Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Rileggendo 42 anni dopo in chiave critica gli accadimenti dell'epoca, vi è un'ulteriore e più persuasiva prova di come Ugo Sisti abbia collaborato con i servizi segreti, assecondandone il disegno complessivo di ostacolare le indagini sulla strage bolognese.

Nell'agosto-settembre 1980 il dott. Sisti sapeva che sarebbe stata imminente la sua nomina a direttore del Dap. e, dunque, il procedimento relativo alla strage non doveva costituire per lui un motivo di reale preoccupazione.

Tuttavia, nel pur breve tempo che gli restò alla guida della procurabolognese, agevolò in tutti i modi l'ingerenza dei servizi segreti nelle indagini e, più in generale, cercò di accreditare le c.d. piste internazionali, ovvero tesi di indagine alternative a quella della pista neofascista, sulla quale gli inquirenti si stavano in quel momento concentrando.

Sono almeno tre le condotte del dott. Sisti che si colgono su questo piano, ciascuna caratterizzata da elementi di anomalia e di incongruenza, come da difetto di competenza. In primo luogo, il Procuratore invocò un intervento dei servizi segreti nelle indagini sulla strage, con un'anomala richiesta di informazioni indirizzata in data 20.9.1980 al Sisdee al Sismi.

Tale richiesta non fu casuale e deve essere interpretata oggi alla luce degli accadimenti di quel periodo.

Appare utile ripercorrere, attraverso l'accurata ricostruzione che ne fece la prima sentenza della Corte di Assise di Bologna del 1988 (c.d. Albiani), il susseguirsi degli eventi che si verificarono immediatamente prima della formalizzazione dell'indagine, avvenuta in data 21 settembre 1980.

Come emerge dalla predetta sentenza, nei primi dieci giorni di settembre 1980, vi fu un incontro tra Licio Gelli e il funzionario Elio Cioppa presso l'hotel Excelsior di Roma, che ne costituiva la sede operativa. L'incontro non fu casuale, posto che Cioppa, oltre ad essere direttore del Centro Sisde2 di Roma, era affiliato alla Loggia P2, uno dei tanti funzionati assoggettato al vincolo c.d. del doppio giuramento (s'intende: il primo alla Patria, il secondo alla Loggia).

Nel corso dell'incontro il Maestro Venerabile fece presente al funzionario che le indagini svolte dagli inquirenti per la strage di Bologna erano state erroneamente indirizzate verso una pista interna neofascista, dovendosi invece intraprendersi una pista internazionale.

Secondo la sentenza Albiani, da questo incontro originò il disegno di depistaggio del quale Gelli fu ispiratore e per il quale lo stesso sarebbe poi stato condannato alla pena di 10 anni di reclusione per il delitto di calunnia aggravata. Poco prima, alla fine di agosto 1980, il generale Santovito, direttore del Sismi ed iscritto alla loggia P2, incontrò negli uffici del Sismi Francesco Pazienza e il giornalista Barberi, che faceva capo alla Rivista Panorama. Nel frangente, il col. Santovito si mostrò contrariato degli elogi che i Magistrati di Bologna avevano rivolto al Sisdeper la collaborazione prestata nell'arrestare un certo numero di neofascisti e disse al giornalista che il SIMSI aveva maggiori meriti, avendo svolto indagini importanti in materia di terrorismo.

Consegnò quindi al giornalista dei documenti riservati relativi alla situazione libica e anche ad altri paesi, affinché li consultasse per scrivere un articolo. II 15 settembre 1980 venne pubblicato sul settimanale Panorama l'articolo dal titolo "La grande ragnatela". Trattandosi di documenti coperti da segreto, Santovito convocò nuovamente il giornalista e lo convinse a sottoscrivere un documento con il quale dichiarava che i documenti da lui utilizzati per redigere il predetto articolo provenivano da una fonte anonima. Il giornalista rifiutò. Lo stesso giorno del secondo incontro con Santovito o il giorno successivo, Barberi incontrò nuovamente Andrea Pazienza, che era in compagnia del colonnello Giovannone, funzionario del Sismi, il quale tranquillizzò Barberi dicendogli che l'articolo pubblicato non era fondato su documenti così importanti, anzi si trattava di documenti che riportavano anche degli errori, ma egli "sarebbe stato in grado, anche in breve periodo, di confezionare un documento dalle basi più solide”.

Nell'agenda appartenente a Francesco Pazienza è risultata l'annotazione il giorno 18 settembre 1980 dell'incontro avvenuto con il col. Giovannone e la giornalista Rita Porena; infatti, vi risultano riportate le parole "Giovannone Po", ove "Po" sarebbe l'abbreviazione del cognome della giornalista.

In data 19 settembre 1980 sul quotidiano "Il Corriere del Ticino" venne pubblicata un'intervista rilasciata da Abu Ayad, noto esponente dell'OLP, alla giornalista Rita Porena - poi accertata essere una fonte dei servizi e da essi prezzolata662 -, nella quale il palestinese falsamente addebitava la strage di Bologna a gruppi di nazifascisti italiani, spagnoli e tedeschi occidentali, addestrati dal neonazista Hojfmann nei campi della falange cristianomaronita vicini a Beirut.

Si apriva così la strada ad un'ulteriore pista investigativa, la c.d. "pista libanese", anch'essa concepita al fine di distogliere l'attenzione dalla pista neofascista.

A riscontro dell'artificiosa creazione di tale informazione, nell'agenda personale di Francesco Pazienza si accertò essere stata annotata lo stesso giorno della pubblicazione dell'articolo (I 9.8.1980) la dicitura "Tede-Ayad' (il primo nominative, identifica l'editorialista Mario Tedeschi, al soldo della Loggia P2, il secondo, il citato palestinese).

Non può essere un caso, allora, che Mario Tedeschi pubblicò su "Il Borghese" in data 5 ottobre 1980 un articolo dal titolo "Quel gentiluomo di Abu Ayad', richiamando proprio l'intervista rilasciata il precedente 19.9.1980 al Corriere del Ticino, ove si affermava che il centro del terrorismo internazionale si trovava a Beirut-Ovest, nel campo di addestramento citato, popolato da terroristi di diversa origine e provenienza.

Un limpido esempio di giornalismo indipendente.

Dalla citata intervista prese il via una serie vorticosa di avvenimenti, che culminò nei due viaggi in Libano sostenuti dal giudice istruttore di Bologna, dott. Gentile (in luglio e in novembre 1981 ), viaggi sponsorizzati dal Sismi e, in particolare, da Stefano Giovannone, con un enorme spreco di tempo e di energie investigative, che potevano essere indirizzate altrove.

È inutile ripercorrere tutte le tappe dell'intricata vicenda, essendo sufficiente osservare come le indagini non portarono a nessun risultato utile.

La sentenza della Corte d'Assise di Bologna dell'11.7.1988, acclarò come detta operazione propagandistica attuata nei primi giorni di settembre l 980 fosse stata il frutto di un'iniziativa di Francesco Pazienza, brillantemente eseguita da Stefano Giovannone, il quale aveva "costruito" l'ipotesi avvalendosi della complicità della giornalista Porena e di AbuAyad.

Si trattava del preludio alle ulteriori iniziative depistanti escogitate nei mesi successivi dal gen. Santovito, dal gen. Musumeci e dal ten. col. Belmonte, tutti iscritti alla Loggia P2 e soggetti alle direttive di Licio Gelli, le quali poi trovarono il loro apice nell'operazione denominata "terrore sui treni".

Per tale episodio Musumeci e Belmonte furono condannati dalla Corte d'Assise di Bologna (mentre il gen. Santovito era deceduto prima) per il delitto di calunnia pluriaggravata ad una pena significativa, poi ridotta nel secondo grado di giudizio.

Tornando al tema che qui interessa, il 20 settembre 1980, ovvero il giorno successivo alla pubblicazione del predetto articolo di stampa, il dott. Sisti chiese urgentemente, a mezzo di corriere, alle direzioni del Sisdee del Sismi ed alla presidenza del Cesis, la trasmissione dei documenti in possesso dei Servizi, dai quali risultassero la ricezione delle notizie cui accennava la stampa in ordine a progetti criminosi di cittadini italiani all'estero, in particolare modo in Libano, gli accertamenti compiuti e le iniziative adottate.

A tale iniziativa fecero seguito la nota del Gen. Grassini del 9.10.1980, con la quale si confermava la validità delle notizie pubblicate dalla Porena e la nota del 14.10.1980, a firma del Gen. Santovito, che ipotizzava addirittura 22 diverse piste investigative, ciascuna di esse descritta in un'apposita scheda (cfr. sentenza Albiani, pagg. 79 e 80, nonché pag. 85).

Non deve sfuggire come un ruolo fondamentale dal punto di vista eziologico nell'intera vicenda debba essere attribuito all'ideazione del suddetto articolo-intervista, che determinò poi una concatenazione di eventi.

Non pare, invece, potersi attribuire un ruolo causalmente rilevante nel depistaggio all'operato del dott. Sisti, così come pretende la procuragenerale, posto che il magistrato si limitò ad inoltrare una mera richiesta di documenti; con ogni probabilità, quand'anche non vi fosse stata tale richiesta, l'operazione di depistaggio avrebbe raggiunto ugualmente il suo obiettivo, quello cioè di ostacolare o quanto meno di ritardare l'accertamento della verità.

Tuttavia, tale comportamento manifestava sicuramente un'adesione incondizionata ed anomala a quella che in quel momento era unicamente una mera prospettiva di indagine, suggerita nell'ambito di un'intervista giornalistica da un soggetto la cui credibilità era tutta da verificare.

D'altra parte, occorre sottolineare come un simile atteggiamento apparisse in stridente contrasto con la linea sino ad allora seguita dalla procuradella Repubblica di Bologna, la quale, appena 20 giorni prima, in data 28 agosto 1980, aveva emesso ben 28 ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari), di Tp (Terza Posizione) e dell'Mrp (Movimento rivoluzionario popolare), cui poi se ne aggiunsero altri, con accuse di associazione sovversiva, di banda armata e di eversione dell'ordine democratico.

In definitiva, con il descritto contegno il Procuratore Sisti se non lasciò trapelare delle intime convinzioni, che non potevano essere fondate su qualcosa di concreto, in qualche modo fece intendere da che parte effettivamente stava. In tal modo, egli contribuì ad attribuire un crisma di veridicità alla falsa pista anzidetta.

Non solo. Il giorno successivo alla richiesta di documenti, cioè il 21 settembre 1980, il Procuratore si rese protagonista di un altro comportamento anomalo, che lasciava questa volta trasparire una vera e propria avversione verso la pista neofascista.

Si tratta della lettera in data 5 settembre 1980, che il Procuratore della Repubblica di Bologna Sisti inviò al dott. Angelo Velia. Sulla vicenda ha testimoniato il dott. Giorgio Floridia (cfr. trascrizione ud. 23.7.2021) che nel 1980 era un magistrato componente l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Bologna. Capo di tale ufficio era il dott. Angelo Velia, avente la qualifica di consigliere istruttore; nell'ambito dello stesso ufficio operava anche il dott. Gentile, che aveva la qualifica di consigliere istruttore aggiunto.

Floridia ha riferito che all'epoca si era nelle prime battute dell'istruttoria formale del processo e che egli affiancava il dott. Gentile, quale magistrato delegato al compimento di singoli atti, come era previsto dall'ordinamento giudiziario; dunque, egli conosceva le vicende relative all'istruttoria, avendo frequenti contatti con il dott. Gentile.

Il testimone ha chiarito che l'Ufficio Istruzione e gli uffici della procuradella Repubblica all'epoca erano posti sullo stesso piano, a breve distanza, e per tale motivo il dott. Sisti era solito frequentare il loro ufficio, informandosi sullo stato delle indagini.

Posto che il testimone non ha ricordato sulle prime quanto da lui riferito in merito alla lettera in questione, il sostituto P.G. gli ha contestato alcuni passaggi della deposizione da lui resa nel 2019 in fase predibattimentale: «Non è vera la circostanza narrata da Sisti. Ricordo di non averlo più visto dopo che lo stesso lasciò la procura di Bologna». «È possibile, però, che io gli abbia formulato la richiesta di attivarsi con tutti i mezzi, per arrivare alla verità. Questo però prima che lui fosse trasferito a Roma».

E ancora: «Apprendo dall'Ufficio che la delega di cui parliamo fu scritta da Sisti dopo il suo trasferimento a Roma, e faccio presente che certamente non ebbi più rapporti con Sisti dopo che lui se ne andò da Bologna».

Il testimone ha confermato integralmente tali dichiarazioni.

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