Un gruppo di dieci professori delle principali università del Piemonte propone un rafforzamento radicale del settore pubblico e un’idea per finanziarlo
- Secondo tutti i principali indicatori, la pubblica amministrazione italiana è ampiamente sottorganico rispetto ai nostri vicini europei.
- La proposta: per risolvere questo problema andrebbero assunti un milione di nuovi lavoratori, soprattutto giovani e laureati.
- Per finanziare queste assunzioni, la proposta è un’imposta straordinaria sulla ricchezza finanziaria che duri per un periodo di tempo limitato.
Una seria riforma della pubblica amministrazione richiede un profondo ripensamento delle strutture organizzative, del sistema di incentivi e delle procedure. Tutto ciò è necessario ma niente affatto sufficiente. Deve assolutamente accompagnarsi a un assai consistente aumento di organico, ben al di là del turnover tra chi va in pensione e nuovi assunti.
I nostri studi suggeriscono che un aumento di circa un milione di unità è ragionevole e può essere finanziato agevolmente. Non c’è qui lo spazio per riportare i dati e i calcoli che suffragano questa proposta; il lettore interessato potrà scaricare un documento più ampio dal sito www.centrostudiargo.it.
Una pubblica amministrazione sottorganico
Un piano straordinario di assunzioni è necessario in quanto gli occupati nel settore pubblico in Italia sono eccezionalmente pochi se confrontati con Francia, Germania e Regno Unito; in effetti sono assai più vicini al dato di paesi come la Grecia. Consideriamo gli addetti totali, pubblici e privati, nell’insieme dei settori in cui è prevalente l’occupazione pubblica, cioè la pubblica amministrazione stessa, la sanità, l’istruzione, l’assistenza sociale e la fornitura di gas, acqua ed elettricità.
Questi dati sono più significativi di quelli relativi al settore pubblico in senso stretto in quanto non influenzati dai diversi livelli di esternalizzazione. Nel Regno Unito ci sono 155 addetti ogni 1.000 abitanti, in Germania 147, in Francia 134, in Grecia 90 e in Italia 84. Questi dati possono essere letti in modo più drammatico osservando che i tassi di disoccupazione di Francia, Regno Unito e Germania sarebbero molto più alti di quello italiano (prima del Covid pari al 10,3 per cento, il più alto fra i quattro) se il rapporto fra numero di abitanti e numero di addetti ai settori tipicamente pubblici fosse lo stesso dell’Italia: il tasso di disoccupazione della Francia passerebbe dall’8,7 per cento al 20,4 per cento, quello del Regno Unito dal 4,8 per cento al 19,1 per cento e quello della Germania dal 3,3 per cento al 15,8 per cento.
Il discorso non cambia se si fa riferimento agli addetti amministrativi in senso stretto. In Germania ce ne sono 35 ogni 1.000 abitanti, in Francia 37 e nel Regno Unito 32; in Italia 20.
La questione dei laureati
Appare chiaro allora che il problema della bassa produttività della pubblica amministrazione non è separabile da quello della sua bassa produzione. Che il numero di addetti alla pubblica amministrazione sia anormalmente basso è dimostrato anche da altri due dati: rispetto alla media dei paesi sviluppati in Italia ci sono pochissimi laureati, ma la percentuale di laureati disoccupati è altissima.
Questo paradosso viene di solito spiegato con l’ipotesi che gli italiani “si laureano nelle materie sbagliate”. Non è così. Il motivo più importante è proprio il sottodimensionamento della pubblica amministrazione.
Costi
Quanto costerebbe assumere un milione di nuovi addetti? Secondo le nostre stime, circa 26,5 miliardi all’anno. Questi possono essere reperiti in vari modi. La nostra proposta è che si ricorra ad una imposta di solidarietà sulla ricchezza finanziaria (non sugli immobili). Tale ricchezza è molto elevata (4.445 miliardi di euro) e molto concentrata, quindi 26,5 miliardi possono essere ottenuti con aliquote molto basse.
È importante notare che la trasformazione di 26,5 miliardi di ricchezza (che non fa parte del pil) in reddito farebbe crescere il pil di circa l’1,7 per cento, e che gli effetti moltiplicativi consentirebbero l’abolizione dell’imposta straordinaria entro pochi anni, probabilmente quattro. Né va dimenticato che l’esborso per i contribuenti sarebbe inferiore al rendimento normale della ricchezza finanziaria, e quindi che lo stock iniziale di capitale non verrebbe ridotto. Infine, questa modalità è anche, a nostro avviso, quella più etica: in un’emergenza è giusto che chi ha di più aiuti chi ha di meno.
Questo per quanto riguarda i benefici. I costi – molto modesti- sarebbero sopportati quasi esclusivamente dai due decimi più ricchi delle famiglie. Nel nostro scenario-base, quello con aliquota e quota esente più basse (rispettivamente 1 per cento e 100.000 euro), il 60 per cento meno abbiente della popolazione non pagherebbero nulla, e il settimo e l’ottavo decimo quasi nulla; l’aliquota effettiva, data l’esenzione, sarebbe minore dell’1 per cento anche per il decimo più ricco.
Naturalmente operando sulla quota esente e sull’aliquota si possono ottenere diversi scenari. Anche molti tra coloro che dovranno sostenere l’onere di questa imposta di solidarietà non sarebbero pregiudizialmente contrari. Dopo tutto in tal modo non solo si darebbe un contributo alla crescita dell’economia, ma si darebbe anche lavoro a un milione di giovani, ora disoccupati o sotto-occupati. Dove, come, e chi assumere deve essere oggetto di valutazioni tecniche accurate. È evidente che questo, così come la fissazione dell’aliquota e della quota esente, ha delle implicazioni politiche. Entrare nel merito di esse non è di nostra competenza.
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