai il Senatore Stammati di esaminarlo e solo in caso di un suo parere favorevole lo avrei fatto rimettere agli organi competenti.
L’avvocato Guzzi era un noto professionista che gestiva la questione assieme a due importanti colleghi, l’avvocato Strina allievo di Carnelutti e il professore Gambino che è stato Ministro in uno dei recenti Governi. Perché affidai il preesame al Ministro dei Lavori Pubblici e non al Ministro del Tesoro? Stammati era stato mio Capo Gabinetto e Direttore Generale alle Finanze nel 1955 e più tardi era stato anche Ragioniere Generale dello Stato e Presidente della Banca Commerciale Italiana. La richiesta di avviso era tecnica e non comportava alcuna sollecitazione, laddove la trasmissione al Tesoro poteva sembrare in un certo senso sollecitante.
La pressione dell’avvocato Guzzi era in effetti asfissiante e mi aveva meravigliato che chiedesse a me un appuntamento alla Banca d’Italia per il liquidatore avvocato Ambrosoli insieme al dottor Cuccia. Gli disse che se l’avvocato Ambrosoli e il dottor Cuccia volevano parlare con la Banca d’Italia non avevano certo bisogno di presentazioni. Non so se a parte la petulanza, che comunque non influiva, il Guzzi vendesse come usa dirsi fumo e spacciasse la mia cortesia formale con assicurazioni di interessamento che io non detti né potevo o volevo dare, purtroppo per alcuni particolari debbo esprimere un giudizio negativo sul suo comportamento.
Parecchi promemoria che dal suo archivio risultavano a me presentati non li ho mai visti, né corrisponde al vero quanto dice circa la signorina Della Grattan di New York, di cui dirò tra breve. Quando Stammati mi disse che il piano non era secondo lui praticabile, io chiusi la pratica e non me ne occupai più. Appresi per altro con una certa sorpresa che per altra via e cioè tramite il padre di un pittore amico dell’Onorevole Evangelisti, il Guzzi aveva consegnato una copia del progetto risoluzione, appunto, al Sottosegretario Evangelisti, che a sua volta ne aveva parlato al dottor Sarcinelli.
Quando rientravo da una missione all’estero Evangelisti me ne informò, lo rimproverai per l’invasione di campo e gli disse di desistere dall’occuparsene. Risulta in effetti che un appunto che aveva preannunciato non fu più inviato al dottor Sarcinelli, il quale ha per altro dichiarato che Evangelisti non gli parlò mai a mio nome. È più che ovvio che nessun intervento io esplicai o consentissi che altri esplicassero per bloccare o ritardare l’estradizione del Sindona agli Stati Uniti. Dagli atti emerge che i tempi lunghi si dovettero alle iniziative che misero in campo gli avvocati americani del Sindona, con pretesa tra l’altro di traduzione a carico italiano di voluminosi fascicoli processuali.
Faccio presente richiamando in proposito la testimonianza dell’Onorevole Azzaro, relatore della Commissione Parlamentare di inchiesta prestigiosamente presieduta dal Senatore Francesco De Martino, che la questione di possibile pressioni, interferenze o favori da parte dei politici nei confronti di Sindona costituì uno dei filoni di indagine più battuti ed esplorati dalla commissione stessa e ciò si spiega facilmente, considerando che era un foro di natura politica e soprattutto gli aspetti politici del caso interessavano alla commissione, la quale pertanto era molto attenta a ricercare se da parte di questo o di quel politico e quindi anche da parte mia fossero state esercitate pressioni o assunte iniziative in favore di Michele Sindona.
La commissione non solo non ha rilevato nulla di tutto ciò ma è giunta ad escludere che da parte mia siano stati espletati interventi in favore di Michele Sindona. È risultato ad esempio che a perorare affidavit a favore di Michele Sindona si attivarono due personalità della collettività italoamericana newyorchese l’avvocato RAO e il dottor Filip (rectius Philip: n.d.e.) GUARINO. Il primo era figlio del Presidente della Corte Federale delle Dogane e lui stesso Giudice nominato da JOHNSON; l’altro era l’organizzatore della propaganda di quel Partito Repubblicano.
Come altre volte, come tanti altri stranieri oriundi o no di passaggio per Roma, vennero a farmi una visita di cortesia ma non mi chiesero davvero interventi per Sindona. Ho appreso dall’inchiesta che altri sottoscrissero questi affidavit tra cui il Procuratore Generale della Corte di Appello dottor Carmelo Spagnolo (rectius Spagnuolo: n.d.e.), accreditando la notizia di un presunto complotto politico contro il Sindona stesso, che sarebbe stato montato ai suoi danni e per danneggiare a favore dei comunisti i partiti di Governo. Io non ho mai preso sul serio questa impostazione così fantasiosa. Ho letto con curiosità la puerile invenzione che avrei incaricato qualcuno di recarsi dal signor Warner (rectius Warren: n.d.e.) Cristopher o da altre personalità del Dipartimento di Stato ad illustrare questo risvolto politico che avrebbe dovuto sconsigliare l’invio coatto in Italia del Sindona.
Si inserisce qui la figura della signora Della Grattan, un’americana di madre italiana titolare di un ufficio di pubbliche relazioni in New York. La si presenta stranamente come mia segretaria e si asserisce che avesse con me quotidiani contatti telefonici. La signora Grattan era venuta in Italia negli anni 50 ad organizzare una visita del Sindaco di New York, Vincent Impelliteri di famiglia siciliana, ed io Sottosegretario fui incaricato dal Presidente De Gasperi di occuparmene con cura stante l’interesse di recupero internazionale che avevamo in quel momento.
Di qui la conoscenza con la signora Grattan, che rividi nei miei viaggi in America a partire dall’agosto 1954, avendo con lei e con la famiglia amichevoli relazioni, mai di affari o politiche, punto e basta. Non so assolutamente se sia vero che la Grattan si sia occupata di questioni riguardanti Sindona, certamente a me non lo disse e tanto meno io la sollecitai. È una delle leggende che ho visto costruire ai miei danni con una tenacia degna di miglior causa.
Nella montagna di carte del processo si trova del resto tutto e il contrario di tutto, secondo il Guzzi io avrei incaricato almeno incoraggiato la Grattan di muoversi a favore di Sindona, ma un’agente del FBI Edward Holyday (rectius Holiday: n.d.e.), sentito dai Pubblici Ministeri di Palermo e di Perugia il 6 giugno 1994 a New York dice invece che la Grattan mi aveva messo in guardia dall’intrattenere rapporti con Sindona, che lei riteneva persona inaffidabile e spietata. Ma le contraddizioni abbondano, da un lato la Grattan gli avrebbe detto che Sindona le aveva chiesto invano di procurargli un contatto con me, dall’altro si lamenta perché io lo avessi incontrato nel 78 o 79, si dice, nonostante il suo parere contrario. Incontro mai avvenuto.
Chi ha inventato questo possibile incontro del 1979 si è forse riferito all’elenco degli invitati che dovevano partecipare ad un convegno promosso per l’undici dicembre di quell’anno dal Presidente dell’Alitalia Nordio a New York. Io figuravo nel programma ma fui bloccato a Roma per un’operazione chirurgica e non andai. Non sempre ma spesso anche le bugie degli informatori hanno le gambe corte. In quanto al viaggio ufficiale del 1978 alla consueta vigilanza protettiva si aggiunse un rinforzo 24 ore su 24 perché si era sotto l’impressione dell’assassinio di Moro.
Ci sono però negli atti del mio processo pagine che meritano una smentita precisa ed onnicomprensiva, mi riferisco ad una parte della deposizione del professore Minervini, nella quale si riferiscono asseritamente in rapporto alla Commissione Parlamentare di inchieste una serie di lettere del Sindona a me ed anche una telefonata con menzione della stessa signora Grattan. Io non ho mai ricevuto queste lettere o queste telefonate, se vi sono copie o appunti in proposito dichiaro che si tratta di falsi costruiti non so se qui o in America. La stessa calunniosa infondatezza si estende anche alla telefonata che il Sindona mi avrebbe fatto durante la sua avventurosa clandestinità in Sicilia, tra l’altro chiamandomi Giulio ed usando il tu.
Poiché però ho citato la testimonianza del professore Minervini ricordo che egli ha qui ricordato la deposizione dell’ex Console Generale d’Italia a New York Pieri (rectius Vieri: n.d.e.) Traxler, resa alla Commissione Parlamentare di inchiesta ridimensionando il ruolo della signor Grattan e fornendo altre importanti precisazioni. Del resto alla ricerca di miei connessioni con Sindona un suo biografo, sotto altri aspetti bene informato, il Panerai è caduto anche in un infortunio, quando scrive della grande cordialità che Sindona mi avrebbe manifestato il 14 luglio 1969 a Frosinone inaugurandosi la fabbrica di valigie Patti appartenente al suo gruppo. Orbene ricordo invece di essere rimasto quel giorno quasi offeso perché la ditta aveva invitato ed era andato il Ministro dell’Industria che ero io ma a ricevermi vi era solo uno degli amministratori e non il numero uno Sindona, ho qui la cronaca del quotidiano il Globo del giorno successivo 15 luglio 1969.
Del resto pur sapendo che si trattava di una zona la cui industrializzazione mi interessava come rappresentante parlamentare da oltre 20 anni, non mi aveva mai comunicato la scelta del luogo né informato sulla realizzazione. È forse un indicatore dell’effettivo grado non intenso dei rapporti che vi erano con la persona.
Ricordo anche bene, perché ero capogruppo alla Camera dei Deputati, che nel 1971 si levarono voci non certo dalla mia parte politica per diffidare il Governo dal porre ostacoli alle mire di Sindona, espressione in quel momento di un istituto finanziario tedesco sul gruppo Bastogi, la Banca d’Italia e il Governo ritennero egualmente di non consentire questa operazione. Mi sia consentito concludere il capitolo Sindona con una nota di curiosità. In una delle occasioni in cui dovevo parlare dell’argomento feci ricercare se avesse avuto onorificenze al merito della Repubblica, trovarono un decreto del 2 giugno 1961 nato da una proposta del Sottosegretario agli Esteri Onorevole Dominetò (rectius Dominedò: n.d.e.) per cito: le benemerenze acquisite nel campo sociale e assistenziale, chiusa la citazione. La Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva richiesto le informazioni di rito alla Prefettura di Milano, che ne certificava la regolare condotta morale e civile e ne descriveva le attività professionali concludendo favorevolmente. Non ha molta importanza ma in quel momento non ero io Presidente del Consiglio».
Deve tuttavia osservarsi che molti aspetti essenziali della ricostruzione dell’accaduto esposta dall’imputato – come la collocazione dei suoi incontri con il Sindona esclusivamente negli anni anteriori al 1974, l’assunto secondo cui si sarebbe trattato soltanto di rapporti di carattere istituzionale, la negazione di avere sollecitato la nomina del dott. Barone, la suesposta spiegazione delle ragioni e della natura dell’incarico conferito al sen. Stammati, l’affermata estraneità alle iniziative assunte dall’on. Evangelisti, l’esclusione della circostanza che il Rao ed il Guarino abbiano richiesto all’imputato di compiere interventi per il Sindona, l’asserita ignoranza dell’attenzione mostrata dalla Grattan per le vicende riguardanti il finanziere siciliano – sono inequivocabilmente contraddetti dalle risultanze probatorie sopra riassunte.
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