«Ita non ha oggi e non avrà neanche nel 2025, con il raddoppio della flotta, dimensioni che le consentono di stare da sola sul mercato». Non lo dice un qualche analista del trasporto aereo menagramo e malevolo, non qualche sindacalista particolarmente arrabbiato per la macelleria sociale allestita con il passaggio di consegne dalla vecchia Alitalia alla nuova compagnia e neanche qualche cronista ipercritico per partito preso. Lo dice il numero uno dell’azienda, Alfredo Altavilla, ex Fiat della scuola di Sergio Marchionne, messo in pista dal governo italiano e presentato come il cavaliere bianco che dopo decenni di fallimenti avrebbe riportato agli onori del mondo la vecchia e disastrata compagnia di Fiumicino.

Il presidente di Ita decolla con un conflitto di interessi

È un’ammissione importante quella di Altavilla non tanto in sé, perché qualsiasi persona un po’ addentro alle vicende del trasporto aereo aveva intuito da tempo che per come era nata e per come era partita la nuova compagnia non avrebbe avuto futuro.

Quelle parole sono importanti perché dette proprio da Altavilla e non al bar in una chiacchierata tra amici, ma davanti ai parlamentari della commissione Trasporti che lo avevano chiamato per sentire dalla sua viva voce come stanno andando le cose. In sostanza Altavilla ufficializza quel che purtroppo era ovvio e cioè che Ita è nata morta. E lo fa ad appena tre mesi dal primo volo della compagnia, presentato come il simbolo della rinascita e di un radioso futuro.

Propaganda e verità

La distanza tra ciò che era stato promesso allora e ciò che viene ammesso oggi dopo appena un centinaio di giorni di attività è così abissale che vengono le vertigini. E c’è da chiedersi: Altavilla sapeva fin da subito come stavano le cose e ha bellamente bluffato di fronte all’opinione pubblica e con i soldi dei contribuenti o è un manager un po’ sprovveduto, almeno per quel che riguarda il trasporto aereo, che non si era reso nemmeno conto del garbuglio in cui si era infilato? In ogni caso le sue parole di oggi rappresentano paradossalmente un passo in avanti perché hanno il merito di scoprire le carte chiudendo ufficialmente la stagione della propaganda e mettendo tutti, a partire dal Parlamento e dal governo, di fronte all’amara verità: non ci sono né margini né condizioni perché Ita possa camminare sulle sue gambe. Va venduta, a meno che lo stato non intenda foraggiarla vita natural durante con i soldi dei contribuenti.

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Altavilla non ha detto proprio così, anzi, pur non abbandonando per un istante il tono diretto fino alla brutalità usato con i parlamentari, a questo proposito si è messo a giocare a nascondino con le parole. Ha detto che deve essere trovata un’alleanza internazionale subito, al massimo in qualche mese, e che sono in corso trattative a livello internazionale. Ed ha aggiunto che «non ci bastano formule light. Se metti i soldi sul tavolo giochi, se non li metti puoi anche rinunciare».

Messo in chiaro il messaggio è: inutile tentare di migliorare un po’ le cose aspettando la fine delle condizioni pessime imposte dal covid e l’arrivo della stagione estiva che è la più propizia per il trasporto aereo. Ci vuole un’«alleanza» immediata che considerate le condizioni in cui Ita si trova, certificate dallo stesso Altavilla, non può essere un accordo tra pari, ma è sinonimo di vendita. Anzi, per dirla tutta, è sinonimo di svendita, una specie di stagione dei saldi del trasporto aereo. Siccome però i pretendenti possono essere più di uno, da Lufthansa ad Air France fino a British Airways che considerano Ita il pertugio per arrivare a mettere le mani sull’abbondante mercato italiano, allora Altavilla trattando l’affare come a un tavolo da poker dice che solo chi «mette i soldi sul tavolo» può andare a vedere.

A che servono 3 miliardi?

Ma se le cose stanno così sono obbligatorie queste semplici domande: che senso ha e che senso ha avuto tutta l’operazione di Ita?

Se deve essere venduta senza che sia mai di fatto partita perché è stato permesso ai nuovi capi di fare la macelleria sociale che hanno fatto, perché ci si affanna intorno ai piani industriali che al massimo saranno un affare che riguarda il compratore e perché sono stati acquistati con un’enfasi fuori luogo 28 aerei Airbus con una spesa mai resa nota, ma che dovrebbe abbondantemente superare il miliardo di euro?

E perché nessuno dice che arrivati a questo punto non ha senso andare avanti con i programmi annunciati tirando fuori altri soldi per acquistare altri aerei?

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Alla fine c’è la domanda delle domande: perché governo e parlamento hanno stanziato la bellezza di 3 miliardi di euro per un’impresa senza futuro?

Lo sapevano fin da allora che stavano buttando soldi al vento o l’hanno scoperto strada facendo grazie alla aggressiva franchezza del presidente Altavilla?

In un caso e nell’altro siamo di fronte a un comportamento estremamente superficiale, l’ennesimo spreco scaricato sulle spalle dei contribuenti.

A meno che tutto ciò non rientri in un piano non detto e non dicibile e quel che sta succedendo abbia una sua logica, anche se nascosta e perversa. E cioè che lo stato italiano, i contribuenti italiani stiano pagando il futuro compratore di Ita, che gli stiano apparecchiando la tavola imbandita, cioè una compagnia alleggerita da quelle che a torto o a ragione vengono considerate le «scorie» rappresentate da un eccesso di dipendenti e di trattamenti di privilegio che per la verità non esistono più da anni. E nel frattempo venga allestita una compagnia transitoria e finta, ricca però di una flotta nuova di zecca. Ma forse questa è solo una fantasia da complottisti.

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