Il documento presentato a imprese e sindacati prevede di rinviare la scadenza del 2035 per il bando ai motori inquinanti. Urso: «Inizia una nuova stagione, no alla religione dell’auto elettrica». Il governo incassa il sì di parte dell’industria, colpita dalle vendite stagnanti, e trova la sponda della Germania. Il possibile ruolo della commissaria Ribera
Anticipare di un anno, all’inizio del 2025, il riesame del regolamento Ue che fissa per il 2035 l’addio al motore a scoppio. È questa la principale proposta del piano del ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso, per allentare i vincoli sulle auto a benzina e diesel. Il dossier, presentato oggi al tavolo con Confindustria e sindacati, sarà poi illustrato a Bruxelles: nel meeting sull’automotive promosso dalla presidenza ungherese del Consiglio Ue e al Consiglio competitività del 26 settembre.
La proposta italiana rappresenta un passo concreto per limitare il Green deal, simbolo della prima Commissione von der Leyen. O per realizzare una «transizione ecologica industrialmente equa», come ha detto pochi giorni fa la premier Giorgia Meloni. «Si apre una nuova stagione in Europa. Non si può seguire la follia ideologica e quasi religiosa del “tutto elettrico”. Dobbiamo abbracciare la neutralità tecnologica, usando anche il biocombustibile se utile alla decarbonizzazione», ha aggiunto oggi Urso.
Il regolamento, adottato nel marzo 2023, stabilisce per le nuove auto il taglio del 100 per cento delle emissioni di CO2 entro il 2035, con lo stop alla vendita dei modelli dotati di motori endotermici (fatta eccezione per quelli alimentati con gli e-fuel). Nel 2026 è però previsto che la Commissione riesamini «l’efficacia e l’impatto delle nuove regole»; è questa revisione che Urso vorrebbe anticipare già al primo trimestre del prossimo anno.
Chi è a favore
Il mondo industriale si è mostrato favorevole a un cambiamento nella tabella di marcia prima al Forum di Cernobbio, dove Meloni ha annunciato il piano, e poi all’assemblea di Confindustria. In quell’occasione la premier ha parlato di un «approccio autodistruttivo» nello stop del 2035, incassando il sostegno del presidente Emanuele Orsini. Il momento pare propizio alla proposta del governo, anche viste le prospettive negative per i big dell’auto tedesca, con i vertici di Volkswagen che hanno minacciato di chiudere due fabbriche in Germania e di tagliare gli organici.
Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli appelli del comparto automobilistico. Giovedì Acea, l’associazione dei costruttori europei, ha chiesto un rinvio delle regole su cui però non concordano Bmw e Stellantis, contrarie a una dilazione dei tempi. Ma al di là dei distinguo tra produttori, la destra sovranista europea – così come i liberali e la Cdu tedesca – si trova alleata con la lobby dell’auto, in difficoltà per la concorrenza cinese e per la stagnazione delle vendite nell’elettrico.
I dati delle immatricolazioni in Europa, cavalcati anche in modo strumentale dai partiti contrari alla transizione, in effetti sono negativi. Ad agosto le vendite hanno registrato un forte calo (-18,3 per cento) e in caduta libera sono i veicoli elettrici, soprattutto in Germania e Francia: ad agosto le immatricolazioni di nuove auto sono scese del 43,9 per cento rispetto a un anno fa. È il quarto mese consecutivo con il segno meno, in netto contrasto con gli aumenti del 2023.
Una strada in salita
Nonostante la congiuntura “positiva”, per il piano di Urso si profila un percorso in salita a Bruxelles, dopo la trattativa che solo un anno fa portò al via libera al regolamento. I tempi sono stretti, considerato che la nuova Commissione non si è ancora insediata e che gli stati membri hanno posizioni diverse. Se il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, ha aperto all’ipotesi, l’orientamento della Francia è meno scontato.
Per questo Urso sta cercando l’appoggio di altri governi europei. Nei giorni scorsi ha incontrato il ministro del Lavoro austriaco Kocher e quello dell’Economia spagnolo Cuerpo, oltre al responsabile dell’Industria della Repubblica Ceca. E altri faccia a faccia alla ricerca di alleati, ha annunciato alle parti sociali, seguiranno «nelle prossime ore». Venerdì è invece arrivata la voce del ministro dei Trasporti di Budapest, con l’appello a non mettere in pericolo l’industria con «le politiche climatiche Ue».
Per il momento la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, sembra però mantenere la linea. Pur con gli aggiustamenti del secondo mandato, il Green deal resta parte del suo programma (almeno per ora) e il dossier sarà affidato a Teresa Ribera, futura commissaria alla Transizione ecologica: l’ex ministra del governo Sánchez è molto decisa sull’agenda verde e poco propensa a invertire la rotta.
C’è un piano B
«Urso sa bene che la norma è stata approvata un anno fa e ha un orizzonte lungo. Il suo è più che altro un grido di battaglia di tutta la destra europea», ha scritto su Domani Andrea Malan, evidenziando la portata simbolica della proposta italiana. Per questo, di fronte alle sicure difficoltà a ottenere un rinvio a dopo il 2035, il documento contiene anche un’opzione alternativa, con l’adozione di un fondo comune per compensare i costi per produttori e consumatori.
Nelle intenzioni di Urso dovrebbe essere una sorta di piano Marshall, sia a sostegno dell’offerta che della domanda: con risorse comuni per sostenere ricerca e investimenti dei costruttori, la realizzazione di gigafactory e incentivi per chi sceglie auto elettriche. Su questo, trovare un’intesa a Bruxelles sarebbe più facile, anche sfruttando l’assist del rapporto di Mario Draghi, che stima in 150 miliardi l’anno le risorse necessarie per i trasporti.
© Riproduzione riservata