- La crisi di Alitalia dura da un ventennio ed è costata 12 miliardi ai contribuenti e la perdita di ruolo su tutti i mercati aerei domestico medio raggio, intercontinentale e cargo.
- L’azienda nascondeva per sé e per altre compagnie aeree (decotte) la disoccupazione con la cig, ora che è arrivata la statalizzazione di quel che resta dell’ex Alitalia i nodi vengono al pettine.
- Ita nasce infatti senza la, tanto promessa, riforma degli ammortizzatori sociali. Che fare? È una partita che, se risolta in termini equi, sostenibili e che guardano all’ universalismo si colloca in pieno nelle riforme che l’Europa ci chiede e dunque deve essere gestita in prima persona dal presidente Mario Draghi.
La grave vicenda della crisi di Alitalia dura da un ventennio ed è costata 12 miliardi ai contribuenti oltre alla perdita di ruolo su tutti i mercati aerei (domestico medio raggio, intercontinentale e cargo). Ora la compagnia aerea deve fare i conti con un riformato assetto degli ammortizzatori sociali per assicurare la discontinuità, voluta dalla Ue, nel passaggio dei dipendenti a Ita, partecipata al 100 per cento dallo stato.
E un primo nodo viene al pettine. Una sorta di legge del contrappasso. In questo lungo periodo di crisi, infatti, Alitalia è stata l’ammortizzatore sociale di sé stessa (vedi tabella). Nessun governo è riuscito a fermare l’andazzo corporativo che ha coinvolto tutti: politica, fornitori, sindacati.
Famosi sono i numerosi dispositivi legislativi che hanno autorizzato la cig per oltre 5 anni consecutivi e quello che ha istituito la tassa di imbarco di 3 euro per passeggero per alimentare un fondo corporativo esclusivo dell’ex compagnia – poi allargato al comparto del trasporto aereo – e con esso trattamenti economici nettamente superiori a qualsiasi altra categoria. Non solo, negli anni l’ex compagnia di bandiera ha assorbito, acquisito e salvato numerose compagnie aeree fallite: dalla Gandalf a Itavia, da Volare web ad Air one che a sua volta aveva salvato la Noman, fino ad arrivare ad Avianova, Air Sicilia, Azzurra (solo in parte), Minerva e altre ancora.
La nascita di Ita
Da un’azienda che nascondeva per sé e per altre compagnie aeree la disoccupazione con la cig (è successo anche per alcune aziende industriali) ora è arrivata la statalizzazione di quel che resta dell’ex Alitalia. Ita però nasce senza la riforma degli ammortizzatori sociali. Che fare visto che l’intervento normativo tanto promesso non è ancora su nessun tavolo neppure parlamentare? Anche nel post-pandemia dovremo subire trattamenti diversi per gli ammortizzatori sociali degli ex lavoratori Alitalia? Con quali norme e quali trattamenti verranno gestiti i 7mila ex dipendenti che rimarranno fuori dalle imminenti assunzioni di Ita? Che non saranno semplici riassunzioni automatiche ma prevedono la cessazione di un rapporto di lavoro con l’apertura di un altro. Per dar vita a Ita, quindi, occorrerà applicare la “discontinuità”, anche contrattualmente. In assenza di una nuova normativa sulla cig il passaggio sarà ostico.
Non solo, il contratto da applicare per i nuovi assunti dovrà essere quello che hanno chiesto (e ottenuto) i sindacati. Contratto che aveva come obiettivo di impedire alle compagnie low cost di fare dumping contrattuale all’Alitalia (anche se questo era solo uno dei motivi della sua perdita di competitività). L’intesa assicura un trattamento salariale e normativo sotto il quale non si può andare. Peccato che ora proprio chi l’ha chiesto, i sindacati confederali, non lo vogliono applicare a Ita perché significherebbe partirebbe senza il ricco contratto aziendale di secondo livello. Un altro nodo che viene al pettine.
Ora la domanda che dobbiamo porci è: si può continuare con enormi volumi di spesa pubblica per riparare a decisioni politiche sbagliate continuando con disparità di trattamenti e senza un nuovo assetto degli ammortizzatori sociali? È una partita che, se risolta in termini equi, sostenibili e che guardano all’universalismo, si colloca in pieno tra le riforme che l’Europa ci chiede e dunque deve essere gestita in prima persona dal presidente Mario Draghi.
Ma non può mancare l’apporto del sindacato confederale. Nella partita di un nuovo ammortizzatore sociale unico e universale non ci potranno essere differenze di trattamento, di contribuzione e normative. Le procedure andranno velocizzate e le risorse disponibili dovranno essere distribuite equamente sulla base di analisi economiche e di mercato delle imprese che ne faranno richiesta. Dovrà essere chiaro chi paga e perché. Cioè quanto spetta ai contribuenti, ai lavoratori e alle imprese per costituire un fondo per gli ammortizzatori sociali. La solidarietà oggi è una necessità e il sindacato può affermarla in questo delicato settore. La bandiera italiana dovrà sventolare su tutte le aziende non solo su alcune.
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