Calano le vendite di auto ad agosto, crollano quelle di auto a batterie. Gli avversari dell’elettrico esultano e l’associazione dei costruttori europei Acea ne approfitta per chiedere un rinvio degli obiettivi più severi di riduzione della CO2 (attualmente fissati al 2025) e una revisione del divieto di vendita di auto termiche, previsto per il 2035. In Italia Confindustria e governo applaudono, ma i dati di un singolo mese non giustificano un ribaltamento della strategia ambientale Ue.

Effetto Germania

Vediamo perché. Le vendite di automobili (fonte Acea) sono diminuite il mese scorso del 18 per cento nella Ue; per le elettriche il calo è del 44 per cento. I dati dei primi otto mesi del 2024 sono meno negativi: il mercato auto è cresciuto di circa l’1,5 per cento a fronte di un calo delle vendite di vetture elettriche dell’8 per cento. Sui ribassi pesa in maniera decisiva un fattore una tantum relativo al mercato tedesco: nell’agosto 2023 in Germania furono vendute oltre 86mila auto a batterie (31 per cento del totale) perché alla fine di quel mese scadevano gli incentivi per le vetture elettriche aziendali; il mese scorso quel mercato ne ha assorbite solo 27mila. Berlino ha poi abolito anche gli incentivi per i privati a fine 2023, con il risultato che nei primi otto mesi del 2024 sono state vendute nel maggior mercato Ue 115mila elettriche in meno. Togliendo la Germania, il saldo 2024 dell’Europa a batterie passerebbe da -80mila a +35mila unità.

Anche gli obiettivi CO2 per il 2025 contribuiscono alla frenata delle vendite elettriche nel 2024: per rispettare i limiti più severi alle emissioni e non pagare multe, l’anno prossimo i costruttori dovranno vendere quote più elevate di auto a emissioni zero. Per questo hanno “tarato” i lanci di vetture a batterie più efficienti ed economiche su quella data, e chi è già vicino agli obiettivi 2024 non ha interesse a “spingere” ora il prodotto.

L’arrivo di modelli migliori e più economici contribuirà sicuramente a un rimbalzo nel 2025. Una spinta potrà arrivare anche da una riattivazione di qualche forma di incentivo. Berlino ci sta pensando per ovviare alla caduta delle vendite nel 2024. A proposito di incentivi, il Belgio ha visto aumentare del 41 per cento le vendite di auto elettriche nel 2024 (con una quota salita al 26 per cento) con una misura semplice: eliminando i vantaggi fiscali per le auto aziendali non a batterie.

Londra, fuori dalla Ue, ha adottato un sistema di quote per accelerare la diffusione delle auto a emissioni zero: per non pagare multe i costruttori devono venderne una percentuale minima sul proprio totale di ogni anno. Quest’anno il loro target è del 22 per cento. Nei primi otto mesi dell’anno la percentuale elettrica sul totale vendite Uk è cresciuta finora al 17 per cento, con un aumento delle immatricolazioni pari al doppio del mercato.

Dell’Italia è meglio non parlare: oltre alla farsa dei fondi per le elettriche esauriti in 8 ore ai primi di giugno, resta lo scandalo degli incentivi alle auto ad alte emissioni di CO2 (fino a 135 grammi/km, nettamente sopra agli obiettivi Ue) che penalizzano quelle a emissioni zero.

Lobby in campo

Acea ha approfittato dei dati negativi di agosto per rilanciare la campagna contro gli obiettivi del Green Deal Ue: «La tecnologia e la disponibilità di veicoli a emissioni zero non rappresentano più un ostacolo alla transizione, ma mancano [altre] condizioni cruciali: infrastrutture di ricarica e rifornimento di idrogeno, un ambiente di produzione competitivo, energia verde accessibile, incentivi fiscali e di acquisto e una fornitura sicura di materie prime, idrogeno e batterie. Anche la crescita economica, l'accettazione da parte dei consumatori e la fiducia nelle infrastrutture non si sono sviluppate a sufficienza».

Alcuni dei punti sollevati sono poco significativi, come l’assenza di un’infrastruttura dell’idrogeno. Altri sono veri ma risolvibili: le infrastrutture di ricarica potrebbero essere più numerose e soprattutto efficienti. È anche vero che non tutti i consumatori accettano ancora le auto elettriche; qui però la filiera è fra i principali responsabili, avendo condotto negli ultimi anni una campagna contro di loro.

Non tutti condividono l’appello di Acea, di cui non fa parte Stellantis. Il ceo Carlos Tavares ha citato nei giorni scorsi eventi disastrosi, come gli incendi in Portogallo, dove è nato, per ricordare i rischi dei cambiamenti climatici. «Anche se rinviassimo le misure, il riscaldamento del pianeta resterebbe», ha detto Tavares, e ha ricordato che «le regole [sulla CO2] sono note da anni».

L’appello di Acea evidenzia comunque il nodo fondamentale della battaglia politica che si svolgerà a Bruxelles nei prossimi mesi. La filiera europea è in ritardo sull’elettrico, sia rispetto a Tesla che alla concorrenza cinese. La Ue accusa Pechino di concorrenza sleale grazie agli aiuti statali, e sta per imporre dazi alle sue auto elettriche. È giusto scendere a compromessi sugli obiettivi ambientali per sostenere aziende europee che hanno fatto profitti per oltre 130 miliardi di euro nel biennio 2022-23? Il riscaldamento del pianeta è un problema ineludibile o può passare in secondo piano rispetto alla crescita economica e alla “competitività” dell’Europa? Il recente rapporto Draghi cerca di far convivere i due obiettivi, così come ha fatto Ursula von der Leyen nel suo discorso programmatico.

Il ritardo della filiera italiana sull’elettrico è ancora più grave e paga il sonno decennale di Fiat. Confindustria continua a fare campagna per prendere tempo, anche se il crollo di produzione e vendite è dovuto solo in piccola parte alla transizione elettrica. Il governo italiano è allineato. Meloni ha parlato mercoledì di «risultati disastrosi di un approccio ideologico», ma né lei né il presidente di Confindustria Orsini hanno spiegato se gli obiettivi climatici del Green Deal Ue siano inutili o se sia possibile arrivarci in altro modo, e come.

© Riproduzione riservata